Secondo un paleontologo inglese non
c'è altra vita nell'Universo, e le prove della nostra unicità
sarebbero davanti ai nostri occhi, nell'evoluzione.
"L'uomo è l'unica specie
intelligente dell'intero Universo? Stando a quanto sostengono
moltissimi scienziati la risposta è "no", per una semplice
questione di probabilità:
si stima che l'Universo osservabile ospiti circa 2 trilioni di
galassie,
2.000 miliardi!, la
stragrande maggioranza delle quali talmente lontane da noi che quando
la loro luce arriverà sulla Terra, si saranno già estinte da
milioni di anni, ed è logico e naturale pensare che da qualche parte
in questa immensità ci possa essere un altro pianeta con le
condizioni adatte a favorire la nascita della vita e lo sviluppo di
una qualche forma di intelligenza.
Eppure c'è chi la pensa in modo
radicalmente opposto: Nick Longrich, paleontologo dell'Università di
Bath, ha di recente pubblicato un lungo articolo su The Conversation
nel quale sostiene che con ogni probabilità siamo "soli
nell'Universo", come si dice in questi casi; e che la prova più
evidente della nostra condizione è... l'evoluzione sul pianeta
Terra.
PAGANINI NON RIPETE.
La tesi di Longrich ruota
essenzialmente intorno a una considerazione: la nascita della vita è
un evento altamente improbabile, e l'evoluzione della stessa in forme
senzienti è talmente improbabile che potrebbe essersi verificata una
sola volta nell'intera storia dell'Universo. L'evoluzione, scrive
Longrich, è un fenomeno che
apparentemente
si ripete spessissimo: basta
pensare a quante forme diverse ha assunto la vita sulla Terra, ma
anche a quante volte una stessa struttura (un'ala per volare, una
particolare forma del corpo per nuotare meglio) si sia sviluppata in
forme viventi molto lontane tra loro – quel fenomeno che gli
evoluzionisti chiamano "convergenza evolutiva".
Secondo Longrich, però, dire che
l'evoluzione è un processo che si ripete frequentemente non è del
tutto corretto: molte delle strutture citate finora (pensate anche
agli occhi, alle mascelle, alle zampe) si presentano in natura in
infinite variazioni, ma si sono tutte sviluppate all'interno di una
singola linea evolutiva, quella degli
Eumetazoi
(gli animali che presentano
un'organizzazione in tessuti ed organi): una sottocategoria del regno
animale che rappresenta solo una parte di tutto quello che è vita
sulla Terra.
È COME VINCERE ALLA LOTTERIA.
Longrich punta quindi il dito
sull'improbabilità di tutti i passaggi evolutivi che ci hanno
portato fin qui oggi, a riflettere sulle nostre origini. La vita è
nata una volta sola sulla Terra, ci ha messo un miliardo e mezzo di
anni a
inventare la
fotosintesi
(e l'ha fatto una volta sola), e 4
miliardi per creare i primi animali complessi; il sesso è nato una
volta sola e da lì è stato adottato da quasi tutti gli animali, lo
stesso vale per lo scheletro osseo... secondo Longrich, si possono
identificare sette passaggi fondamentali per l'evoluzione
dell'intelligenza: la nascita della vita, l'invenzione della
fotosintesi, la comparsa delle prime cellule complesse, il sesso, i
primi animali superiori, lo scheletro, e infine l'intelligenza vera e
propria.
«Immaginate che ogni passaggio abbia
un 10% di probabilità di avverarsi» scrive Longrich; «significa
che c'è una probabilità su 10 milioni che una forma di vita
intelligente si evolva. Mettiamo che la probabilità sia dell'1%:
significa che l'intelligenza si può sviluppare su un pianeta ogni
100 miliardi di miliardi». La conclusione del ragionamento, secondo
l'autore, è che la nascita della vita intelligente è un fenomeno
così improbabile che quasi sicuramente si è verificato una sola
volta nella storia dell'Universo – per quanto riguarda il "dove",
la risposta è ovvia, considerato che siamo qui a discuterne."
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