domenica 31 luglio 2022

Perché chi è morto, anche i nostri parenti che ci hanno preceduto, non ci fanno sapere se esiste un'altra vita?

 


Fingiamo per un attimo che esista un piano dimensionale chiamato aldilà.

Hai capito: piano dimensionale alternativo. Già il nome dice tutto: incomunicabilità.

Se davvero la realtà fosse composta da piani dimensionali a torta, sarebbe comunque impossibile entrare in contatto a piacimento l'uno con l'altro, perché suddetto architetto avrebbe preventivamente rimosso le scale che dovevano collegare i due piani.

In parole povere: se esiste un aldilà, essendo incorporeo non c'è contatto che tenga; se invece fosse un reale piano dimensionale alternativo alla vita organica, sarebbe opportunamente protetto e separato da leggi della fisica inviolabili per chiunque.

NB: non esistono sensitivi o cartomanti capaci di comunicare con i morti. Tavola ouija o no, se fossero onesti e fossero dotati di integrità professionale non avrebbero problemi a lavorare sotto la sorveglianza di telecamere in un ambiente controllato scientificamente.


sabato 30 luglio 2022

Qual è la mia opinione sulle antiche teorie degli astronauti?

Un mucchio di scempiaggini, trattasi di frottole belle e buone oppure di elementi antichi interpretati fuori dal loro contesto. Spesso i promotori sono autori di fantasiosi libri che vengono spacciati per roba seria, "le prove che vi nascondo sull'origine dell'uomo" , "civiltà antiche super avanzatissime" "alieni, scomode verità!". Si cerca di sostituire una divinità con gli alieni, in questo modo non è un Dio a creare gli umani magicamente per uno scopo ma degli alieni di una galassia lontana per poter spiegare l'evoluzione umana "troppo rapida", "troppo impossibile e inspiegabile" perché invece gli alieni sono sensati…




venerdì 29 luglio 2022

Nella Bibbia Satana uccide 10 persone, Dio 30 milioni. Perché Satana è il cattivo?

Se uno con "Satana" intende questo…



Iniziamo col dire che nella Bibbia non c'è.

Non sono sicuro che sia proprio la prima volta, ma comunque una delle prime volte in cui nella bibbia si nomina il satan è nel libro dei numeri. Molti non se ne rendono conto perché questo nome scompare nella traduzione. Ma il testo ebraico dice chiaramente che l'angelo che appare davanti a Balaam appare come satan. Noi traduciamo "come un avversario", ma chiunque conosca l'ebraico e il modo in cui viene scritto sa che è illegittimo distinguere così nomi propri e comuni, il testo non dà alcuna base per farlo.

Il caso più famoso è quello del prologo prosastico di Giobbe. Ma chiunque conosca il pensiero ebraico ti dirà che quello che compare lì non è un demone, e anzi in realtà non è neppure una entità precisa diversa da tutte le altre. Quello che compare come satan lì è un angelo appartenente ad una classe di angeli, quella del satan appunto, che indica quegli angeli che riportano i peccati a Dio. Tuttora la preghiera ebraica, in alcune circostanze, chiede a Dio di "tappare la bocca al satan" per questo. Il satan, nel libro di Giobbe, porta disgrazie a costui non perché il satan sia l'anti-dio, ma perché deve agire per permettere a Dio di distinguere la fede vera dalla finta, deve fargli vedere se tale fede resiste anche quando le cose vanno male.

Nel nuovo testamento, l'episodio del deserto diventa incomprensibile se non li si considera all'interno di tale framework. Giovanni è l'unico evangelista che crede che Gesù sia Dio, e infatti lui quell'episodio non lo riporta. I Sinottici sì, ma i Sinottici sono vangeli adozionisti, e chiunque lo neghi non è nella verità: per loro Gesù è un uomo che solo ad un certo punto (per Marco al battesimo, per gli altri al concepimento) viene preso come figlio di Dio. Loro l'episodio lo riportano proprio per dimostrare che la fede di Gesù, come quella di Giobbe, è autentica.

C'è però anche un altro passo, quello in cui Gesù dice a Pietro "vade retro, Satana". Chi è il satan lì? Non qualcuno che stia ispirano cose cattive a Pietro. È letteralmente Pietro, in quel frangente.

E se dire ciò vi pare blasfemo, cosa dire di quei padri per i quali l'angelo che appare a Balaam, che ripeto viene definito satan (perché blocca la strada errata), sarebbe in realtà lo stesso Signore Gesù? Tale lettura ha una tradizione enorme. Ricordate il Gesù-angelo legato all'apocalisse? Cosa dire dei sadducei per i quali tutti gli angeli erano, in effetti, null'altro che modi di mostrarsi di Dio? Non ricordiamo la teofania ad Abramo, dove l'unico Dio si manifesta come tre angeli separati? E certe figure dell'angelologia ebraica, come Metatron, pare siano state sviluppate proprio per dire che, per gli ebrei, Gesù è "solo" un angelo.

Ma c'è ancora roba da dire. In gran parte di questi passi il satan appare come un angelo che svolge una funzione utile a Dio. Perché allora, nel nuovo testamento, si aggiungono una serie di epiteti non proprio angelici, si dice che è peccatore sin dal principio, eccetera? In parte è una remota influenza del dualismo del zoroastrismo. Ma c'è anche dell'altro. Pensiamo alla gheenna. La gheenna è null'altro che un campo nel quale, secondo la narrativa, i re compivano olocausti e sacrifici umani; successivamente, viene intesa come l'inferno, il luogo della punizione dei peccatori. Ma se è solo un luogo, perché allora il testo greco dell'apocalisse pare parlarne in termini personali? Infatti Milton fa dire a Satana "ovunque vada è l'inferno, sono io l'inferno".

Bisogna mettere tutto insieme per arrivare ad una visione "canonica". Un po' come facciamo con la trinità: nessun libro singolo parla della trinità, nessun singolo autore biblico vi credeva, ma è una visione che emerge dal canone preso nel suo insieme. Se dobbiamo rendere merito nello stesso modo di tutte le volte in cui si nomina il satan, mi pare che il modo migliore sia questo. Gli ebrei immaginavano Dio come un re in una corte. Una corte ha vari uffici: vi sarà per esempio un tesoriere, che è una persona, anche se non sempre la stessa. Nella corte di Dio quelli che a noi sembrano nomi propri sono in realtà caratteristici degli uffici. Il satan è appunto un ufficio. Per questo a volte si usa tale nome per descrivere un angelo, altre un uomo, altre un demone. Il NT si concentra però su questo ufficio come un ufficio demoniaco. In nessuna parte, nella Bibbia, si trova scritto che vi sia uno specifico demone che svolge sempre e solo tale funzione: diversi demòni possono essere satan, come uno stesso demone può essere a volte satan e a volte altro. Anche se la tradizione tende a parlarne in modo individualistico, nulla nella tradizione, di per sé, nega ciò.

Dire "Satana uccide 10 persone" non ha quindi molto senso. Per di più, anche se le sventure di Giobbe sino attribuite al satan, lui dice "il Signore ha dato, il Signore ha tolto". Per gli ebrei, tutto viene attribuito al Signore a prescindere. Ne consegue che anche dire che Dio uccide non ha molto senso: qualsiasi morte della storia, per le loro interpretazioni, può essere attribuita a Dio nel senso che la permette.


giovedì 28 luglio 2022

Quali sono le tradizioni di stregoneria dell'Islanda?


Forse sapete che in Islanda c'è un ministro degli elfi.

Perché in Islanda conoscono molto bene la stregoneria.

Per questo si usava fare i cosiddetti "necro-pants".

Si tratta di pantaloni realizzati con la pelle dei morti.

Venivano utilizzati - almeno così si credeva - per "creare" monete.

Nel Museo della stregoneria islandese di Strandagaldur, a Holmavik, viene raccontata una storia selvaggia.

Ambientata nel XVII secolo, racconta di diciassette persone che furono messe al rogo per pratiche occulte.

Il museo è famoso per l'esposizione della macabra leggenda dei pantaloni da necro (nábrók).

La credenza popolare vuole che i necro-pantaloni, se usati correttamente, possano produrre un flusso infinito di monete.

In primo luogo, un uomo vivente doveva dare il permesso di usare la sua pelle dopo la sua morte.

Dopo la sua sepoltura, lo stregone doveva dissotterrare il cadavere e scuoiarlo tutto intero dalla vita in giù.

Una moneta è stata rubata a una povera vedova. Il tutto veniva poi inserito nel ventre dei pantaloni insieme a un segno magico (nábrókarstafur) su un foglietto di carta.

La "borsa dei soldi" che penzolava tra le gambe dei pantaloni non si sarebbe mai più svuotata.

Il prerequisito era che la moneta originale fosse ancora presente.

Ora so perché lo Zio Paperone si prendeva tanta cura della sua "No. 1" (la prima moneta che aveva guadagnato) e perché la maga Amelia voleva sempre rubargliela.


mercoledì 27 luglio 2022

L’AUTOSTOPPISTA FANTASMA: ESPERIENZA SOVRANNATURALE O LEGGENDA METROPOLITANA?

Frasso Telesino, paese in provincia di Benevento. Una fredda notte autunnale.

Un ragazzo sta procedendo con la sua auto verso casa dopo aver trascorso la serata in compagnia di amici. Nei pressi di una curva nota una giovane donna nell’atto di fare l’autostop. L’ora tarda e la zona isolata lo stupiscono. Ferma l’auto e le offre un passaggio. La ragazza gli racconta che deve ritornare a casa dei genitori e che si era attardata per cause non precisate. Il giovane nota che la ragazza indossa un vestitino leggero e, sentendo come del gelo, le offre il suo cappotto perché si copra. Lei accetta e ringrazia con un sorriso. Durante il viaggio, peraltro breve, la donna non proferisce parola alcuna. Giunti nei pressi di una casa alla periferia del paese, lei la addita come sua abitazione. Il giovane accosta, la ragazza scende e dopo averlo ringraziato s'incammina con passo veloce all’uscio. Estrae le chiavi dalla tasca ed entra. Andando a casa, e ripensando allo strano incontro, il giovane si ricorda del cappotto prestato. Ma è tardi e così si propone di tornare il giorno seguente per recuperarlo. E così ha fatto.



Qui giunto, lo accolgono quelli che presume essere i genitori della ragazza ma, alle sue richieste, questi cadono dalle nuvole. Con grande tristezza e dolore gli riferiscono che la loro unica figlia era morta pochi mesi prima, d’estate, in un incidente stradale, occorso proprio al curvone dove aveva caricato la ragazza. Anche le caratteristiche somatiche, compreso il vestito che indossava, corrispondevano. Ancora incredulo, il giovane si reca al cimitero, senza nascondere unitamente alla curiosità una certa ansia. Sulla tomba della ragazza - la cui foto corrisponde alla donna da lui incontrata la sera prima - trova il suo cappotto ben piegato e riposto in un angolo.​

A quanti di voi è stato raccontato questo episodio? Si tratta di una delle storie oggi classificate come “leggende urbane”, o “metropolitane”, che circolano un po’ ovunque e riscuotono ampio credito presso coloro che le narrano. Si diffondono di bocca in bocca e, in generale, rappresentano le nostre paure.

Sull’argomento, nel 1942 la rivista California Folklore Quarterly pubblica un paio di articoli di Richard K. Beardsley e Rosalie Hankey , i quali partendo da una tipica storia di fantasma autostoppista ambientata a San Francisco, cercano di rispondere ad un quesito spinoso: questo genere di racconto può essere considerato una leggenda? In poco più di due mesi gli autori riescono a raccogliere settantanove versioni della storia. Sono così in grado di affermare che il racconto è diffuso in larga parte degli Stati Uniti, e presenta le caratteristiche tipiche della leggenda. Ne individuano anche quattro versioni.​

La più classica, riferita alla metà dei casi raccolti, è quella in cui l’autostoppista rivela il proprio indirizzo, l’automobilista si reca nel luogo indicato e solo allora scopre di aver avuto a che fare con un fantasma.

Nella seconda, l’autostoppista è una vecchia che profetizza un disastro: successive indagini rivelano che si tratta di una defunta. In un’altra versione, l’incontro non avviene lungo la strada, ma in un luogo d’intrattenimento, spesso una sala da ballo: la misteriosa ragazza lascia sulla sua tomba un oggetto prestatole dall’uomo che ha incontrato, come prova del fatto che egli ha avuto un’esperienza con una defunta. Nell’ultima variante, l’autostoppista è identificato con una divinità locale, nello specifico la dea hawaiana Pele che viaggia sotto forma di fantasma.



Secondo i due studiosi la prima versione si avvicina maggiormente a quella da loro considerata la storia “originale” contenente il seme del motivo. Anche la terza versione, tra le più diffuse, nonostante le differenze, sarebbe ricollegabile alla prima. Infatti, inizialmente doveva presentarsi come una storia di fantasmi completamente diversa, che ad un certo punto si fonde con quella dell’autostoppista. Le versioni in cui l’autostoppista non è una ragazza, ma una vecchia veggente che sparisce misteriosamente, sono concentrate a Chicago e dintorni. In alcuni casi si hanno suore autostoppiste che predicano la fine della seconda guerra mondiale, in altri sono annunziate calamità naturali o epidemie.​

I folkloristi americani si sono interessati per primi alla storia, tant’è che nell’indice dei motivi folklorici di Stith Thompson essa ha una codifica precisa E332.3.3.1. Non per nulla il primo libro di Jan Harold

Brunvand, colui che ha fatto conoscere al grande pubblico le leggende metropolitane, si intitola

The vanishing Hitchiker In seguito, vista la diffusione della leggenda in numerose nazioni, si sono

affiancati anche gli studiosi europei. Non ultimo lo storico Cesare Bermani che vi ha dedicato ampio spazio nel suo libro Il bambino è servito, leggende metropolitane in Italia (5) ed Emanuela Brunetti, laureatasi nel 1993 in Lettere a Firenze con una tesi in gran parte imperniata sull’argomento. ​

E’ importante, a questo punto, sottolineare che la storia dell’autostoppista fantasma non è contemporanea per nascita, come rileva proprio la Brunetti. Il motivo centrale del morto che torna è permeato di tradizioni secolari che, per mantenere credibilità devono assumere forme nuove. Ecco che quindi compare l’automobile, il simbolo per eccellenza della società moderna. Inoltre, mentre il fantasma tradizionale si rivela subito come tale, il fantasma dell’autostop riesce a mascherarsi da essere umano. Lo spettro in grado di apparire umano è un elemento che non diviene popolare prima del XIX secolo. Esaminando alcuni racconti di matrice ottocentesca possiamo costatare che non ci troviamo di fronte ad una sola leggenda ma presumibilmente ad una famiglia di leggende.


Il fantasma al ballo

Ad esempio, il motivo della persona morta in modo violento o per suicidio che è costretta a vagare fino a quando il suo ciclo naturale non sia compiuto viene qua associato alla leggenda dell’autostoppista. Questa variante, come evidenzia anche Cesare Bermani, è senz’altro la più diffusa in Italia, nonché in vari paesi latino americani, e presenta molte caratteristiche in comune col cosiddetto “fantasma al ballo”. Una versione di questa storia, ambientata a Palermo, la ritroviamo sotto forma di notizia in prima pagina sul "Mattino dell’Italia Centrale" del 14 maggio 1948.​

“In via Perpignano 33, in una sala pubblica, si teneva una festa nuziale. Verso le ore 21 fece la sua apparizione una fanciulla sconosciuta, che nessuno dei due sposi aveva invitato. Essa aveva i capelli sciolti e indossava un vestito di seta bianca, con un nastrino azzurro che le legava i capelli, alla moda di cinque anni fa. La misteriosa fanciulla, che gli invitati descrissero poi come straordinariamente bella, si fermò nella sala per una ventina di minuti. Ella stessa invitò uno dei presenti, un soldato catanese in servizio presso l’11° CAR, a ballare. Il soldato notò l'estrema freddezza delle mani della fanciulla. Terminato il ballo, la ragazza se ne andò; il soldato la seguì e si offrì di accompagnarla.

La ragazza, sempre tacendo, ebbe un brivido di freddo, e il suo cavaliere premurosamente si tolse il cappotto e glielo pose sulle spalle. Quando la fanciulla si fermò, i due erano arrivati innanzi al cancello del Cimitero di Palermo, e il soldato credette che ella fosse parente del custode. La fanciulla solo allora pronunziò poche parole a voce bassissima: ‘Vieni a prendere il cappotto qui domani a mezzogiorno’, e poi si avviò per il viale del cimitero, lasciando il giovane piuttosto interdetto.”​

“L’indomani, presentatosi all’appuntamento, non vi trovò nessuno, e dal custode apprese che nessuna ragazza abitava con lui. Già il soldato pensava a uno scherzo di cattivo genere, quando vide apparire sul viale uno dei becchini del cimitero che aveva sul braccio il suo cappotto, che aveva trovato proprio allora abbandonato presso una tomba. In una tasca del cappotto era un bigliettino che diceva: ‘arrivederci tra quindici giorni’. Il soldato, recatosi presso la tomba ove era stato rinvenuto il cappotto, riconobbe con grande meraviglia nella fotografia, la sua compagna della sera prima.”​

“Il soldato è ora a letto - conclude il giornalista - con la febbre e, man mano che passano i giorni, vede avvicinarsi con molta preoccupazione il misterioso appuntamento. Egli si augura che sia la fanciulla a venire a trovare lui sulla terra e non viceversa.”


E’ interessante notare come questo presunto fatto di cronaca ricalchi la vicenda narrata nel disco, inciso agli inizi degli Anni 60, Il soldato e la fantasma del cantastorie Paolo Garofalo di Paternò, Catania. Il fantasma è una giovane donna lasciatasi morire per amore, che torna a ballare col fidanzato per invitarlo a raggiungerla nell’oltretomba. E, dopo l’incontro, anche il fidanzato muore. La canzone è stata ispirata da un episodio pubblicato sulla Domenica del Corriere una decina di anni prima.​

Il tema, nelle sue diverse forme, compare inoltre in numerose opere letterarie. Tra le prime, in ordine di tempo, troviamo il racconto La sposa di Anfipoli. Nella cerchia dell'imperatore Adriano c'era un liberto di origine greca, Flegone, che amava moltissimo le storie di fantasmi. Una sera Flegone raccontò all'imperatore e ai suoi amici, giurando e spergiurando che era vera, la strana vicenda di una giovane donna di Corinto che aveva fatto visita al suo promesso sposo e aveva trascorso con lui alcune ore d'amore, al termine delle quali gli aveva lasciato il suo velo. L'uomo aveva poi saputo che in realtà la fidanzata era morta, ma quella stoffa stava lì a dimostrargli che il suo non era stato soltanto un sogno. Altri assistettero all’incontro, e a subirne le conseguenze fu il promesso sposo costretto a seguire nell’aldilà la sua amata.​

Sono passati pressoché duemila anni e racconti simili continuano a girare il mondo. A metà degli Anni 90 la storia, in una versione contestualizzata, si diffonde in Val Brembana, nella provincia di Bergamo. Tra i giovani circola con insistenza la voce che nelle vicinanze della discoteca Snoopy di Serina, un ragazzo ha offerto un passaggio ad una ragazza stranamente silenziosa, che si è fatta accompagnare fino a casa, dimenticando però la borsetta con il portafoglio. Il giorno dopo, nel tentativo di restituire la borsetta, il ragazzo scoprirà che l’autostoppista è morta da molto tempo. Secondo Stefania Fumagalli, laureatasi nel 1999 all’Università di Urbino con una tesi interamente dedicata alla “ragazza dello Snoopy”, è significativo che le versioni brembane dell’autostoppista fantasma siano localizzate nelle vicinanze del santuario del Perello, a Rigosa-Sambusita, costruito in memoria di un’apparizione mariana del 1432 e popolarissimo nella valle. Tra apparizioni mariane e morti che tornano, del resto, i rapporti sono tutt’altro che casuali.​

All’origine della diffusione delle storie di autostoppista fantasma in Val Brembana, sempre secondo Fumagalli, ha contribuito anche la televisione. Dall’analisi comparata dei racconti e dalle testimonianze da lei raccolte risulta evidente l’innesto su una versione locale e ottocentesca della leggenda (il vetturino alle prese con una misteriosa dama in nero) della storia nota in Francia come “la dama bianca di Palavas”, divulgata in Italia la sera del 31 ottobre 1994 dalla trasmissione televisiva Misteri.​

Un’altra traccia importante del percorso seguito dalla leggenda la troviamo in un episodio di una serie TV all’epoca molto seguita dagli adolescenti,Professione vacanze, in cui l’incontro del protagonista con il fantasma di una ragazza si conclude con una sequenza che ripropone lo schema base delle storie di autostoppista fantasma. L’episodio è stato trasmesso per la prima volta nell’estate 1994. Le scuole medie e superiori della zona, conclude Fumagalli, hanno fatto da catalizzatore all’innesto, grazie anche alle sollecitazioni di alcuni insegnanti particolarmente attenti alle tematiche del racconto e della cultura orale.


La sparizione della veggente

C’è un’altra versione, largamente diffusa negli Stati Uniti, che non sembra aver avuto fino a tempi recenti diffusione in Italia.​

Una strana notizia aveva invaso numerosi quotidiani nel febbraio 1977. Una catastrofe annunciata da una misteriosa “vecchina” si sarebbe abbattuta sulla città di Milano. La profezia sarebbe stata raccolta da numerose persone che avevano incontrato la donna chi sul taxi, chi sul filobus, chi sulla metropolitana. Due giovani stavano percorrendo in auto la zona sud della metropoli lombarda. Mentre transitavano dalle parti di San Colombano al Lambro, notarono sul ciglio della strada, nella nebbia, una donna anziana che chiedeva un passaggio. La vecchina fu fatta accomodare sul sedile posteriore, poi, tra un sospiro e un colpo di tosse, lanciò la terribile profezia: “Evitate Milano la sera del 27. Ci sarà un terribile terremoto che distruggerà mezza città”. I due giovani giratisi per guardarla in faccia notarono che la signora non c'era più, dissolta. Sul sedile era rimasta una carta d'identità. I giovani si fermarono a bere un brandy per cercare di rimettersi in sesto. Poi andarono dai carabinieri a raccontare l’episodio. Le indagini rivelarono che il documento apparteneva ad una persona morta dieci anni prima! Ma i testimoni del misterioso incontro sono sempre rimasti nell’ombra e nessuno li ha veramente conosciuti.



Un episodio analogo accaduto alcuni mesi nei pressi di Ferrara, anche se non ha avuto gli onori delle cronache, è parimenti significativo. Durante le piene del Po occorse tra ottobre e novembre 1976 due ragazze a bordo di una 500, poco dopo aver attraversato il ponte sul fiume in località Pontelagoscuro, si imbattono in una donna vestita di nero che fa l’autostop. Appena fatta salire a bordo l’anziana donna inizia una conversazione sibillina: “Dopo domani una scossa di terremoto romperà gli argini e l’acqua inonderà le terre al di qua e al di là del Po”. Detto questo la vecchietta svanisce nel nulla lasciando di stucco le ragazze. Un velo sarebbe rimasto sul sedile come prova dell’incontro. Anche se si diceva che le ragazze avessero riferito il fatto alla polizia, non fu trovata traccia di alcuna denuncia. ​

La storia sembra ripetersi intorno alla metà del gennaio 1981 interessando questa volta Napoli e dintorni, ovvero tutte le aree colpite dal disastroso sisma del 23 novembre 1980. Secondo la ricostruzione fatta dall’antropologo Paolo Apolito, una vecchia fermava un’auto per strada, chiedeva un passaggio e l’otteneva. Nel viaggio invitava a non lamentarsi e piangere per il 23 novembre perché era ben poco quello che era successo. Vi sarebbe stato un prossimo cataclisma ben più distruttivo. Subito dopo chiedeva di scendere e andava via. L’automobilista che concedeva il passaggio era spesso un cacciatore. Il cataclisma annunciato era quasi sempre un terremoto, ma anche un maremoto, un’eruzione vulcanica, la fine del mondo.


In una versione, riferitami come episodio veramente accaduto, due operai che stavano ritornando dalla caccia a bordo di una 127 diedero un passaggio ad una vecchietta vestita di nero con un fagotto bianco. La fecero sedere dietro e dopo un po’ la vecchina disse loro “di andare a prendere le loro famiglie e di mettersi in salvo per il giorno 14 febbraio, perché ci sarebbe stato un gran botto ed un grande polverone”. I due amici si girarono e si accorsero che la donna era scomparsa; sul sedile era rimasto il fagotto a dimostrazione che non avevano sognato. In effetti, quel giorno verso le 20 vi fu una forte scossa, ma per fortuna molto breve e quindi non rovinosa. La conferma della profezia diede linfa alla narrazione che moltiplicò la velocità d’espansione. In molti raccontavano della Vecchia che prevedeva un altro cataclisma, spesso definitivo, da fine del mondo, per il 7 marzo. Ma i giorni passarono tranquilli, e pian piano anche questa volta della Vecchia non si seppe più nulla.​

Significativo, secondo Apolito, il contesto metaforico di mediazione tra vivi e morti in cui si svolge la profezia: non in un posto stabile dei vivi, né in un luogo dei morti, ma lungo il confine rappresentato dal viaggio, dal viaggiare, simboli arcaici della morte. “Mi sembra rilevante - prosegue Apolito - non tanto la profezia in sé, ma la narrazione collettiva di essa. Le opinioni ufficiali sul terremoto avevano già suscitato una forte ripresa della parola in funzione esorcizzante: tutti si raccontavano le cose lette sui giornali o viste in TV, ingabbiando in una maglia verbale, l’angoscia latente. Quando le fonti ufficiali divennero assenti, ecco l’emergere di immagini arcaiche. Ciò che era importante è che si parlava e si allontanava con ciò la paura, attraverso un ritrovarsi collettivo. D’altra parte la previsione del giorno e dell’ora esatti era una garanzia che il terremoto non sarebbe più arrivato all’improvviso. La profezia - conclude l’antropologo - rivela un meccanismo collettivo di autorassicurazione e di controllo rituale del tempo.”


Storie analoghe, con protagonisti diversi quali monaci, angeli o suore, le ritroviamo ambientate un po’ in tutta Europa. Ad esempio, nell’autunno del 1982 si narra di una mezza dozzina di automobilisti tedeschi che sull’autostrada Monaco-Salisburgo, avevano preso a bordo un giovane dalla barba bionda, coi jeans e una casacca che annunciava la fine del mondo per il 1984, affermando, prima di scomparire dalla vettura, di essere l’arcangelo Gabriele, “messaggero di Dio”. Della storia si fece un gran parlare, soprattutto in Baviera, tant’è che l’arcivescovo di Monaco ritenne necessario esprimere in un comunicato ufficiale di diffidare di tale presunta manifestazione angelica. ​

Una sicura evoluzione della versione più classica, ha iniziato a circolare in Italia, e poi in altri paesi, poche settimane dopo i tragici eventi dell’11 settembre 2001. Ci riferiamo alla vicenda, raccontata da molti come fatto realmente accaduto, dell’extracomunitario in coda alle casse di un ipermercato. Al momento di pagare gli mancano pochi spiccioli. La signora dietro di lui si offre di venirgli incontro e salda il conto. L’uomo ringrazia compiaciuto. All’uscita, raggiunge la donna e per sdebitarsi l’avverte di non recarsi a fare la spesa in quel centro commerciale nel prossimo fine settimana perché sarebbe accaduto qualcosa collegato ai recenti atti terroristici. Una segnalazione raccolta personalmente contiene una variante interessante.​

L’episodio è ambientato all’Iper di Tortona, in provincia di Alessandria. Una ragazza arrivata alla cassa ha davanti a lei una vecchina alla quale mancano duemila lire per pagare per intero la sua spesa. Pur di evitare ulteriori sprechi di tempo, questa ragazza chiede alla vecchina se poteva mettere di tasca sua le duemila lire. La vecchina accetta. La ragazza, a sua volta, si fa fare il conto dalla cassiera, imbusta la spesa e fa per uscire dal supermercato. All'uscita incontra nuovamente la vecchina di prima che le dice: “Visto che è stata così gentile e carina le voglio fare un favore: non venga a fare la spesa qui nei giorni 23 e 24 dicembre... ”, e se ne va.



L’improvvisa sostituzione dell’arabo con una vecchina potrebbe sembrare casuale e non significativa, ma accomuna la storia a quella della vecchina che venticinque anni prima annunciava la distruzione di Milano. L’accostamento tra l’arabo riconoscente e la vecchina profetizzante non è casuale. E’ la dimostrazione che le recenti storie riprendono, modernizzandoli, motivi del folklore tradizionale.​

Le storie sinora analizzate sono espressioni di timore nei confronti di eventi che potrebbero capitare da un momento all’altro. Il loro racconto, come episodi reali, è condizionato da un senso latente di inevitabilità. Dobbiamo essere pronti a tutto, e il fatto che nessuna delle catastrofi sinora annunciate ha avuto luogo ci fa anche sentire meglio. In questo caso, la leggenda ha assolto al suo compito.

Leggenda o realtà?

Il confine fra ciò che definiamo leggenda ed altri generi risulta spesso difficile da delineare. L’unica cosa certa è che la storia dell’autostoppista fantasma non è contemporanea nel senso stretto del termine. La sua diffusione è dimostrata sin dalla fine dell’ottocento se non prima.

Secondo la studiosa inglese Gillian Bennett è estremamente difficile classificare e schematizzare le innumerevoli versioni della storia. I racconti non sono creazioni originali della nostra epoca. Non sono neppure specificatamente “urbani”, e il termine “leggenda” pone numerosi problemi. Infatti le narrazioni si presentano sotto forme diverse: notizie, esperienze vissute, storie incredibili.​

Gli autostoppisti fantasma si manifestano come donne o uomini, giovani o vecchi. Non sono necessariamente spiriti di defunti, in quanto possono essere divinità, santi, angeli o esseri fantastici del folklore locale. Parlano o restano silenziosi. Non fanno obbligatoriamente l’autostop e non stanno sempre sui bordi di una strada. Lasciano o meno un oggetto, una traccia. Non sempre spariscono dal veicolo in movimento. Il conducente può essere da solo o in compagnia di altre persone. Oltre alle auto, utilizzano autobus, treni, moto, ciclomotori e, nei racconti più antichi, cavalli e carrozze. La diffusione orale inoltre è lungi dall’essere l’unico o il principale mezzo di trasmissione. E’ necessario tener presente il ruolo fondamentale dei mezzi di informazione, in primis la stampa.


Il ricercatore inglese Michael Goss, nel tentativo di dimostrare che l’apparizione dell’autostoppista fantasma è un fenomeno paranormale ha cercato di contattare testimoni che avessero vissuto direttamente l’esperienza. Al termine della sua indagine, pubblicata nel libro I fantasmi della strada , oltre alle numerose versioni che egli stesso definisce di tipo folklorico, scopre cinque casi credibili di vissuto. Goss riesce però ad intervistare un solo testimone diretto, Roy Fulton, un giovane inglese di Dunstable che il 12 ottobre 1979 diede un passaggio al “suo” fantasma autostoppista. Lo studioso ritiene tuttavia queste esperienze interpretabili come allucinazioni oggettivizzate. I vari racconti sembrano inoltre più vicini ad altre storie fantastiche razionalizzate come quelle riguardanti il rapimento di donne nei negozi di abbigliamento o i lanci di vipere da velivoli non meglio identificati, anche se, a differenza di queste ultime, nel caso dell’autostoppista permane un forte riferimento al mondo sovrannaturale.​

Un caso a tal proposito è emblematico. Se n’è occupato lo studioso franceseFraderic Dumerchat. Il 20 maggio 1981 quattro giovani, due ragazzi e due ragazze, tra i 17 e i 21 anni tornano con una Renault 5 da Palavas-les-Flots diretti a Montpellier. A mezzanotte, davanti al ponte dei Quatre-Canaux, all’altezza di una stazione di servizio, una donna fa l’autostop al lato della strada. Ha un impermeabile bianco e un foulard dello stesso colore. L’auto si ferma e il conducente le domanda se va a Montpellier. La donna, che dimostra una cinquantina d’anni, annuisce. Sale e si mette dietro tra le due ragazze. Dopo un paio di chilometri, si mette a urlare: “Attenzione alla curva, attenzione alla curva!” Superata la curva, a 90 chilometri orari, la donna scompare dall’auto. I quattro, impressionati dall’episodio, si recano subito al commissariato di Montpellier dove raccontano il fatto ancora impauriti. La vicenda farà molto rumore sulla stampa francese e sarà in seguito a questo caso, da qualcuno spiegato come una burla, che sui giornali affioreranno analoghe storie, alcune già in circolazione dagli anni Settanta.


Capita anche che, pur non potendo rintracciare i conducenti dei veicoli, siano i fantasmi ad avere nome e cognome. Poco tempo fa, per la precisione a metà marzo 2003, a Brindisi, a quasi due anni di distanza dalla tragica morte di madre e figlia che per un errore di manovra finirono in fondo al mare con la loro vettura, ha circolato con insistenza pressoché ovunque, negli uffici, scuole, ospedali, questura una storia che si richiama a quella tragedia. Erano da poco passate le 23 quando una coppia di brindisini si sarebbe trovata in auto nella zona di Costa Morena, dove avvenne l’incidente. A bordo strada notano una ragazza: alta, bruna, coi capelli lisci e molto bella. Questa chiede loro un passaggio in città. Dice di essere stata lasciata lì dal suo fidanzato, dopo un litigio. Giunti in città, il conducente chiede alla ragazza dove avrebbe dovuto lasciarla. “Vicino al cimitero”, sarebbe stata la secca risposta. Arrivati, la ragazza scende, saluta e si allontana. I due la seguono con lo sguardo e notano che avrebbe varcato la soglia del cimitero, malgrado a quell’ora fosse chiuso. Fu in quel momento che alla coppia ritornò in mente la tragedia avvenuta nel settembre 2001. A Brindisi la storia è sulla bocca di tutti, in quanto la comunità intera ricordava Paola Marra, 20 anni, morta assieme alla madre in circostanze così assurde. Per placare le voci sempre più insistenti, la Gazzetta del Mezzogiorno dovette pubblicare un’intervista al padre della ragazza, che chiedeva fosse rispettato il ricordo della figlia.​


Tutto ciò ricorda un altro episodio, accaduto a Milazzo, in provincia di Messina, nel maggio 1987. Nella cittadina in molti si raccontavano la storia tant’è che La Gazzetta del Sud vi dedicò un lungo articolo. Un ragazzo lungo la strada per Milazzo fu colpito dalla figura di una giovane vestita di bianco. Tremava dal freddo, così le da un passaggio fino a casa e le presta il giubbotto. Il giorno dopo tornò a bussare a quella casa. Gli apre una donna anziana. I particolari che seguono sono i soliti: lui riconosce la ragazza in una foto, è morta da anni e la donna è sua madre, sulla tomba della ragazza, il giovane incredulo trova il suo giubbotto. Anche in questo caso, c’è una storia, vera e triste, annidata nelle pieghe della memoria della comunità locale che ha fatto emergere la leggenda. Tutta la cittadina sapeva chi era la ragazza sul bordo della strada. Si chiamava Paola, soffriva di depressione e sette anni prima si era tolta la vita. Aveva 22 anni. I genitori non se ne sono mai data spiegazione, e lo strano racconto ha fatto loro solo del male.​

Come abbiamo visto, la vicenda dell’autostoppista fantasma si incarna in numerosi generi: storie raccontate accadute all’“amico dell’amico” (le classiche leggende metropolitane), voci non confermate, falsi o burle, finzioni letterarie, cronache giornalistiche, esperienze vissute da un testimone ben identificato. Queste narrazioni tendono comunque a costituirsi in un genere leggendario, una mitologia contemporanea, dove il “sovrannaturale” è decisamente più sollecitato che nelle leggende contemporanee propriamente dette. Secondo il sociologo francese Jean-Bruno Renard, la coesistenza dell’esperienza vissuta e della leggenda pone un problema cruciale: è l’esperienza stessa all’origine della leggenda o è la leggenda che “chiede” esperienze? Bertrand Méheust, filosofo e folklorista, propone una nuova via di ricerca che considera tutte le mitologie come un sistema d’interazione tra “vissuto” e “rappresentazioni culturali”, l’assenza dell’uno o dell’altro elemento provoca la morte della mitologia stessa.


martedì 26 luglio 2022

Il mistero del vaso di Basano.


Sapevate che uno degli oggetti piu' infestati al mondo è italiano? Si tratta del vaso di Basano e a causa della sua maledizione è stato messo in un luogo sconosciuto… speriamo di non ritrovarlo!


La storia:

Questo vaso è stato realizzato nella seconda metà del XV secolo ed è realizzato in argento.

La leggenda racconta che era il regalo per una sposa di un paese vicino Napoli, ma la donna fu assassinata durante la notte di nozze.

Venne ritrovata mentre stringeva il vaso e giurava vendetta prima di morire. Il vaso passò in eredità di famiglia in famiglia e in ognuna di esse avvennero morti in circostanze mai chiarite.

Si decise dunque di sotterrare il vaso affinché non facesse più vittime ed effettivamente, una volta posto in un luogo sicuro, non avvennero più morti.


Il ritrovamento del vaso di Basano.

Questo fino al 1988 quando una persona, notando qualcosa luccicare nel suo giardino, decise di vedere di cosa si trattava.

Quando portò alla luce il reperto si rese conto che era un vaso d’argento. All’interno venne trovato un biglietto con scritto attenzione, questo vaso porta morte, ma invece di distruggerlo o sotterrarlo di nuovo decise di venderlo. Venne messo all’asta dove se lo aggiudicò un farmacista per la cifra, a quel tempo importante, di 4.000.000 di lire.

Tre mesi più tardi il farmacista morì. La famiglia decise di disfarsene e un chirurgo alquanto scettico riguardo la maledizione decise di comprarlo.

Grandissimo errore, perchè, due mesi, più tardi morì anche lui nonostante la giovane età di 37 anni.


Anche questa volta venne venduto e l’acquirente fu un archeologo che voleva lo splendido vaso per la sua collezione.

Anch’egli morì tre mesi più tardi di un’infezione sconosciuta. La famiglia dell’archeologo cercò di vendere il vaso ma, dopo tutti questi fatti raccapriccianti, fu davvero difficile.

Nonostante ciò trovarono un acquirente, anche se lo pagò meno dei 5 milioni di lire sborsati dall’archeologo. Anche questo sfortunato acquirente morì nel giro di un mese e la famiglia, esasperata, prese il vaso e lo gettò da una finestra.

Il vaso quasi colpì un poliziotto in testa e per questo alla persona che lo gettò venne fatta una multa. La famiglia pagò ma non rivolle assolutamente il vaso.

La polizia cercò quindi di donarlo a dei musei ma nessuno ormai, dopo la brutta fama che aveva, lo volle accettare.

Decisero quindi di metterlo in un luogo sicuro affinché nessuno lo ritrovasse mai.

Si dice che sia stato riposto in una cassetta di piombo e sotterrato in un vecchio cimitero, nella speranza che nessuno lo ritrovi mai.


lunedì 25 luglio 2022

Eric Stenbock , un vero Conte forse Vampiro.

Per fare un passo in avanti nel vostro viaggio alla ricerca del vero volto di Vlad III l’Impalatore aggiungerei un’ipotesi degna di venire presa in considerazione da quanti si sono come chi scrive appassionati alla vita, alle opere dello scrittore irlandese che mai viaggiò per le nebbiose contrade della Transilvania, ma che ebbe la capacità di suscitare nei lettori del suo immortale romanzo la curiosità, l’interesse per quelle contrade, per le locali leggende, per le inconsuete tradizioni popolari.

A sinistra, una delle tante, inquietanti, raffigurazioni di Vlad III l’Impalatore, il vero “Dracula”. A destra, il dottor Roberto Volterri sull’isolotto di Snagov (Romania) dove sarebbe sepolto il vero personaggio fonte di ispirazione per lo scrittore irlandese Bram Stoker.


D’altra parte Bram Stoker e lo stranissimo Conte Eric Magnus Andreas Harry Stenbock che ora incontrerete vissero a Londra nello stesso periodo e non credo sia da rigettare a priori l’idea che l’irlandese abbia avuto sentore che nella stessa città in cui abitava faceva parlare di se uno strambo aristocratico che amava uscire solo di notte, illuminava la sua dimora – abitata anche da serpenti, lucertole, salamandre e rospi! – solo con candele nere, riceveva gli ospiti seduto in una bara e non pranzava se il suo batrace preferito non si appollaiava sulla sua spalla mentre un allegro serpente si arrotolava ai suoi piedi. O almeno così si narrava in città…

Se questa fosse una storia vera potremmo affermare con qualche probabilità di essere nel giusto affermando che Bram Stoker, l’indimenticabile, “immortale”, autore del “Dracula” più celebre tra tutti i “Dracula” sorti dal 1897 in poi si sia ispirato – almeno in minima parte – proprio ad un curioso personaggio che visse in quegli anni a Londra: il Conte (vero Conte!) Eric Magnus Andreas Harry Conte di Stenbock, Barone di Torpa e… molto altro ancora.

Ma questa è una storia vera!

Foto giovanile del Conte Eric Magnus Andreas Harry Stenbock e un suo strano, rarissimo, libro… sulla morte.


Bram Stoker quasi certamente avrà sentito parlare di un giovane nobile, nato da un’antica famiglia dell’Estonia, ormai avviata verso la decadenza, arrivato in Inghilterra per seguire un regolare corso di studi ad Oxford, celebre università da cui viene regolarmente espulso per un comportamento che non lascia presagire nulla di buono.

Il Conte Stenbock – tralasciamo la lunga sfilza di altri nomi e titoli nobiliari! – nasce un lontano lunedì 12 Marzo 1860 a Cheltenham , nel Gloucestershire, dal Conte Eric Friedrich Diederich Magnus, passato a miglior vita a soli ventisei anni, quando il suo quasi omonimo figliuolo è venuto al mondo da pochi mesi.

La madre si chiama Lucy Sophia Frerichs, inglese, e ben presto si consola con tale Frank Mowatt, subito cordialmente odiato dal futuro aspirante “vampiro”.

Divenuto adulto, in possesso di una discreta rendita familiare, il nostro Conte frequenta il Balliol College di Oxford mietendo clamorosi… insuccessi.

Alto, molto magro, con un’inquietante pallore del volto, i capelli fluenti, indossa perennemente un abito da sera ovviamente… nero! – ed uno svolazzante mantello.

Nella sua stanza ama circondarsi di serpenti, lucertole, salamandre e rospi e i suoi interessi si rivolgono ben presto verso il tema della morte e della decadenza del corpo umano. Quando viaggia porta con se un cane ed una scimmia…

La morte e alcuni inconsueti aspetti della religione sembrano ossessionarlo poiché ama sostenere che

La morte è una sporca entrata per una bella religione in cui non ci saranno né la nebbia di Londra né alcuno dei mali che agitano i poeti e gli artisti di qui.

Il lettore interpreti come vuole tale criptica affermazione…

Come ogni “vampiro” che si rispetti, il Conte Stenbock esce soltanto di notte ed illumina la sua cupa dimora con candele rigorosamente nere.

Nel suo strano appartamento londinese riceve gli amici seduto in una bara, tenendo così si mormora… un rospo su una spalla, rospo che non lo abbandona mai anche quando il Conte siede a tavola mentre un serpente si arrotola sulle sue caviglie…

Si mormora anche, le solite “malelingue” ovviamente! Che egli si dedichi a riti di Magia Nera. Naturalmente le droghe, oppio in particolare non mancano nella sua quotidiana ricerca del “diverso” in ogni sua manifestazione, e ben presto diventa un forte bevitore.

Ben poco lodevoli attività, queste, che lo spingono a creare il “Club degli Idioti”, frequentato suppongo da altri individui che definire eccentrici suonerebbe come un inno al culto per le perifrasi…


Il “Club degli Idioti” fondato dallo strano Conte Stenbock

Stenbock, molto seriamente, afferma che anche in Estonia, terra d’origine dei suoi avi, esistono simili “Club” i cui membri, sentenzia senza alcun intento ironico “…sono più morti che vivi…”.

Le sue stranezze inducono ben presto i suoi fratellastri ad allontanarsi da lui, forse temendo qualche improvviso e irreversibile accesso di follia.



Il “Club degli Idioti” fondato dallo strano Conte Stenbock.

Il Conte, proprio per non lasciare che trapelino dubbi sulla sua pazzia, viaggia con una sorta di bambola che egli battezza “Piccolo Conte”, si interessa vivamente del fenomeno del “vampirismo” e ne dà ampia testimonianza in alcune sue opere poetiche tra cui “The lunatic lover”, in cui un “non-morto” raggiunge le sue prede “viaggiando” in una dimensione onirica, “L’ombra della morte”, in “A dream” e nel racconto breve intitolato “La vera storia di un Vampiro”.



“Parce sepulto”… Sotto questa croce, ormai divelta dal tempo e dall’incuria, giace l’aspirante “vampiro” Conte Eric Magnus Andreas Harry Stenbock.

Non facendo certamente onore alla conclamata “immortalità” del personaggio al quale ha ispirato alcune sfaccettature della sua esistenza, Il Conte Eric Magnus Andreas Harry, Barone di Torpa… e altro ancora, lascia definitivamente questa “valle di lacrime” un triste venerdì 26 Aprile 1895.

Ha soli 35 anni, gran parte dei quali trascorsi in una dimensione del tutto irreale…

Gli viene estratto il cuore che viene inviato in Estonia per essere conservato insieme a simili resti dei suoi avi.

Possiamo sospettare che Stoker abbia sentito parlare di questo stranissimo personaggio, autore del breve racconto sui “vampiri” che abbiamo appena menzionato, pubblicato nel dicembre del 1894 – tre anni prima del ben più celebre “Dracula” stokeriano – in una antologia sinistramente intitolata “Studi sulla Morte”?

Forse sì, forse no.


domenica 24 luglio 2022

Sati – il macabro sacrificio delle vedove.

I riti legati alla morte costituiscono, da millenni, uno degli aspetti più intriganti del vasto universo antropologico. Questi rituali non solo hanno lo scopo primario di onorare e ricordare i defunti, ma anche di esorcizzare la morte stessa. Dalle grandi civiltà alle più sperdute tribù, dalla più remota antichità ai giorni nostri: molteplici sono i rituali elaborati dagli uomini di ieri e di oggi.

Rituali, tuttavia, che sovente sfociano nel macabro, nell’invasamento, nel fanatismo, nel gore e – a seconda delle leggi in vigore – nell’illegalità più spinta.

Quello che andremo ad illustrare è, senza dubbio, uno dei rituali funebri più cruenti ed efferati. Destinazione India, alla scoperta della macabra pratica della Sati.


Da divinità a pratica terrena

In sanscrito è सती. Sati.

È da questa antica divinità induista che deriva il nome della omonima, macabra pratica funeraria. Per comprendere appieno le origini di questo rituale occorre, almeno in estrema sintesi, addentrarci all’interno del complesso e variegato mondo del pantheon induista e delle più radicate tradizioni filosofiche e religiose indiane ed orientali.

Sati è la personificazione della Prakṛti: un’astrazione di pensiero di difficile comprensione la quale, per semplificazione, può essere associata al nostro concetto di “Natura” o, meglio ancora, “forza motrice primordiale”, citando la “Bhagavadgītā”, divenuta un autentico testo sacro benché parte del poema epico “Mahābhārata”.

A volere che la “Natura” prendesse forma umana è Brahmā, il creatore dell’Universo.

Sati è figlia di Dakṣa – uno dei figli di Brahmā e di Prasūti. Sati diventerà moglie di Siva, una delle divinità maschili più importanti dell’Induismo. Il matrimonio, tuttavia, è osteggiato invano da Dakṣa.

Il seguente episodio scaturirà l’origine della pratica del rituale. Dakṣa osa non invitare Sati e Siva ad un Yajña, un particolare rituale di sacrificio. Sati, tuttavia, decide di recarsi comunque al rito e di affrontare suo padre. L’episodio genera una lite tra Dakṣa e Sati, la quale profondamente ferita dal comportamento del proprio padre si immola, iniziando a bruciare dalle viscere del proprio corpo. Un’altra versione della storia afferma che Sati si getta tra le fiamme dei fuochi sacrificali impiegati durante lo Yajña.

Siva, in quel momento in meditazione sul monte Kailash, percepisce l’accaduto. Genera, allora, Virabhadra, un demone vendicativo il quale farà strage di tutti coloro i quali si sono opposti a Sati e Siva stesso. Anche Dakṣa non verrà risparmiato e verrà decapitato.


Sati, il sacrificio delle vedove



Il mito e i racconti legati a Sati non si esauriscono con il suo sacrificio ma, nel nostro caso, è sufficiente soffermarsi sul particolare madre di questo mito, ossia l’immolazione di Sati. Un episodio mitologico dal quale, tuttavia, nasce la pratica – assolutamente reale – della Sati.

Sembra che le prime tracce documentali di questa macabra pratica funeraria risalgano attorno al 510 a.C.; un indizio in tal senso ci viene da una stele eretta nella antica città di Eran, situata nell’attuale Madhya Pradesh, India.

In cosa consiste il rito funerario della Sati? Il rituale prevede che, morto il marito, la vedova si getti viva tra le fiamme della pira funebre allestita per il marito. Un’autentica immolazione, un suicidio rituale.

Esistono, in antichità, varie tipologie “ufficiose” del rituale. Nel nord dell’India, la donna viene legata ad un palo ed arsa viva mediante un braciere in bambù e legna colmo di sostanze grasse, così da rendere più efficiente la combustione.

Nel Bengala, sulle rive del Gange, si consuma un’altra forma del rituale: la donna, cosparsa di sostanze combustibili, è legata al corpo del proprio defunto marito e data alle fiamme in un braciere di paglia e palme. In altri luoghi dell’India, invece, il braciere è interrato.

Il suicidio rituale delle vedove è, evidentemente, un profondo, supremo atto di devozione coniugale verso il proprio consorte. Nei fatti si tratta di un suicidio ma, nei panni delle genti indiane, il termine “suicidio” appare improprio. Per le donne, anzi, la pratica funeraria della Sati è motivo di vanto e riscatto sociale: non tutte le donne possono ambire alla Sati e quelle che compiono la propria immolazione sono particolarmente meritevoli.

Tutte le caste sociali indiane abbracciano tale pratica ma, poiché i beni della vedova sono devoluti in eredità alla famiglia del marito defunto, la Sati si estende soprattutto tra le caste più benestanti e socialmente influenti, tra cui sacerdoti e militari.

Non tutta la multiforme India accetta questa pratica. Sikh, islamici della dinastia Moghul, molteplici induisti vietano o rifiutano tale pratica, da molti – già in passato – definita barbara e inutile.

L’occidentalizzazione dell’India – divenuta, nei secoli, colonia dei più importanti Paesi europei – conduce ad una graduale messa al bando della pratica della Sati.

È Lord William Bentinck, Governatore generale del Bengala dal 1828 al 1835 ad abolire per legge nel 1829 la pratica della Sati, operazione supportata anche dal Raja Ram Mohan Roy, personalità di spicco del riformismo indiano.

L’abolizione, tuttavia, non sortisce l’effetto sperato. In alcune zone dell’India (specie quelle a minor alfabetizzazione), la pratica resiste, anche sotto forma di coercizione nei confronti delle vedove, costrette con la forza ad immolarsi.

Le cronache redatte dalla Compagnia Britannica delle Indie Orientali offrono la misura del “fenomeno Sati”: dal 1813 al 1828, si calcolano in media circa 600 casi di immolazioni Sati all’anno. Si tratta, altresì, di cifre verosimilmente al ribasso: la pratica della Sati era, infatti, ben più estesa.

Il fenomeno, dal 1829, andrà gradualmente a scemare; in epoca contemporanea, si contano oltre 50-60 casi documentati a partire dal 1947-1950. Documentati, appunto: i casi di Sati non accertati, ignoti o interrotti potrebbero, anzi, sono molti di più.

Come negli anni successivi alla sua abolizione, la Sati è ancora oggi eseguita in zone particolarmente povere e sperdute. I casi certi, inoltre, aprono discussioni e dibattiti, anche al livello politico, circa la legittimità o meno di una pratica funeraria radicata nelle tradizioni e nel tessuto sociale più profondo dell’India. Documentati i controversi casi di Roop Kanwa (diciottenne immolatasi nel 1987), Charan Shah (55 anni, 1999), Vidyawati (35 anni, 2006), Janakrani (40 anni, 2006).

Sati: da divinità a macabro sacrificio. Fanatismo religioso, cieca esaltazione, viscerale, impenetrabile devozione: ingredienti di quella macabra suggestione chiamata Sati.

Questa pratica viene descritta anche nel libro “Il giro del mondo in 80 giorni” di Jules Verne.


sabato 23 luglio 2022

Kuchisake - onna: la storia della donna dalla bocca spaccata.


Oggi parliamo di uno dei tanti spiriti maligni che, secondo la leggenda, infestano le strade del Giappone. Questa è la storia di Kuchisake-onna, ovvero la donna dalla bocca spaccata. Diffusasi nel 1979, la storia racconta di una donna mutilata dal marito, tornata per perseguitare vittime innocenti. In patria, il racconto ha causato molto scalpore, tanto che ai bambini veniva permesso di tornare a casa da scuola solo in gruppo e accompagnati dalle insegnanti.


Le origini di Kuchisake-onna.

Kuchisake-onna una donna bellissima vissuta tra il 1603 e il 1868 (periodo Edo o Tokugawa), andava in giro per il villaggio in cui abitava chiedendo agli abitanti se la trovassero bella. Ovviamente, tutti gli uomini non potevano che rispondere affermativamente. La giovane si sposò con un samurai, ma presto iniziò una relazione clandestina con un soldato. Quando il marito scoprì del tradimento, chiese all’amante perché avesse scelto proprio lei. L’altro rispose che sua moglie era stupenda e non si sarebbe mai sognato di rifiutarla.

Il samurai, apprezzando l’onestà dell’uomo, lo risparmiò e decise di vendicarsi sulla propria sposa. Le tolse l’unica cosa a cui teneva veramente, cioè la sua bellezza. Infatti, tornato a casa, prese un paio di forbici e le taglio' la bocca da orecchio a orecchio (creando una specie di Glasgow smile). La donna, addolorata dalla perdita di ciò che aveva di più caro, si tolse la vita con un colpo di pistola e cadendo da un ponte.

Il suo spirito, però, si aggira sulla terra, condannato a vendicare il suo dolore. Si impossessa di un corpo che le assomiglia e viaggia, ancora oggi, nel mondo. Impossibile sapere dove avverrà il prossimo avvistamento.


Le due leggende su Kuchisake-onna.

Esistono due leggende che riguardo questa anima tormentata. Entrambe hanno dei punti in comune, ma alcuni aspetti sono molto più macabri.

Partiamo, quindi, con quella più tradizionale. Secondo la leggenda, la donna, con indosso una mascherina, si avvicinerà ai poveri sprovveduti per chiedere se la trovano bella. A quel punto il fantasma si toglierà ciò che le copre il volto e lo chiederà un’altra volta. Se la persona davanti a lei urlerà o risponderà di sì, lei le squarcerà la bocca per farla assomigliare alla sua. Se, invece, risponderà di no, la donna seguirà il malcapitato a casa e lo assassinerà in modo brutale.

In base alla leggenda moderna, però, Kuchisake-onna indossa una mascherina che si usa negli ospedali. Quando si avvicina alle potenziali vittime con la solita domanda, se queste rispondono negativamente, lei le ucciderà con un paio di forbici. Se, invece, risponderà di no dopo la rimozione della maschera, la persona davanti a lei verrà tagliata a metà. Nel caso in cui risponda affermativamente, come in precedenza, sarà sfigurata con l’uso delle forbici.


I metodi per sfuggirle.

Le vittime sembrerebbero non avere scampo. Tuttavia, ci sono dei modi attraverso i quali si può confondere lo spettro. Secondo entrambe le versioni della leggenda, basterebbe rispondere alla domanda con un “forse”, oppure lanciarle delle caramelle o denaro che lei si metterà a raccogliere. Avrete così il tempo di scappare senza farvi inseguire, evitando di venire uccisi a casa vostra quella stessa sera.


Gli avvistamenti.

Nel corso degli anni, Kuchisake-onna (o chi si spacciava lei) è stata avvistata. Nel 2004, in Corea del sud, una donna ha iniziato a inseguire i bambini per le strade, coprendosi il viso con una maschera rossa.

Negli anni ’70, periodo in cui ha cominciato a diffondersi la leggenda, una donna era solita a inseguire i bambini per le strade. Questa, però, fu investita da una macchina e morì. Il suo viso aveva lacerazioni che andavano da orecchio a orecchio.

L’ultimo avvistamento risalirebbe al 2018, in Texas. Qui una donna avrebbe mostrato il terrificante sorriso a un bambino, dopo essersi tolta una mascherina chirurgica.


venerdì 22 luglio 2022

Mothman: la leggenda dell’Uomo Falena.

Quella che andrò a trattare è una moderna storia che mescola folklore e mistero, una contemporanea leggenda metropolitana che vede come protagonista una strana creatura, una presenza oscura ed inquietante. “Urban legend” statunitense attorno alla quale si è fantasticato e si fantasticherà ancora a lungo. Icona di un territorio, di genti, di città. Sinonimo di sventura. Inspiegabile, imperscrutabile.

La leggenda del Mothman – l’Uomo Falena – rientra in quelle storie sempre in grado di solleticarmi, di incuriosirmi, di inquietarmi come poche altre sanno riuscirci. L’origine della passione per la leggenda del Mothman è presto detta: “The Mothman Prophecies – Voci dall’ombra”, film del 2002 diretto da Mark Pellington il cui protagonista – Richard Gere nel ruolo di John Klein, giornalista del “Washington Post” – si trova suo malgrado alle prese con il mistero del Mothman.

Il film è tratto dall’omonimo romanzo "The Mothman Prophecies" (1975), opera del giornalista e scrittore statunitense John Alva Keel (New York, 25 marzo 1930-New York, 3 luglio 2009), appassionato di ufologia, paranormale e misteri ed egli stesso attivo nelle vicende investigative inerenti al Mothman.

È grazie a questo splendido film che la storia dell’Uomo Falena ha fatto breccia in me. Più di altri racconti del mistero, più di tante macabre storie dell’umana follia, più di tanti film horror in cui sangue e violenza si susseguono facendo fede ad uno scontato canovaccio, sovente inutilmente urlato e quindi inefficace. Mi ha travolto come una tempesta, devo ammetterlo. Ricordo ancora la prima volta che lo vidi: di sera, da solo, incollato allo schermo, tanto intimorito quanto calamitato da una narrazione affatto banale. Un “rito” che ripeto e perpetro ogni volta che il film è trasmesso in TV.

Una pellicola che suscita dubbio, inquietudine, angoscia, fascino, pathos. Bravura del regista e di tutto lo staff tecnico impegnato nella realizzazione del film, abili a trasportare sul grande schermo – con brivido e tensione degni dei migliori horror – una leggenda metropolitana nata e sviluppatasi nei nostri tempi, nei nostri giorni, nella società moderna. Ogni scena, ogni dialogo alimenta gli stati d’animo descritti appena sopra, i quali si mantengono vivi ad ogni visione.

Ecco, dunque, la storia del Mothman, l’Uomo Falena.


I primi avvistamenti: nasce la leggenda del Mothman

West Virginia, seconda metà degli Anni ’60. Piccole città e comunità, improvvisamente, si trovano al centro delle cronache nazionali a stelle e strisce.

12 novembre 1966, Clendenin, piccola località nella Contea di Kanawha. Mentre stanno allestendo una tomba in un cimitero, cinque uomini divengono i protagonisti di quello che è, nella sostanza, il primo avvistamento ufficiale e documentato dell’età contemporanea del Mothman, l’Uomo Falena. Una creatura apparentemente umana, di colore scuro, provvista di ali, di grande statura, in grado di volare. La segnalazione, benché alquanto singolare, viene ignorata dalla stampa locale. Mitomani, si pensa. Passano pochi giorni ed ecco che il Mothman riappare.

15 novembre 1966. Sede dell’avvistamento è la cittadina di Point Pleasant, nella Contea di Mason, West Virginia. Ad avvistare il presunto Uomo Falena sono due coppie: Roger e Linda Scarberry e Steve e Mary Mallette. Si trovano a bordo di un’auto nei pressi di una ex fabbrica di munizioni, la cosiddetta “TNT area”. Le quattro persone coinvolte nell’”incontro ravvicinato” descrivono alla polizia la bizzarra creatura: dalle fattezze apparentemente umane, di statura imponente, occhi rossi, lunghe ali. Terrorizzate, le due coppie risalgono in auto e imboccano la Statale 62. Qui, rivedono la creatura, in piedi, la quale seguirà l’automobile per qualche chilometro.

La descrizione combacia con quanto avvistato dai cinque uomini appena pochi giorni prima. E, come si saprà, con quanto avvistato da altre persone giorni, mesi, anni prima. Le voci attorno all’Uomo Falena, infatti, affondano le proprie radici in epoche assai precedenti a quel 1966.

Una falena. Una falena gigante antropomorfa. Mothman, appunto.

Gli avvistamenti si susseguono martellanti. Il fenomeno sembra inarrestabile. E subito l’opinione pubblica si divide: bufala o realtà? Gli scienziati cercano di dare volto e nome plausibili all’essere che terrorizza le località della West Virginia. Una rara gru di sabbia che ha smarrito la propria via? Un uccello notturno di qualche tipo? Una sorta di immaginazione collettiva? Un sentire popolare che ha nuovamente acquistato vigore? O una bufala costruita e confezionata ad arte, per così dire, a scopo di lucro? Zoologi, cripto-zoologi, ufologi, semplici appassionati partoriscono le più disparate congetture, oggi come ieri. Le ipotesi si moltiplicano al pari degli avvistamenti. Incessanti. Nel bimestre novembre-dicembre 1966, si contano almeno venti segnalazioni degne di nota.

Gli avvistamenti del Mothman coprono un arco temporale che va, all’incirca, dal settembre 1966 al novembre 1967. Ventisei gli avvistamenti più significativi, tra cui le importanti segnalazioni del 12 e 15 novembre 1966. La cosiddetta “TNT area” e le zone attorno a Point Pleasant, in particolare, ricorrono più spesso e in modo deciso e decisivo. Tutti avvistano e possono avvistare il Mothman, senza distinzioni di sesso, professione, età, ceto sociale. E tutti si imbattono nella medesima creatura: una sorta di essere antropomorfo alto circa 2 metri, occhi assai luminosi e di colore rosso, in grado di muoversi in posizione eretta ma con passo che definiremmo “strascicato”, ali simili a quelle di una falena (da qui, il nome Mothman: moth, in inglese, vuol dire falena) ma che non vengono battute in fase di volo (almeno così percepiscono e riportano i testimoni oculari), capacità di librarsi in aria ad elevate velocità (riesce a seguire le automobili), emissione di particolari ronzii metallici.


Il Mothman: tra scienza, profezie e teorie del complotto.

Volenti o nolenti, il fenomeno del Mothman si allarga a macchia d’olio, pur rimanendo circoscritto,in modo particolare, al West Virginia e alle zone attorno a Point Pleasant. Anche lo Stato dell’Ohio – confinante con la West Virginia, è teatro di avvistamenti del Mothman.

Il fenomeno esiste, certamente, ma il punto è il seguente: cos’è o chi è il Mothman? È possibile accertare l’esatta e la concreta natura di questa creatura?

Lo sappiamo: costruire una leggenda metropolitana – oggi, queste leggende a sfondo horror e paranormale si chiamano creepypasta – è relativamente semplice. Ancora più facile alimentarla e cavalcarla. Lo scopo delle indagini attorno al Mothman è, dunque, cercare di districarsi tra leggenda, suggestione collettiva, mitomani, false testimonianze ed una presunta, eventuale realtà che ci narrerebbe di un essere antropomorfo a noi sconosciuto, volatilizzatosi nel nulla (almeno nell’area presa in esame) dopo la lunga scia di avvistamenti tra il 1966 ed il 1967.

Le tesi scientifiche e razionali, ovviamente, escludono la componente paranormale. Grandi esemplari di gufi e barbagianni costituiscono gli indiziati più accreditati e plausibili. Non una misteriosa creatura a metà tra una falena ed un uomo, bensì i più classici volatili notturni, caratterizzati da peculiarità riconducibili al Mothman. Il Committee for Skeptical Inquiry (noto in passato col nome di Committee for the Scientific Investigation of Claims of the Paranormal – Comitato per l’Indagine Scientifica delle Affermazioni sul Paranormale) sostiene la tesi del grosso gufo scambiato per una sorta di “Uomo Falena”.

Nel 2016, WCHS-TV (TV locale del West Virginia dell’area di Charleston-Huntington) pubblica una foto del presunto Mothman, nuovamente avvistato da un testimone anonimo sulla West Virginia Route 2. La foto desta curiosità e clamore ma sembra si tratti del solito gufo. Insomma, la scienza, la approfondita conoscenza della zoologia ed un pensiero razionale ci conducono verso spiegazioni altrettanto razionali. Vi sono, poi, spiegazioni squisitamente culturali legate a quei territori. Racconti folkloristici che narrano del Mothman ben prima che questo si palesi tra il 1966 ed il 1967. Leggenda, folklore, mitologia locale: è sufficiente mescolare elementi popolari preesistenti a nuovi avvistamenti “terrorizzanti” di animali locali – poco noti o mai visti sino a quel momento – per produrre terrore, paura e per far sì che il mito del Mothman riprenda vita e si alimenti di nuova linfa.

Vi è poi la tesi della bufala costruita ad arte, scherzi ben compiuti ed eseguiti da “buontemponi”. Scherzi e bufale divenuti, successivamente e ben presto, virali.

La spiegazione scientifica, fredda e razionale, è, senza dubbio, quella più verosimile. Ma perché accantonare e disdegnare in modo preventivo e prevenuto spiegazioni ed ipotesi decisamente più ardite? Del resto, la nostra società accetta, ad esempio, le visioni delle figure legate alla Fede cristiana, benché ultraterrene e non dimostrabili mediante rigorose indagini scientifiche. Le accetta come possibili, anzi, come esistenti. Perché, quindi, scartare a priori la esistenza di entità “aliene” e di fenomeni sovrannaturali non legati alla Fede?

La cripto-zoologia è ancora considerata una pseudo-scienza, un castello di teorie ed ipotesi spesso tanto fantasiose quanto sognatrici atte a dimostrare l’esistenza di animali “misteriosi” e mitologici. In questo senso, il Mothman sarebbe una cripto-creatura: un animale ancora a noi ignoto ma che paleserebbe legami con altre creature della umana mitologia: il Thunderbird dei nativi americani (Wakinyan per i Lakota, Hohoq per i Kwakiuti, Kw-Uhnx-Wa per i Nootka o Nuu-chah-nulth), Garuḍa nella cultura orientale. Un legame, tuttavia, probabilmente non diretto: infatti, “l’uccello di tuono” tipico della cultura indigena americana può essere verosimilmente identificato con alcuni rapaci diversi dai gufi e dai barbagianni (animali identificati come il presunto Mothaman), quali, ad esempio, aquile, condor o alcuni uccelli oggi estinti, la cui memoria, però, si è tramandata di generazione in generazione attraverso miti e racconti. Del resto, ogni cultura narra di uccelli straordinari, enormi e dalle caratteristiche divine, dal Roc (o Rok) al Mothman. E non manca il collegamento ad un’altra figura mitologica, quello Spring-heeled Jack – creatura folkloristica inglese del periodo vittoriano, le cui apparizioni si collocano, specie a Londra, tra il 1837 ed i primi del Novecento – che, in alcuni tratti, ricorda molto da vicino il Mothman.

Il già citato John Alva Keel, autore del libro “The Mothman Prophecies”, sviluppa un pensiero di tipo cosmologico-parafisico-filosofico del tutto inedito e personale circa la reale natura degli UFO e degli avvistamenti di esseri non identificati; esseri che lo scrittore definisce efficacemente “ultraterrestri”.

Non più, dunque, visitatori provenienti da altri pianeti (questa è la classica rappresentazione degli UFO sostenuta dagli ufologi in senso stretto, ossia oggetti volanti non identificati provenienti dallo spazio cosmico, da altre galassie ed altri pianeti), bensì “ultraterrestri” provenienti da dimensioni parallele".

Keel arriverà ad ipotizzare, dunque, una correlazione tra i fenomeni paranormali e l’esistenza di “ultraterrestri” provenienti dalle suddette dimensioni parallele. Non più esseri extraterrestri (citando la tipica locuzione ufologica) , bensì extradimensionali.

La teoria delle dimensioni parallele, tuttavia, viene superata e modificata dallo stesso Keel. Fenomeni paranormali ed esseri “ultraterrestri”, allora, sono entrambi emanazione del cosiddetto “superspettro”, una energia-realtà di tipo elettromagnetico situata, però, in una frequenza diversa rispetto a quella che noi umani possiamo percepire. Non più dimensioni parallele, non più universi paralleli ma una frequenza situata nel nostro stesso Universo ma non percepibile coi e dai nostri sensi e non misurabile dai nostri strumenti. Una teoria al contempo complessa ed affascinante, la quale dipinge questo “superspettro” come luogo-entità dal quale nascono fenomeni paranormali ed ogni genere di creatura “ultraterrestre”, Mothman compreso. Il “superspettro”, dunque, manipolerebbe e condizionerebbe la realtà umana e la vita degli uomini attraverso la propria influenza. Una teoria cospirazionista alquanto personale, non v’è dubbio.


Il crollo del Silver Bridge

Il Mothman, secondo le più elaborate teorie, non è solo una creatura a noi ignota, bensì una entità “ultraterrestre” il cui scopo è segnalare qualcosa all’umanità. Una entità preposta ad avvisare l’umanità circa un imminente pericolo o essa stessa portatrice di sventura? In questo senso, il crollo del ponte Silver Bridge si inserisce in questo scenario parafisico.

Il Silver Bridge è un ponte sul fiume Ohio, a collegare – mediante il passaggio della U.S. Route 35 – le città di Point Pleasant (West Virginia) e Gallipolis, in Ohio (il Memorial Sign indica Kanauga, Contea di Gallia, Ohio, comunità confinante con Gallipolis). Eretto nel 1928, questo ponte collassa improvvisamente il 15 dicembre 1967, provocando la morte di 46 persone. 31 le automobili precipitate nel fiume, 9 i feriti. Una tragedia. Sono trascorse da poco le 5 del pomeriggio. I corpi di due vittime non verranno mai più ritrovati: sono entrambi cittadini di Point Pleasant, Kathy Byus e Maxine Turner.

Perizie tecniche ed inchieste hanno accertato che cedimenti strutturali dovuti ai forti carichi (ben superiori rispetto a quanto calcolato all’origine del progetto), un difetto di uno degli “eyebar” e la scarsa manutenzione decretano il tragico crollo del ponte.

La disgrazia del Silver Bridge avviene al tramonto dei mesi, a cavallo tra il 1966 ed il 1967, caratterizzati dai reiterati avvistamenti del Mothman. Quale, allora, il nesso tra il Mothman ed il collasso del Silver Bridge? Ebbene, secondo teorie molto ardite, l’Uomo Falena si palesa in occasione di particolari sventure. Una sorta di entità premonitrice. Un autentico demone, secondo alcuni. Non a caso, il Mothman viene avvistato nei momenti antecedenti e successivi al crollo del ponte. Apparizione peraltro accompagnata – stando alle testimonianza oculari – da una intensa fenomenologia di luci rosse in cielo, in corrispondenza della “TNT area” e Point Pleasant.

Le teorie, come vedete, si susseguono e si accavallano senza soluzione di continuità. E quando si entra nel mito, nel paranormale, nel sovrannaturale, ogni ipotesi ha ragion d’esistere: non c’è, infatti, una teoria più valida dell’altra, poiché tutte non sono scientificamente verificabili.

In questo mare di ipotesi, non poteva mancare la maledizione. Nella fattispecie, a lanciare il malaugurio sarebbe stato Hokoleskwa (Cornstalk, Gambo di Mais), nato attorno al 1720, carismatico capo indiano della tribù degli Shawnee (o Shawano), originaria dell’Ohio, Kentucky e Pennsylvania. Gambo di Mais, peraltro, è sepolto proprio a Point Pleasant (qui svetta la sua lapide). Non ci sono fonti storiche che accertano e certificano la maledizione lanciata in punto di morte dal capo indiano, ma è bastata la modalità della sua morte per innescare questo processo che oscilla tra storia e leggenda. Gambo di Mais, infatti, viene assassinato il 10 novembre 1777 da soldati della Militia of the United States di Fort Randolph (West Virginia, dove verrà edificata Point Pleasant, luogo già protagonista, il 10 ottobre del 1774, della cosiddetta “Battaglia di Point Pleasant”), in occasione di una visita diplomatica. I soldati uccidono Cornstalk, suo figlio Elinipsico ed altri due Shawnee in segno di vendetta: nativi americani, infatti, avevano precedentemente ucciso dei soldati americani. L’episodio, benché aspramente criticato dalle autorità americane, non porta ad alcuna condanna: tutti i militari coinvolti nell’omicidio, infatti, vengono assolti. L’ira dei nativi americani è furibonda.

A 190 anni esatti di distanza dalla morte di Gambo Di Mais (1777-1967), ecco che quello stesso territorio è vittima di una sciagura – il crollo del Silver Bridge – ed il Mothman imperversa tra Ohio e West Virginia, terrorizzando innocenti cittadini e manifestando la propria angosciosa presenza con fenomeni poltergeist, UFO, presenza di uomini non identificati. Incastri e coincidenze degni, appunto, di una potente ed oscura maledizione.

Il film, “The Mothman Prophecies – Voci dall’ombra”: chi è Indrid Cold?

Le vicende legate alle apparizioni del Mothman trovano nel film "The Mothman Prophecies-Voci dall'ombra" non solo una congeniale trasposizione cinematografica – che ambienta e riadatta le vicende del 1967 ai giorni nostri – ma anche una formidabile occasione per riportare alla ribalta una così interessante storia.

Nel film, John Klein (il giornalista interpretato da Richard Gere) viene contattato telefonicamente da Indrid Cold (curiosità: la voce di Indrid Cold è quella del regista, Mark Pellington). Un personaggio non umano, una entità “ultraterrestre”, una voce metallica e distorta. Questa entità onnisciente e dotata di poteri sovrannaturali sembra avvertire John Klein circa i drammatici fatti che stanno per sconvolgere Point Pleasant, ossia il crollo del Silver Bridge. Ebbene, Indrid Cold non è una invenzione cinematografica del regista, bensì una identità ignota realmente “esistita”. A narrarci di Indrid Cold è Woodrow Derenberger.

2 novembre 1966, ore 19:30 circa. Woodrow Derenberger – agente di commercio di Mineralwells, West Virginia – è in viaggio in auto da Marietta, Ohio, a casa. Ad un tratto, mentre sta percorrendo la Route 77 nei pressi di Parkersburg (West Virginia), avvista uno strano oggetto volante, un UFO dalla insolita forma allungata. Questo scende, affianca l’auto di Woodrow, quindi un uomo scende dal mezzo. All’apparenza un uomo di circa 1,85 m, di carnagione olivastra, capelli castano scuro, una giacca di color blu scuro metallizzato. L’uomo non emette parole dalla bocca ma comunica con Woodrow mediante telepatia. L’uomo si presenta col nome di “Cold”, Indrid Cold. Indrid appare cortese, amichevole: non ha intenzione di far del male. Woodrow, intimorito, interagisce con Indrid Cold per circa dieci minuti, prima che questi scompaia. Una conversazione bizzarra, nella quale Indrid Cold pone strane domande alle quali Woodrow risponde con stupore e terrore.

A stretto giro, la storia diventa di dominio pubblico. Media ed esperti del settore, compreso Keel, si interessano al racconto di Woodrow Derenberger.

La vita di Woodrow Derenberger, tuttavia, è per sempre segnata, nella psiche e nel fisico, dall’incontro con Indrid Cold. Quest’ultimo contatta più volte Woodrow: strane telefonate anonime, ronzii metallici, suoni distorti o solo silenzio. A nulla serve cambiar numero di telefono: le telefonate non cessano.

Anche la moglie e i figli di Woodrow Derenberger affermano di essere venuti in contatto con Indrid Cold e altri “uomini”, esseri in grado di “mimetizzarsi” quotidianamente tra gli uomini.

“Uomini” che, sempre più prepotentemente, entrano nella vita della famiglia di Woodrow Derenberger: i proverbiali, i famigerati “Men in Black”, terminologia coniata proprio da John Keel. Men in Black, la cui presenza è registrata e documentata almeno dagli Anni ’50.

Men in Black: umani (agenti governativi, servizi segreti molto speciali e “non ufficiali”) interessati agli avvistamenti del Mothman o anch’essi “ultraterrestri”, questi ultimi i quali cercano di “mimetizzarsi” – spesso in modo buffo e anacronistico, secondo le numerose testimonianze – nella umana vita quotidiana? Umani intenti a insabbiare fenomeni UFO e paranormali o alieni che agiscono per il medesimo scopo? Le svariate correnti ufologiche si dividono e si scontrano da decenni. In ogni caso, si tratta di personaggi che intimoriscono le persone con cui vengono in contatto. E nei giorni degli avvistamenti del Mothman, in tanti vengono avvicinati da questi Men in Black: dalla giornalista Mary Hyre (coinvolta nelle cronache del Mothman e che morirà il 15 febbraio 1970) a Linda Scarberry, dagli stessi Steve e Mary Mallette a Faye Dewitt-Leport, da Marcella Bennett a Connie Carpenter, tutti testimoni della comparsa del Mothman. “Uomini” a bordo di Cadillac e Volkswagen nere provviste di targhe mai registrate, vestiti con abiti sovente anacronistici e desueti, descritti come non a conoscenza di banali usanze ed abitudini umane, ad esempio, lo stringere la mano in segno di saluto. Uomini che non sbattono mai le palpebre ed ingoiano il cibo senza masticarlo. Che controllano abitazioni, telefoni, case, persone, spesso minacciandole. Uomini, dunque, solo in apparenza. Lo stesso John Keel, dapprima diffidente verso coloro i quali raccontavano di questi curiosi e minacciosi uomini, entra in contatto con i MIB.

MIB, secondo il pensiero di Keel, anch’essi facenti parte di quel mondo a noi ignoto il quale, però, interagisce costantemente con la nostra realtà. I Men in Black, pertanto, denunciano una origine parafisica.

Nel film “The Mothman Prophecies – Voci dall’ombra”, il personaggio di Gordon Smallwood (interpretato da Will Patton) evoca in modo netto ed evidente la vicenda di Woodrow Derenberger: anch’egli, infatti, è ripetutamente contattato da Indrid Cold, anch’egli ha una vita compromessa a seguito dei recidivi contatti da parte di Indrid Cold stesso. Una insanabile sofferenza fisica e psicologica che condurrà Gordon alla morte per ipotermia, in una notte gelida.

Ebbene, Indrid Cold si identificherebbe con il Mothman, creatura in grado di condizionare l’umanità e di palesarsi in circostanze particolari, prossime a imminenti disastri. Una creatura capace di ammonire ed avvertire l’umanità attraverso segnali criptici e spesso indecifrabili? O il Mothman-Indrid Cold si materializzerebbe in occasione di eventi luttuosi, non per avvertirci – e quindi aiutarci – ma in quanto sorta di demone? E, a quanto pare, il Mothman ed Indrid Cold vengono in contatto con numerose persone: innumerevoli, infatti, gli avvistamenti del Mothman e di uomini inquietanti. Il tutto accompagnato da avvistamenti di strani oggetti volanti e fenomeni poltergeist.

Nel film, infatti, anche l’agente Connie Mills (interpretata da Laura Linney) avverte in sogno la presenza del Mothman-Indrid Cold: “Sveglia, numero 37”, le pronuncia in sogno. 37, nel film, è l’ammontare delle vittime del crollo del ponte (nella realtà, ricordiamo, i deceduti sono 46).

Gordon, dal canto suo, rivela a John Klein che “99 moriranno”, come in precedenza riferitogli da Indrid Cold. Pochi giorni dopo, un incidente aereo mieterà 99 vittime.

La stessa vita di Klein, in realtà, è già stata sconvolta e segnata dalla presenza del Mothman. Assieme alla moglie, Mary (interpretata da Debra Messing), è vittima di un incidente automobilistico. L’incidente è causato dalla improvvisa comparsa, nell’oscurità della sera, di una figura inquietante, la quale fa perdere il controllo dell’auto alla donna. È la donna, infatti, la sola ad aver visto lo strano essere. Ricoverata, le verrà diagnosticato un tumore incurabile al cervello. John Klein, afflitto dalla morte della amata consorte, viene a conoscenza di alcuni strani disegni eseguiti dalla moglie stessa. I disegni ritraggono la strana figura avvistata quella sera: il Mothman. Da quel momento, la vita di John Klein sarà condizionata dalla oscura presenza dell’Uomo Falena, entità energetica che condurrà il giornalista – in modo inequivocabilmente paranormale – sino a Point Pleasant e ai suoi abitanti: fenomeni paranormali, incomprensibili eventi ed energie maligne, eventi luttuosi puntualmente verificatisi.


Il Mothman: è sempre stato tra noi?

Chi o cosa è il Mothman? Se è impossibile stabilire cosa realmente e fisicamente sia, è certamente verosimile valutare e decretare cosa esso rappresenti ed incarni nella cultura popolare. Il Mothman è una sorta di metafora della vita, un monito, una oscura presenza pronta a far sentire il proprio leggendario, mortale peso in occasione di tragici eventi. C’è chi dice, ad esempio, di aver visto il Mothman nei giorni della tragedia di Chernobyl e durante altri eventi luttuosi, dall’America all’Asia. Si è giunti persino a stilare una lista (l’autore è Loren Coleman) di decessi connessi, in qualche modo, al Mothman: non solo morti riconducibili agli eventi datati 1966-1967 (su tutti, il collasso del Silver Bridge), ma anche decessi avvenuti a seguito della uscita e della visione del film. Lutti che hanno colpito anche persone che hanno lavorato al film stesso. Semplici coincidenze del trascorrere degli anni o esiste davvero qualcosa di sovrannaturale che non riusciamo a percepire, a cogliere?

Animale ignoto, creatura “ultraterrestre” proveniente da un presunto “superspettro”, UFO, presenza di Men in Black, espressione maligna e tangibile delle umane disgrazie, ennesima rappresentazione della Morte. Il Mothman è tutto questo e molto altro ancora.

Oscuri presagi e precognizione accompagnano e caratterizzano la leggenda dell’Uomo Falena.

Una storia che – al pari di altre vicende sovrannaturali – fa traballare anche uno scettico ed una mente razionale come la mia. La sua inquietante e tetra raffigurazione, le storie e gli accadimenti che ruotano attorno alle sue apparizioni: elementi inquietanti, che si creda o no alla presenza fisica ed “in carne ed ossa” di un sedicente Uomo Falena. Impossibile non provare almeno un brivido di angoscia, di primitiva ansia. L’inspiegabile, in fondo, spaventa.

Pura inquietudine: che sia questa la reale eredità, la cruda essenza del Mothman?

 
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