L'El
Dorado (abbreviazione spagnola di El
indio Dorado) è un luogo leggendario
in cui vi sarebbero immense quantità di oro e pietre preziose, oltre
a conoscenze esoteriche antichissime.
In questo luogo, situato al di là del
mondo conosciuto, i bisogni materiali sono appagati e gli esseri
umani vivono in pace tra loro godendo della vita. Spesso viene
associato al paradiso terrestre o all'Eden situato agli antipodi.
Le spedizioni nel Nuovo Mondo
In seguito alla scoperta europea delle
Americhe il mito di un luogo leggendario e ricchissimo si rinforzò.
Gli indigeni americani, che facevano
largo uso di monili in oro fecero pensare agli spagnoli di essere
giunti vicino ad un luogo mitico ricco di oro dove i bisogni
materiali fossero appagati. Uno dei primi spagnoli a cercare un luogo
mitico fu Juan Ponce de León, che nel 1513 cercò in Florida la
fonte dell'eterna giovinezza, leggenda che aveva le sue origini nel
medievale Romanzo di Alessandro.
Hernán Cortés e Francisco Pizarro,
nel conquistare gli imperi azteco e incas rispettivamente credettero
di essere giunti in questo luogo leggendario ma poi la loro sete di
potere e ricchezza li spinse a continuare la ricerca.
Furono proprio i tesori riportati in
Spagna da questi conquistadores a spingere i banchieri Welser
d'Asburgo farsi coinvolgere nella ricerca dell'Eldorado. I Welser
avevano ottenuto dall'Imperatore Carlo V i diritti di sfruttamento
delle risorse naturali della colonia del Venezuela chiamata dai
tedeschi Piccola Venezia, a garanzia del prestito di 141mila ducati,
necessari a corrompere i Grandi Elettori che lo elessero Sacro Romano
Imperatore.
Quando Sebastiano Caboto fu al comando,
nel 1525, di una spedizione che aveva come scopo la ricerca del Birù
(o Perù), i suoi luogotenenti, tra i quali Francisco Cesar, si
inoltrarono nell'interno del Rio della Plata, e forse giunsero al
confine dell'attuale Bolivia. Al loro ritorno si diffuse una
leggenda, che narrava di una città ricchissima, pavimentata in oro,
che loro non erano riusciti a vedere per pochissimo. Questa città fu
chiamata "Ciudad de los Cesares". Pedro de Heredia depredò
l'oro dei Sinù per lunghi anni e cercò una mitica miniera o città,
che per lui era situata al confine tra l'attuale dipartimento di
Córdoba e Antioquia (Colombia). Diego de Ordaz risalì il Rio
Orinoco nel 1531 alla ricerca di una città d'oro, ma non la trovò,
anche se alcuni indigeni gli dissero che più avanti nella selva vi
era una montagna di smeraldo.
Tra i finanziatori della spedizione di
Caboto del 1525 c'era anche Ambrosius Dalfinger da Ulma (1500-1533)
che in realtà si chiamava Ambrosius Ehinger. Quando i Welser
ottennero da Carlo V la concessione di sfruttamento mandarono
Dalfinger a dirigere la colonia, col titolo di "Governatore
delle isole di Venezuela". Questo perché i primi esploratori
erano convinti che si trattasse di isole formanti un arcipelago, da
cui anche il soprannome di Piccola Venezia, in spagnolo Venezuela.
Dalfinger nei documenti spagnoli è chiamato Cinger o Alfinger, e i
coloni lo soprannominarono per comodità Micer (messere) Ambrosio. Si
stabilì a Coro, allora l'unico insediamento della colonia, e nel
1529 guidò una prima spedizione esplorativa verso il lago di
Maracaibo. Qui, nei pressi della strozzatura che divide il lago dal
golfo omonimo, fondò la città di Maracaibo e sul versante opposto
la città di Nuova Ulma. Oggi la città è scomparsa ma il posto è
chiamato Campo de Ambrosio. Dalle popolazioni rivierasche
l'interprete e scrivano del gruppo Esteban Martín seppe che una
popolazione dell'interno, che viveva sugli altopiani, usava l'oro
come merce, in cambio del cotone grezzo, dei coralli, delle perle e
delle conchiglie giganti che gli indigeni usavano come trombe
cerimoniali. Inoltre il loro territorio era ricco di pietre verdi che
gli spagnoli supposero correttamente fossero smeraldi. Martín
confidò le proprie idee a Pedro Limpias, e pare sia stato proprio
quest'ultimo, al ritorno a Coro, a diffondere le voci sul mitico
regno dell'oro. Furono complessivamente cinque le spedizioni partite
dal Venezuela alla ricerca del mitico regno dell'oro.
La prima, guidata come detto da
Dalfinger, durò dall'agosto 1529 al 18 aprile 1530, quando i resti
decimati della spedizione ritornarono a Coro. Dalfinger, debilitato e
febbricitante, prima di imbarcarsi per Santo Domingo nominò
provvisoriamente nel giugno 1530 Nikolaus Federmann il Giovane da
Ulma (1506-1541) vicegovernatore, capitán general delle forze
armate e alcalde mayor di Coro.
Federmann, contravvenendo agli ordini
di Dalfinger, che non gli aveva rivelato nulla del "regno
dell'oro", allestì una propria spedizione di un centinaio di
uomini. Versato nelle lettere, in italiano e spagnolo, fu autore di
un saggio etnografico sulle popolazioni indigene conosciute durante
il suo primo viaggio, di grande interesse dato che di quei popoli,
sterminati di lì a poco, si conosce molto poco. Il saggio,
Indianische Historia, Eine Schöne kurtz-weilige Historia fu
pubblicato ad Hagenau nel 1557 dal cognato Hans Kiefhaber.
La prima spedizione Federmann durò dal
16 settembre 1530 al 17 marzo 1531, senza approdare a nulla.
Dalfinger, ritornato a Coro, quando seppe che Federmann si era
addentrato nell'interno abbandonando la colonia, lo esiliò dal
Venezuela per quattro anni.
La seconda spedizione Dalfinger partì
il 9 giugno 1531 da Coro e vi fece ritorno il 2 novembre 1533. Fu una
delle più drammatiche, al termine della quale Dalfinger stesso morì,
colpito da una freccia avvelenata.
Il suo posto fu preso da Georg
Hohermuth da Spira (1508-1540), ribattezzato dagli spagnoli Jorge de
Espira, inviato dai Welser alla testa di un gruppo di coloni formato
da spagnoli e tedeschi, oltre ad alcuni fiamminghi, inglesi, scozzesi
e italiani. Hohermuth organizzò una sua spedizione, forte di 500
uomini, partita nel giugno 1535 e terminata il 27 maggio 1538. Il
diligente cronista di questa spedizione fu Philipp von Hutten, cugino
del famoso poeta e umanista, il cavaliere Ulrich von Hutten. Gli
esploratori percorsero ben 1500 miglia verso sud, raggiungendo il rio
Guaviare presso l'odierna Bogotà, e passando molto vicino
all'altopiano di Jerira abitato dalle tribù Chibcha, all'origine
della leggenda dell'Eldorado, ma senza trovare una via d'accesso.
Anche questa spedizione, durante la quale morì il veterano Esteban
Martín, che aveva partecipato a tutte le esplorazioni precedenti, si
concluse in un disastro che costò trecento morti, tra cui Hohermuth
stesso, che ricoverato a Santo Domingo non riuscì a riprendersi
dalle traversie subite durante il viaggio.
Hohermuth, prima della partenza,
terminati i quattro anni di esilio aveva permesso a Federmann di
rientrare, dandogli l'incarico di esplorare le terre a ovest del lago
di Maracaibo, per determinare i confini della concessione dei Welser
e stabilirvi una fortezza. Federmann, dopo essersi scontrato con il
governatore della colonia di Santa Marta, don Pedro Fernandez de
Lugo, che rivendicò la giurisdizione sulle terre a ovest di
Maracaibo, era tornato a Coro nel dicembre 1536. Convinto che
Hohermuth fosse morto, nell'autunno 1537 ripartì alla ricerca
personale della valle di Jerira, soprattutto dopo aver saputo che
Gonzalo Jimenez de Quesada stava approntando a Santa Marta una
grandiosa spedizione per trovare le terre dell'Eldorado. La seconda
spedizione Federmann per poco non incrociò i superstiti del gruppo
Hohermuth, convinti che Federmann si fosse mosso in loro soccorso,
dopo che ebbero saputo del passaggio di un gruppo di conquistadores
da parte degli indios. Lo sparuto gruppo era in realtà quanto
rimasto della spedizione di Diego de Ordaz, che si riunì alla fine
del 1537 con Federmann nei llanos tropicali. L'itinerario di
Federmann si concluse nell'inverno 1539, con l'arrivo a Jerira,
preceduto solo da poche settimane dalle spedizioni di Quesada e
Belalcazar.
La leggenda dell'El Dorado era arrivata
a un punto di svolta quando i conquistatori spagnoli Gonzalo Jiménez
de Quesada e Sebastian de Belalcazar sentirono parlare di un capo
indigeno che si immergeva in una laguna ricoperto di polvere d'oro e
gettava delle offerte d'oro nelle profondità delle acque. Sarebbe
stato proprio Belalcazar, sentendo nel 1536 il racconto di un
mercante indigeno nativo di Llactalunga, a coniare per primo il
termine "El indio Dorado", abbreviato in El Dorado, a
indicare il sovrano indio coperto di polvere d'oro che gli era stato
descritto.
La laguna in cui compiva le abluzioni
rituali era la laguna di Guatavita, nelle vicinanze della attuale
città di Bogotà, fondata da Quesada il 29 aprile 1539 con una breve
cerimonia alla presenza degli altri due comandanti.
Caso unico nella storia, ben tre
conquistadores erano giunti contemporaneamente e per vie diverse
nello stesso luogo, attirati dalla chimera dell'oro. Quesada era
giunto per primo da nord-ovest, Belalcazar da sud e infine Federmann
da nord-est.
La civiltà che aveva dato origine alla
leggenda dell'El Dorado era quella dei Chibcha. Fu depredata da
Quesada e non resse all'urto della conquista, estinguendosi nel giro
di pochi decenni, tanto che ancor oggi il suo nome è poco noto e non
viene mai annoverato tra le civiltà precolombiane travolte dal
contatto con gli europei. Il clamoroso equivoco in cui incorsero i
conquistadores a proposito dell'El Dorado è dovuto al fatto che i
Chibcha non possedevano oro in proprio, ma lo ricavavano a loro volta
da traffici con le popolazioni finitime. Questo fece credere agli
spagnoli che la "terra dell'oro" all'origine delle
incredibili leggende fosse un'altra, e non quella che avevano
scoperto e abbondantemente razziato. I Chibcha possedevano invece
miniere di sale e l'unico giacimento di smeraldi delle Americhe.
L'oro, di origine alluvionale, abbondava lungo il corso del Cauca, e
nella provincia dell'Ecuador settentrionale, al confine con la
Colombia, chiamata Esmeraldas. Paradossalmente gli spagnoli
chiamarono Esmeraldas la terra dove trovarono i primi smeraldi,
provenienti dall'Eldorado, e chiamarono Eldorado la terra dove vi era
l'oro proveniente dall'Esmeraldas.
Nel dicembre 1540, dopo la morte di von
Speyer avvenuta nel giugno 1540, Filipp Von Hutten divenne
governatore capitano generale del Venezuela. Poco dopo scomparve
nell'entroterra, facendo ritorno solo dopo cinque anni di
peregrinazioni per poi scoprire che uno spagnolo, Juan de Carvajal,
era stato nominato governatore in sua assenza. Con uno dei suoi
compagni di viaggio, Bartholomew Welser il Giovane, fu imprigionato
da Carvajal nell'aprile 1546, ed entrambi furono poi giustiziati.
Successivamente l'El Dorado fu cercato
nelle profondità della selva amazzonica dall'esploratore estremegno
Francisco de Orellana, ma non fu mai trovato.
La leggenda dell'El Dorado fu viva
anche nell'America settentrionale, in quanto Francisco Vazquez de
Coronado cercò a lungo le sette città di Cibola senza mai trovarle.
Nel 1560 il sanguinario Lope de Aguirre
prese il comando, uccidendo Pedro de Ursúa, di una spedizione nella
selva amazzonica, e si proclamò "Re dell'Amazzonia". La
spedizione aveva come scopo la ricerca dell'El Dorado, ma finì
tragicamente: Lope de Aguirre fu giustiziato in Venezuela.
«El Dorado fu anche il nome che gli
Spagnoli dettero al principe chibcha che veniva unto con olio e
cosparso di polvere d'oro e si trasformava quindi in un uomo dorato.
Fu El Dorado la calamita che attirò avventurieri, esploratori,
aristocratici e che indusse perfino certi banchieri europei a
finanziare le migrazioni le quali muovevano alla scoperta del luogo
in cui si celava questo uomo dorato.» (Victor Von Hagen,
Introduzione a L'Eldorado. Alla ricerca dell'uomo d'oro, Rizzoli,
1976)
Le spedizioni dei secoli successivi
Nel 1920 l'inglese Percy Harrison
Fawcett cercò a lungo l'El Dorado nella selva dell'alto Xingu in
Brasile, scrisse in un rapporto la scoperta della "città
perduta di Z" e in una seconda spedizione nel Mato Grosso
con suo figlio non fece mai più ritorno. Nella seconda metà del
secolo XX, molti esploratori cercarono la città di Paititi. Secondo
la leggenda gli Incas si sarebbero nascosti in una città
sotterranea, quando Francisco Pizarro giunse nel Perù, e ancora li
vivrebbero. Negli anni 70 del secolo XX la leggenda fu ravvivata dopo
la pubblicazione del libro "La cronaca di Akakor" di Karl
Brugger.
Le spedizioni nel continente Antico
L'idea di un luogo leggendario situato
al di là del mondo conosciuto fu viva fin dal medioevo quando a
lungo si cercò il Regno del Prete Gianni. Furono i portoghesi a
cercare a lungo il Regno del Prete Gianni, con le spedizioni di Pero
da Covilla e Afonso da Paiva.
Le spedizioni contemporanee
A partire dall'inizio del XX secolo
sono state portate a termine una serie di spedizioni che hanno avuto
come scopo la ricerca del Paititi, da alcuni individuato come il vero
El Dorado. La prima di queste spedizioni fu quella intrapresa
dall'esploratore inglese Percy Fawcett, nel 1925. Nel 2001
l'archeologo Mario Polia ha scoperto, negli archivi della Città del
Vaticano delle lettere datate 1600 del missionario Andrea Lopez. Il
missionario scriveva di una città ricchissima e nascosta nella selva
a circa dieci giorni di cammino da Cuzco, vicino ad una cascata che
veniva chiamata Paititi. Alcune teorie sostengono che il missionario
abbia informato il Papa sulla ubicazione esatta della città, ma il
Vaticano non abbia mai rivelato il segreto. Anche ultimamente vari
archeologi e geografi ricercano resti di una civiltà antichissima
nella selva peruviana. Uno di questi è il polacco Jacek Palkiewicz,
nella sua spedizione del 2002. Nel 2006 lo statunitense Gregory
Deyermenjian e il peruviano Paulino Mamani hanno intrapreso una
spedizione nella selva di Pantiacolla (Amazzonia peruviana). In più,
un'altra ipotesi sostiene che esistano molteplici città d'oro, anche
se in luoghi diversi. Comunque, le registrazioni più comuni di esse
sono situate in coordinate pari alle Ande centro settentrionali o
addirittura nello Yucatan. Nel 2010 grazie allo studio di immagini
satellitari e fotografie aeree sono state scoperte, al confine tra
Brasile e Bolivia, un insieme di geoglifi subito additati come i
resti di El Dorado.
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