lunedì 7 ottobre 2019

Alma

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L'Alma o Almas è una creatura leggendaria che secondo la tradizione abita le montagne mongole. In lingua mongola il suo significato è letteralmente "uomo selvaggio" e viene considerato un parente molto stretto dello Yeti e dello Yeren.
L'alma sarebbe una specie di ominide, la cui esistenza non è ancora confermata dalla scienza. I testimoni oculari affermano che è alto più o meno come un uomo, curvo, più peloso di un essere umano.
Nella cultura della Mongolia questa creatura occupa un posto di primo piano, basti pensare alle numerose località geografiche che traggono il proprio nome da esso. È il caso ad esempio di Almasyn dobo (le colline degli Alma o le tombe degli Alma), dell'Almasyn ulan oula (le montagne rosse dell'Alma) o ancora delle Almasyn ulan khada (le rocce rosse dell'Alma). Il loro habitat è costituito dalle regioni desertiche del Gobi e dagli aridi e rocciosi rilievi della catena montuosa degli Altai. Fino alla catena delle Tien Shan, al confine con la Cina.
Le prime leggende sulla sua esistenza si perdono nella notte dei tempi, ma la prima testimonianza scritta di un suo presunto avvistamento risale al 1420 ad opera di un occidentale: l'esploratore tedesco Johann Schiltberger, che durante i suoi viaggi fu fatto prigioniero dai mongoli e trasportato attraverso le montagne Tien Shan. Nei suoi racconti egli parla delle creature che abitavano quelle terre descrivendoli come "uomini selvaggi che nulla hanno a che vedere con gli esseri umani, hanno una folta pelliccia che ricopre tutto il corpo fatta eccezione per le mani e la faccia. Queste creature corrono tra le colline come animali e si cibano di foglie, erba e qualsiasi cosa riescano a trovare".

domenica 6 ottobre 2019

Alkonost

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Alkonо́st (anche alkonst, alkonoc; deformazione dello slavo antico alkion, che è un uccello il cui nome deriva del greco ἀλκυών, “martin pescatore”) è uno degli uccelli del paradiso delle leggende e dell'arte russa, con testa e mani di ragazza. Spesso viene menzionato e raffigurato con un altro uccello del paradiso, Sírin.

Origine della figura

La figura di Alkonо́st nasce dal mito greco di Alcione, ragazza trasformata in martin pescatore dagli dei. Il suo nome e la sua immagine apparvero per la prima volta in documenti tradotti in seguito a un errore di trascrizione: probabilmente durante la ricopiatura dello “Šcestodnev” di Ioann Bolgarskij dove si parla del martin pescatore, l'alcione (in greco: ἀλκυών), le parole del testo slavo “Алкионъ есть [l'Alkion è] un uccello di mare” sono state trasformate in “alkonо́st'”. La più antica rappresentazione di Alkonо́st si trova in una miniatura del XII secolo. Questo straordinario uccello del paradiso è diventato famoso grazie a dei manoscritti della letteratura slava antica (Kliment Smoliatich, Paleia, XIV secolo e i glossari del XVI-XVII secolo) e ai lubki.

Descrizione

Secondo le leggenda Alkonо́st deporrebbe le uova negli abissi del mare a metà inverno (o durante il solstizio d'inverno). Così le uova rimangono sette giorni sul fondale e poi salgono in superficie. In questo periodo il mare è in bonaccia. Successivamente Alkonо́st prende le uova e le cova sulla riva. A volte le persone cercano di rubare un uovo di Alkonо́st e di metterlo sotto il soffitto della chiesa. Il canto di Alkonо́st è talmente meraviglioso che chi lo sente si dimentica di tutto. La leggenda dell'uccello Alkonо́st riecheggia quella dell'uccello Sírin. Di solito, sulla testa dell'Alkonо́st viene raffigurata una corona. Secondo le rappresentazioni dei lubki russi, i tratti caratteristici di Alkonо́st sono il seno e le mani, in una delle quali sorregge o il fiore del paradiso o una pergamena srotolata con una massima riguardo alla ricompensa in paradiso per aver condotto una vita retta. Secondo l'interpretazione di Viktor Vasnecov l'Alkonо́st si ricopre di un piumaggio bianco e diventa messaggero di gioia e di estasi. Secondo una leggenda popolare la mattina della festa del Salvatore delle mele arriva nel meleto l'uccello Sírin, il quale si rattrista e piange. Ma dopo mezzogiorno arriva l'uccello Alkonо́st, che gioisce e ride. L'uccello fa cadere dalle sue ali della rugiada viva e i frutti si trasformano, nasce in loro una forza straordinaria: da questo momento tutti i frutti sui meli diventano curativi. Nel neopaganesimo Alkonо́st viene presentato come l'incarnazione di Khors, il dio che governa il tempo atmosferico.

Habitat

Per quanto riguarda il luogo in cui vive Alkonо́st, a volte viene citato l'Eufrate (fiume del paradiso secondo la Genesi 2:14), altre l'isola Bujan, altre ancora semplicemente il paradiso slavo Irij. Esiste una didascalia sotto uno dei lubki con la sua raffigurazione: "Alkonо́st vive vicino al paradiso, e a volte lungo l'Eufrate. Quando canta, non si rende conto nemmeno di se stesso. E chi si trova lì vicino si dimentica di tutto: la mente si allontana e l'anima esce dal corpo".

sabato 5 ottobre 2019

Mutaforma

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Il tema di esseri umani, o altre creature viventi, dotati della capacità di mutare forma, ha una lunghissima storia nella letteratura, nella mitologia e nel folklore, e in altre forme di finzione. Al termine tradizionale proteiforme (aggettivo), che indica una creatura capace di mutare forma a piacimento, si è affiancato il neologismo mutaforma (usato anche sostantivo, dall'inglese shapeshifter): si riferisce alla capacità di un essere vivente di assumere sembianze di un'altra persona o di un animale (metamorfosi, questa, detta anche teriantropia).

Mitologia

I pantheon di molte mitologie annoverano divinità, o altre creature soprannaturali, capaci di assumere sembianze di animali o di mortali. Nella mitologia greca, l'esempio per eccellenza è Proteo, che poteva assumere qualunque aspetto a meno che non lo si immobilizzasse; ma anche gli dèi dell'Olimpo spesso si trasformavano in animali: (Zeus, per esempio, si trasformò in cigno per sedurre Leda). Nella mitologia norrena, la capacità di mutare forma è usata soprattutto da Loki, dio dell'inganno (si trasforma per esempio in cavallo, salmone, pulce); ma lo stesso Odino spesso si mescola agli umani sotto mentite spoglie in una teofania pur mantenendo, di solito, il suo tratto distintivo, l'essere orbo di un occhio. Anche divinità minori come i nani potevano mutare forma; per esempio, Fafnir si trasformò in un drago per essere poi ucciso da Sigurd. Nelle leggende e nei miti del ciclo arturiano le metamorfosi hanno un ruolo importante; l'artefice di molte di esse (tra cui quella fatale grazie a cui si deve il concepimento di Re Artù) era il proteiforme Merlino.
Nella tradizione dei nativi americani, gli sciamani hanno il potere di assumere sembianze animali per tramite del sogno (un esempio si trova in A scuola dallo stregone di Carlos Castaneda).
Nella cultura islamica gli esseri dotati di queste qualità sono i jinn: estremamente mutevoli nell'aspetto, possono trasformarsi perfino in un mulinello di vento.

Folklore

Nel folklore di molti paesi si trovano riferimenti a creature in grado di mutare forma; esempi tradizionali sono i licantropi e i vampiri (che, secondo alcune interpretazioni, sono in grado di trasformarsi in pipistrelli o altri animali). Il Giappone ha un mito analogo, quello delle kitsune o "volpi mannare".

Cultura di massa

Il tema dei mutaforma si trova anche nella letteratura di consumo e di genere, dalla fantascienza (in cui il mutamento di forma è spesso reso possibile da una tecnologia creata da qualche scienziato pazzo) al fantasy ai fumetti e all'horror (questi due generi spesso riprendono temi tradizionali, mitologici o folkloristici).
Fra le opere classiche in cui qualche espediente tecnologico consente di mutare forma, da citare è Lo strano caso del dottor Jekyll e di mister Hyde di Robert Louis Stevenson: il personaggio del titolo ha a disposizione due forme e due personalità corrispondenti.

Animali

Alcuni animali, in particolare alcune specie di cefalopodi come il Thaumoctopus mimicus, sono notoriamente dotati della capacità di modificare la forma e il colore del loro corpo allo scopo di assumere l'aspetto di altre creature (per esempio altre specie di pesci o formazioni rocciose).

venerdì 4 ottobre 2019

Alastyn

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L'Alastyn è una creatura del folklore e delle leggende gaeliche.
È un cavallo d'acqua dell'Isola di Man, che può trasformarsi in un uomo, eccetto le orecchie che restano immutate.
Inganna gli umani facendosi montare per portarli in acqua e lì divorarli. Per alcune sue caratteristiche è accostabile agli scozzesi Kelpie e Each Uisge.

giovedì 3 ottobre 2019

Akaname

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L'akaname (垢嘗 letteralmente, "leccatore di sporcizia") è un mostro del Gazu Hyakki Yagyō di Toriyama Sekien, probabilmente basata su una creatura chiamata aka-neburi dal Kokon Hyaku Monogatari Hyōban (古今百物語評判), una collezione di storie del periodo Edo.
Sekien non ha incluso spiegazioni insieme ai disegni, ma oggi l'akaname è spesso descritto come un essere che appare nei bagni disordinati per leccare via sporcizia e polvere con una saliva velenosa. La storia a volte è usata per spaventare i bambini e fargli tenere il bagno pulito. Questa spiegazione sembra aver avuto origine in un'antologia degli anni '20 dell'arte Yōkai.

mercoledì 2 ottobre 2019

Aisha Kandisha

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Lalla Aisha Kandisha - in arabo: عيشة قنديشة, ʿĀʾisha Qandīsha, alla francese Aicha Kandicha - è una Jinniyya della mitologia marocchina, spirito molto conosciuto e temuto del folklore marocchino, viene venerata quasi come una santa.
Lalla Aisha è uno dei tanti jinn (termine arabo-islamico che designa uno spirito che può essere sia di natura sia benevola sia, per lo più, di natura maligna) che popolano l'immaginario popolare del Marocco. Si manifesta sotto sembianze umane, spesso come una donna bellissima dai capelli rossi o neri, vestita di una leggera veste bianca, altre volte come un'anziana senza denti. In ogni caso, la si può riconoscere da un inquietante particolare: ha zampe di cammello o di capra al posto dei piedi e delle gambe. In genere appare di notte in luoghi vuoti o semivuoti.

Possibili origini del mito

Secondo la mitologia, Aisha era una donna in carne ed ossa prima di diventare, per motivi non chiari, un Jinn, e a proposito della sua origine ci sono varie leggende:
  • Lalla Aisha al-Bahria: secondo questa versione, quando ancora era un essere umano, Aisha era una nobile portoghese vissuta a Safi nel XVI secolo, durante l'occupazione portoghese della città. Si sarebbe follemente innamorata di un notaio marocchino della città. Si sposò con lui e trasformò il suo titolo nobiliare dal portoghese Condessa (contessa) all'arabo-maghrebino Kandisha. Siccome la nobildonna non si copriva il capo o il viso come le donne musulmane, veniva vista da tutti quando usciva e gli uomini che la incrociavano per la strada si innamoravano perdutamente di lei. Tanti persero la ragione, e vagarono disperati per l'eternità.
  • Lalla Aisha al-Mujahida: secondo questa versione Aisha era una bellissima donna che abitava in un villaggio vicino alla città di El Jadida (un'altra versione parla della città di Azemmour) all'inizio del XVI secolo. Quando i Portoghesi attaccarono e conquistarono la città nel 1502, iniziarono a lanciare periodici raid contro i villaggi circostanti. Quando attaccarono il suo villaggio lei non era presente, ma quando tornò trovò gran parte degli abitanti massacrati, tra cui il marito di cui era follemente innamorata. Giurò quindi di vendicarsi e la sua vendetta consistette nell'adescare gli ufficiali portoghesi e, dopo averli sedotti, li convinceva a seguirla in angoli bui e isolati della città per avere rapporti sessuali, ma una volta appartati estraeva il suo pugnale e sgozzava le sue vittime.
  • Lalla Aisha al-Sudaniyya o Aisha al-Hamdouchia: Secondo questa versione, il mistico Sīdī Aḥmad Dghoughi voleva che il suo maestro, il mistico sufi Sīdī ʿAlī ibn Ḥamdūsh, si sposasse. Quest'ultimo con molta riluttanza accettò, a patto che la sua sposa sarebbe dovuta essere una certa Aisha, figlia di un re dell'Africa subsahariana. Quando arrivò in Marocco trovò il promesso sposo morto. Qui diventò una mistica e acquisì una fama di santa e guaritrice. Una leggenda correlata dice invece che era una mistica che arrivò in Marocco da Baghdad, desiderosa di conoscere i grandi (e all'epoca famosi) mistici del Maghreb.
  • È possibile che le radici della leggenda abbiano invece origine nella mitologia ebraico-berbera pre-islamica del Marocco. Kandisha potrebbe derivare dalla radice ebraica ebraica Q-D-S che indica l'idea del sacro e del santo. Nelle loro derdeba (cerimonie terapeutiche ed esorcistiche) infatti, i Gnawa invocano Aisha Kandisha assieme alla tipologia di spiriti detti Sebtyin ("signori del sabato"), spiriti di fede ebraica.
  • Secondo il sociologo Paul Pascon il culto di Aisha Kandisha deriverebbe dalla dea Astarte, venerata secoli fa in tutto il bacino del Mediterraneo da Cananei, Fenici e Cartaginesi.
  • Secondo Vincent Crapanzano il nome "Kandisha" deriverebbe invece dal nome "Quedecha", una dea cananea il cui culto venne introdotto in Marocco dai Fenici.






Oggi

Le apparizioni di Lalla Aisha sono molto frequenti. Si afferma che appaia soprattutto agli uomini, di notte, in luoghi vuoti o semivuoti. Una credenza molto diffusa afferma che appare agli uomini che vagano di notte da soli. Se sono all'interno di un'auto in strade non particolarmente trafficate, chiede loro un passaggio, l'uomo si può accorgere che si tratta di Aisha Kandisha vedendo che ha zampe di cammello o di capra. Secondo queste leggende urbane, Aisha non fa del male a questi uomini, se si limiteranno ad accompagnarla dove lei chiederà loro, rimane però il problema del danno psicologico causato dall'incontro con la Jinnia. Secondo le leggende è possibile difendersi da lei recitando versi del Corano o tirando fuori un oggetto metallico.
Secondo la credenza popolare Aisha è sposata con il Jinn chiamato Hammou Qiyou, da non confondere con il Basha Hammou, un altro Jinn del folklore marocchino.
Sono molti i soprannomi con la quale viene chiamata, come Moulat el Merja (la signora della palude), Moulat el Widan (la signora dei fiumi) etc.
Esattamente come gli altri jinn della mitologia marocchina, Aisha viene spesso invocata con canti in suo onore nei rituali esorcistici e terapeutici di trance degli hmadcha, dei jilala, dei gnawa e degli Aissawa. Una volta invocata Aisha nei seguenti rituali, induce le donne partecipanti in stato di trance a farle urlare, rotolare per terra e piangere.
In tutto il Marocco ci sono dei luoghi adibiti ad Aisha che sono soggetti a veri e propri pellegrinaggi popolari, questi luoghi possono essere pozzi, grotte, sorgenti e fontane.
Aisha Kandisha può possedere, o comunque esercitare un certo controllo sulle persone, costringendole a fare determinate cose e vestirsi in un determinato modo, soprattutto con il rosso e il nero, i colori preferiti da Aisha.

martedì 1 ottobre 2019

Agnello vegetale della Tartaria

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L'Agnello Vegetale della Tartaria (Latino: “Agnus scythicus” o “Planta Tartarica Barometz”) è una creatura leggendaria originaria dell'Asia Centrale che combina caratteristiche animali e vegetali. Questa pianta mitologica si riteneva fosse in grado di produrre come frutti delle pecore. Tali prodigiosi frutti ovini erano, secondo la leggenda, collegati alla pianta tramite un cordone ombelicale che permetteva alla pecora di brucare l'erba intorno entro un certo raggio dalle proprie radici: quando tutto il nutrimento della pecora si esauriva, sia la pianta sia la pecora si seccavano, morendo. Nonostante il mito sia nato come modo per spiegare l'esistenza del cotone secondo il pensiero medioevale, la leggenda si basa su una pianta realmente esistente, la Cibotium barometz, o Polypodium borametz, una felce del genere Cibotium, lanuginosa e con radici a fittone, solitamente in numero di quattro o cinque. L'agnello vegetale della Tartaria è noto con molti altri nomi, fra i quali Agnello della Scizia, Barometz, Borometz o Borametz, questi ultimi essendo diverse traslitterazioni della parola tartara che indica l'agnello. Nell'antichità era d'uso produrre delle “prove” dell'esistenza della miracolosa pianta, rimuovendo le foglie dalla parte terminale del rizoma dall'apparenza lanuginosa della felce: capovolgendo il tutto, il rizoma filamentoso poteva facilmente rassomigliare ad un agnello con tanto di lana, con le gambe formate dalle basi recise dei piccioli. Il Tradescant Museum of Garden History conserva un esemplare di "Barometz" sotto vetro.

Caratteristiche

Nel suo libro, The Vegetable Lamb of Tartary (1887), il naturalista Henry Lee descrive il leggendario agnello come ritenuto essere dai cronisti medievali contemporaneamente un animale vero e proprio ed una pianta; tuttavia asserisce che alcuni scrittori credevano che il Barometz fosse in tutto e per tutto il frutto di una pianta, nato da semi simili a quelli del melone, e che qualora l'agnello si fosse separato dallo stelo che lo ancorava al suolo, sarebbe morto. Si credeva che l'agnello vegetale possedesse sangue, ossa e carne simili a quelle di un normale ovino, ma che fosse connesso alla terra da un fusto simile ad un cordone ombelicale che sorreggeva l'agnello in alto. Con il tempo poi il gambo si sarebbe flesso in avanti sotto il peso del suo stesso frutto, permettendo all'agnello di consumare l'erba intorno. Una volta che tutta l'erba disponibile nel raggio d'azione dell'agnello fosse finita, l'agnello moriva e poteva quindi essere consumato. Secondo la leggenda il suo sangue era dolce come miele e la sua lana era usata dai nativi della Tartaria per fabbricare copricapo ed altri generi di abbigliamento. Gli unici altri animali carnivori che attaccavano l'agnello vegetale (oltre naturalmente agli umani) erano ritenuti essere i lupi.

Possibili origini

Una creatura sostanzialmente identica, combinante caratteristiche sia animali che vegetali, è menzionata nella tradizione popolare ebraica non prima del 436 a.C. Questa creatura, chiamata Yeduah, era del tutto simile ad un agnello nella forma e spuntava dalla terra connessa ad uno stelo. Coloro che andavano a caccia dello Yeduah potevano effettuare il “raccolto” dell'animale solamente recidendo lo stelo con frecce o dardi. Una volta che l'animale era stato disgiunto dal suolo, moriva rapidamente e le sue ossa potevano essere usate nella divinazione e in alcune cerimonie profetiche. Una versione alternativa narra del Faduah, una pianta di forma umana connessa alla terra da uno stelo attaccato al suo ombelico. A differenza del Barometz, il Faduah era ritenuta una pianta aggressiva, che aveva l'abitudine di afferrare e uccidere ogni creatura a portata di mano che lo scambiava per un comune vegetale. Come l'agnello vegetale però, anche il Faduah moriva se il suo stelo era reciso. Odorico da Pordenone, francescano italiano nato nel 1265, riporta di come, sentendo della prima volta parlare del Barometz, gli fosse venuto in mente di un altro genere di simili piante prodigiose che vivevano sulle coste del Mare di Irlanda. Questi alberi producevano frutti simili a Cucurbitacee, che cadendo in acqua germogliavano in uccelli chiamati Barnacle. Odorico si riferiva ad un'altra leggendaria pianta zoofita (che, insieme all'agnello vegetale o alla mandragora, condivideva una doppia natura animale-vegetale), cioè l'Albero delle Barnacle, che era ritenuto crescere affacciato sulla costa e lasciar cadere i propri frutti nel mare vicino alle isole Orcadi. Il frutto aderiva quindi ad una varietà di sostrati, come scogli o altre sporgenze, lasciando intravedere un ciuffo di piume bagnate al proprio interno ed infine, a piena maturazione, rilasciava un'oca adulta perfettamente formata. La leggenda di una simile pianta-animale era generalmente accettata per spiegare la presenza di sole oche facciabianca adulte nel Nord Europa, assenza dovuta alle curiose abitudini riproduttive di questa specie e spiegata solo nel XX secolo.
Nel suo lavoro intitolato The Shui-yang or Watersheep and The Agnus Scythicus or Vegetable Lamb (1892), il naturalista e sinologo Gustav Schlegel indica la leggenda cinese della pecora d'acqua come ispirazione originale della leggenda dell'Agnello Vegetale della Tartaria. In maniera molto simile all'agnello, la pecora d'acqua era ritenuta essere sia una pianta che un animale, e le leggende che la riguardavano ponevano la sua terra d'origine in Persia. Era connessa alla terra da uno stelo e, se lo stemma era reciso, si seccava e moriva. L'animale era protetto dai suoi predatori da una recinzione artificiale e da uomini armati che gridavano e battevano su tamburi. Si diceva che la sua lana fosse usata per vestiti pregiati e copricapo. Allo stesso modo in cui l'Agnello Vegetale della Tartaria era una spiegazione per il cotone, la pecora d'acqua era probabilmente una spiegazione al bisso.

In cerca della leggenda

Le versioni più antiche della leggenda descrivono l'agnello come un frutto che sorgeva da un seme simile ad un melone o una cucurbitacea, perfettamente formato, come se fosse nato in maniera naturale. Con il passare del tempo, questo concetto fu rimpiazzato dall'idea che l'agnello fosse sia un frutto che un animale. Gustav Schlegel, nel suo libro sulle varie leggende che riguardano l'agnello vegetale, riporta che l'agnello nasceva senza corna, ma con due ciuffi di bianchi, ricci capelli al posto di esse.
La diffusione della leggenda presso il popolo inglese nel XIV secolo è attribuita Sir John Mandeville, che la raccontò nelle sue opere durante il regno di Edoardo III. Mandeville ritornò dalla Tartaria descrivendo un bizzarro frutto simile ad una strana zucca originario di quelle terre. Una volta maturo, il frutto si apriva, rivelando al suo interno quello che sembrava in tutto e per tutto un agnello, ma senza ancora lana; a quel punto il frutto e l'agnello venivano mangiati. Anche Odorico di Pordenone, avendo viaggiato a lungo confermò di aver sentito di zucche in Persia che quando mature si aprivano per rivelare al proprio interno creature simili agli agnelli.
Nella metà del XVI secolo, Sigismund von Herberstein, che nel 1517 e nel 1526 fu Ambasciatore presso l'Imperatore Massimiliano I e Carlo V, presentò un resoconto molto più dettagliato sul Barometz nel suo Rerum Moscoviticarum commentarii, uno fra i più antichi trattati sulla Russia. Asserì di aver appreso la storia da molte fonti, tutte troppo affidabili per dubitare dell'esistenza dell'agnello vegetale, e diede una collocazione esatta della creatura, vicino al Mar Caspio, fra il fiume Jaick e il Volga. La creatura, che nasceva da semi somiglianti a meloni, poteva raggiungere un'altezza pari a 80 cm, ed era simile ad un agnello per molti aspetti, eccetto alcuni: nelle sue vene scorreva una linfa simile al sangue, ma la sua carne era dissimile da quella di un agnello, essendo invece più simile a quella di un crostaceo. Diversamente da un regolare agnello, i suoi zoccoli erano fatti di spessa peluria; era un cibo prediletto dai lupi e da molti altri animali.
Il medico e studioso tedesco Engelbert Kaempfer, accompagnò una delegazione in Persia nel 1683 con l'intenzione di trovare l'agnello. Dopo aver parlato con degli indigeni e non aver trovato nessuna prova fisica dell'esistenza dell'agnello vegetale, concluse che si trattava di una leggenda. Tuttavia, osservò l'usanza dei locali di rimuovere un agnello ancora non nato dall'utero della madre, per raccoglierne la sofficissima lana e ritenne si potesse trattare di una possibile origine della leggenda. Kaempfer ipotizzò ulteriormente che i campioni di lana fetale conservati nei musei potessero essere erroneamente attribuiti ad una sostanza vegetale.

Nella poesia

Molti autori scrissero poesie integrando nei loro versi la leggenda del Barometz. La leggenda dell'Agnello Vegetale colpì molto l'immaginazione di autori settecenteschi come Erasmus Darwin, che scrisse una composizione sul borametz nella sua opera Il Giardino Botanico (1781) e Demetrius De La Croix, che ne scrisse nella sua opera intitolata Connubia Florum, Latino Carmine Demonstrata (1791). Precedentemente, Guillaume de Salluste Du Bartas scrisse dell'agnello della tartaria nel suo lavoro La Semaine (1587). Nel suo componimento Adamo passeggia per il Giardino dell'Eden ed è stupefatto dalla singolarità della creatura.

Nella letteratura

Denis Diderot scrisse un articolo sull'Agnus scythicus nella prima edizione della sua Encyclopédie e la creatura è descritta anche da Thomas Browne nel terzo libro dell'opera Pseudodoxia Epidemica. L'Agnello Vegetale della Tartaria appare inoltre come Borometz nel famoso Manuale di zoologia fantastica di Jorge Luis Borges.

 
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