giovedì 16 ottobre 2025

Gli Eredi di Atlantide: le colonne d’ossidiana e il mistero delle origini delle Piramidi

Una scoperta archeologica in Egitto riapre il dibattito sulle origini della civiltà egizia: dodici pilastri neri, iscrizioni arcaiche e riferimenti a una razza longeva e avanzata. Realtà storica o eco di un mondo perduto?

L’Egitto continua a custodire i suoi segreti con una tenacia degna del deserto che lo avvolge. Ma, secondo una notizia che negli ultimi anni ha acceso l’immaginario di studiosi e curiosi, dodici colonne di ossidiana rinvenute in un sito non divulgato del Medio Egitto conterrebbero iscrizioni nella forma più arcaica conosciuta della lingua egizia — un alfabeto geroglifico anteriore persino alle prime dinastie.
Se confermata, la scoperta riscriverebbe la cronologia stessa dell’antico Egitto. Ma ciò che più ha scosso gli archeologi è il contenuto dei testi incisi: racconti di esseri dalla vita lunghissima, dotati di una conoscenza perduta, e di una “città sommersa da dove sorse la luce della civiltà”.

Per alcuni, un’allusione diretta al mito di Atlantide.

Secondo il resoconto di una missione archeologica egiziana datata cinque anni fa, le colonne — alte circa due metri e mezzo — sono scolpite in un materiale inconsueto per l’architettura egizia: ossidiana vulcanica, una pietra nera e vetrosa che non si trova in Egitto, ma in aree vulcaniche dell’Etiopia e dell’Anatolia.
Le iscrizioni, analizzate tramite imaging multispettrale, mostrano una forma linguistica più primitiva dei geroglifici protodinastici. Alcuni simboli non trovano corrispondenza né nella scrittura di Naqada né in quella di Abido, suggerendo un’origine ancora più remota.

La traduzione preliminare di uno dei testi menzionerebbe una popolazione definita “Popolo della Luce delle Acque Occidentali”, i cui membri “vissero duecento anni e dominarono il respiro del cielo e della terra”.
Altri passaggi parlano di una “Casa della Pietra che non muore” — descrizione che alcuni collegano ai complessi piramidali di Giza o di Saqqara.

Il mito di Atlantide, narrato da Platone nel Timeo e nel Crizia, descrive una civiltà tecnologicamente avanzata che scomparve a causa di una catastrofe marina intorno al 9.600 a.C.
Curiosamente, questa data coincide con la fine dell’ultima era glaciale e con l’inizio del cosiddetto “periodo predinastico” egiziano, quando le prime comunità lungo il Nilo iniziarono a trasformarsi in società complesse.

Alcuni studiosi alternativi — tra cui Graham Hancock e Robert Schoch — sostengono che i costruttori della Grande Piramide e della Sfinge potessero essere eredi di una civiltà perduta precedente all’Egitto storico, sopravvissuti di un cataclisma globale che avrebbe distrutto Atlantide.
Le colonne d’ossidiana, in questa lettura, non sarebbero altro che testimonianze dirette di quella civiltà “madre”, portata in Egitto da viaggiatori che ricostruirono, sulle rive del Nilo, il sapere dei loro antenati scomparsi.

Il riferimento a esseri dalla longevità eccezionale — due o tre volte quella media umana — ricorre anche nei Testi delle Piramidi, dove i “Neteru”, gli dèi, sono descritti come uomini dalle ossa d’oro e dal sangue di fuoco.
Gli antichi Egizi attribuivano a queste figure una padronanza tanto della scienza quanto della spiritualità: architetti, astronomi e sacerdoti, custodi di un sapere che univa tecnologia e religione — ciò che oggi chiameremmo “tecno-magia”.

Le colonne d’ossidiana potrebbero rappresentare una sorta di archivio simbolico di quel sapere, un “DNA culturale” inciso nella pietra, tramandato ai discendenti che poi costruirono le prime piramidi come riflesso del cosmo e della resurrezione.

La comunità accademica mantiene un atteggiamento prudente. Finora, nessuna pubblicazione ufficiale ha confermato la provenienza e la datazione delle colonne, e molti archeologi egiziani sostengono che si tratti di una leggenda mediatica amplificata da siti pseudoscientifici.
Eppure, i reperti — se reali — si inscriverebbero in un pattern più ampio: quello di un sapere arcaico universale, condiviso da civiltà distanti ma accomunate dalla stessa visione cosmica.

Che si tratti di Atlanti sopravvissuti o di un popolo predinastico dimenticato, le colonne d’ossidiana — reali o leggendarie — ci ricordano che la storia dell’umanità non è mai lineare, ma stratificata come la sabbia che ricopre il Nilo.
Ogni nuova scoperta, vera o ipotetica, ci spinge a guardare oltre la cronologia accettata e a domandarci quante civiltà abbiano lasciato impronte che non abbiamo ancora saputo decifrare.

Forse, i costruttori delle piramidi non furono gli “eredi di Atlantide” nel senso letterale del termine. Ma lo furono nello spirito: eredi di un’idea antica e immortale — che la conoscenza, come la pietra, sopravvive alle maree del tempo.



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