Un’icona slava, un carro di fuoco e un simbolo che molti oggi leggono come un UFO. Ma tra sacro e scienza, che cosa racconta davvero l’ascesa del profeta Elia nei cieli?
In un’epoca in cui la fede conviveva con l’ignoto e la scienza
con il mito, poche immagini hanno suscitato tanta curiosità quanto
l’icona dell’Ascesa del profeta Elia — un
capolavoro di arte sacra ortodossa in cui il cielo si apre per
accogliere l’uomo di Dio in un carro di fuoco.
Eppure, negli
ultimi decenni, questa rappresentazione millenaria è stata
reinterpretata da alcuni come la prova di qualcosa di molto diverso:
un incontro antico con una tecnologia “non terrestre”.
Nel Secondo Libro dei Re (2 Re 2:11), la Scrittura narra che “Elia
salì al cielo in un turbine, su un carro di fuoco trainato da
cavalli di fuoco”.
Il testo, denso di immagini
apocalittiche, ha sempre ispirato artisti e teologi. Ma ciò che per
la tradizione cristiana rappresenta il miracolo della traslazione
di un giusto, per alcuni studiosi contemporanei
nasconderebbe un resoconto di natura più “tecnica”: un
oggetto luminoso discendente dal cielo, una sorta di veicolo
ardente.
Nelle icone bizantine e slave, Elia è spesso ritratto su un globo o in un carro circolare fiammeggiante, sospeso tra le nubi. In alcune versioni — in particolare in un’icona russa del XVIII secolo con iscrizione in antico slavo ecclesiastico — la scena mostra chiaramente un disco radiante, solcato da lingue di fuoco e cerchi concentrici, da cui si sprigionano bagliori che ricordano le moderne descrizioni di un “UFO”.
L’iscrizione, redatta in slavonico ecclesiastico,
riporta il passo biblico che accompagna la visione:
“Iliya
prorok voznesesya vognem na nebesa” — “Il profeta Elia
ascese in fuoco nei cieli.”
L’uso del termine “vognem” (fuoco) e non “ognem” (fiamma
ordinaria) suggerisce, secondo alcuni linguisti, un tipo di
fuoco “divino”, non terreno, forse un bagliore o energia
sconosciuta.
I pittori sacri russi, nei secoli XVII e XVIII,
rappresentarono questa luce non come fiamme realistiche ma come
dischi concentrici dorati o rossi, quasi a imitare
un’irradiazione circolare. Proprio questa scelta iconografica ha
alimentato interpretazioni moderne che vedono nel “carro di fuoco”
un possibile oggetto volante di origine ignota.
Per la teologia ortodossa, l’ascesa di Elia simboleggia la vittoria dello spirito sulla materia, un passaggio diretto da questo mondo al divino. È la manifestazione visibile della potenza di Dio, non una “macchina”, ma una teofania luminosa, un’apparizione trascendente resa percepibile agli uomini.
Le interpretazioni contemporanee, tuttavia, propongono un’altra
chiave di lettura. Alcuni ricercatori di paleoastronautica sostengono
che l’episodio biblico possa descrivere un incontro con una
tecnologia avanzata, percepita da un testimone antico
attraverso il linguaggio religioso del tempo.
In quest’ottica,
il “carro di fuoco” sarebbe un mezzo di trasporto celeste, un
veicolo luminoso da cui il profeta sarebbe stato sollevato “in un
turbine” – cioè da un getto d’aria o energia.
Al di là delle speculazioni, il valore dell’icona resta
immenso. Essa riflette la potenza del simbolo del fuoco
come mezzo di trasformazione e ascesa spirituale.
Nel linguaggio
sacro, il fuoco rappresenta la purificazione, la luce divina che
consuma l’umano per restituirlo al divino.
Che si tratti di un
carro celeste o di un fenomeno mistico, l’immagine di Elia che sale
nel fuoco ci parla della stessa tensione eterna: l’anelito
dell’uomo a superare i limiti della materia e a toccare il cielo.
E forse è proprio questa la ragione per cui, anche oggi, la
figura del profeta continua ad affascinare credenti, storici e
scienziati.
Nel suo “carro di fuoco” — disco o simbolo —
si riflette la più antica domanda umana: chi ci guarda dai
cieli?
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