L’eco di antiche glorie volanti ha risuonato tra le austere mura dell’Indian Science Congress, uno degli eventi scientifici più prestigiosi del subcontinente. Ma questa volta, l’incenso del mito ha prevalso sul rigore della scienza. È quanto accaduto durante la centoduesima edizione del congresso, dove, con grande sconcerto della comunità accademica, sono state presentate come plausibili antiche tecnologie aeronautiche risalenti a 7.000 anni fa.
A salire sul palco sono stati il capitano in pensione Anand J. Bodas e l’insegnante Ameya Jadhav. I due hanno illustrato la loro tesi, secondo cui l’antica India sarebbe stata la culla di enormi aeromobili capaci di viaggiare tra i continenti e – perché no – anche tra i pianeti. A supporto di queste affermazioni non vi erano reperti archeologici, ma riferimenti a versi sanscriti di dubbia origine e ancor più dubbia interpretazione.
Non è la prima volta che tali narrazioni emergono dal sottobosco dell’occultismo pseudoscientifico. Il mito dei "vimana", veicoli volanti descritti in alcuni testi sanscriti, ha trovato terreno fertile in decenni di letteratura alternativa, con titoli come Brihad Vimana Shastra, pubblicato nel 1959 e attribuito all’antico saggio Bharadwaja. Tuttavia, studi accademici hanno più volte dimostrato che i testi in questione non solo risalgono al XX secolo, ma utilizzano una forma di sanscrito modernizzata, molto distante da quella vedica. L'autore reale sarebbe infatti il Pandit Subbaraya Shastry, attivo tra il 1900 e il 1922.
A mettere in crisi la veridicità di queste teorie è anche un rapporto dettagliato redatto già nel 1974 da un’équipe di ingegneri dell’aeronautica indiana e pubblicato in A Critical Study of the Work “Vymanika Shastra”. Le conclusioni furono inequivocabili: le descrizioni degli apparati volanti contenute nel testo non solo risultavano prive di coerenza logica, ma erano completamente insostenibili dal punto di vista aerodinamico e ingegneristico. Alcuni velivoli descritti nel documento sarebbero stati incapaci persino di librarsi in aria, tanto erano goffi nella progettazione.
Eppure, nel clima culturale dell’India contemporanea, sempre più incline a esaltare il proprio glorioso passato, le teorie sui vimana stanno vivendo una nuova giovinezza. La loro rinascita non è esente da conseguenze: l’Indian Science Congress, fondato nel 1914 per promuovere il sapere scientifico, rischia ora di perdere la sua credibilità a livello internazionale.
La comunità accademica non è rimasta a guardare. Nei giorni precedenti al simposio, decine di scienziati avevano sottoscritto un appello agli organizzatori per impedire che tesi prive di fondamento fossero presentate durante l’evento. Tuttavia, l’intervento di Bodas e Jadhav è stato non solo mantenuto in programma, ma inserito nella sezione “La scienza antica attraverso il sanscrito”, conferendogli così una parvenza di legittimità culturale.
Al termine della conferenza, la situazione si è fatta ancora più paradossale. Contrariamente alla prassi, gli atti del simposio non sono stati pubblicati integralmente. Gli organizzatori hanno annunciato che verrà rilasciato soltanto un report riassuntivo, evitando così di divulgare i contenuti completi della presentazione controversa. Il quotidiano The Hindu ha provato a ottenere il materiale dal Capitano Bodas, il quale ha rimandato la richiesta agli organizzatori. A loro volta, questi ultimi hanno sostenuto di aver bisogno del consenso dell’autore per rilasciare il documento. Un rimpallo degno della burocrazia più opaca.
Incalzata dalle domande, Gauri Mahulikar, docente associata dell’Università di Mumbai, ha dichiarato che il rifiuto a pubblicare l’intervento è legato a “questioni di copyright”. La spiegazione ha destato non poche perplessità. “Temiamo che altre persone che non hanno nulla a che vedere con questa ricerca se ne prendano il merito”, ha aggiunto Mahulikar, accendendo ancor più i riflettori su una vicenda che ha poco a che vedere con il metodo scientifico e molto con il culto dell’eccezionalismo nazionale.
Il caso indiano non è isolato. Episodi simili, che mescolano orgoglio patriottico, interpretazioni esoteriche e revisionismo storico, affiorano con regolarità in diversi angoli del mondo. Ma quando simili teorie si insinuano nei luoghi deputati al progresso della scienza, il danno rischia di essere profondo e duraturo. Screditare la ricerca in nome di mitologie non verificate – o peggio, già ampiamente smentite – non fa che alimentare la confusione pubblica e indebolire la fiducia nei confronti della scienza autentica.
Intanto, mentre gli appassionati del mistero continuano a cercare nei cieli i segni di un passato dimenticato, gli ingegneri di oggi, quelli veri, preferiscono affidarsi a simulazioni, prototipi e formule aerodinamiche. Perché il progresso, per volare alto, ha bisogno di verità – non di leggende.