Il
licantropo, detto anche
lupo mannaro o
uomo lupo, è una creatura leggendaria della mitologia e del
folclore poi divenuta tipica della letteratura e del cinema
dell'orrore.
Secondo la leggenda sarebbe un essere
umano condannato da una maledizione (o già dalla nascita) a
trasformarsi in una bestia feroce a ogni plenilunio.
La forma di cui si racconta più spesso
è quella del lupo, ma in determinate culture prevalgono l'orso, il
bue (Erchitu) o il gatto selvatico (si veda in seguito). Nella
narrativa, e nella cinematografia dell'orrore, sono stati aggiunti
altri elementi che invece mancavano nella tradizione popolare, quali
il fatto che lo si possa uccidere solo con un'arma d'argento, oppure
che il licantropo trasmetta la propria condizione ad un altro essere
umano dopo averlo morso. Alcuni credevano che uccidendo il lupo prima
della prima trasformazione la maledizione venisse infranta.
È importante notare inoltre che lupo
mannaro e licantropo non sempre sono sinonimi: infatti nelle leggende
popolari il lupo mannaro è talvolta semplicemente un grosso lupo con
abitudini antropofaghe, a cui può essere associata una natura
mostruosa. Inoltre, nel caso del lupo mannaro come mutaforma, si può
distinguere tra il lupo mannaro, che si trasforma contro la propria
volontà, e il licantropo, che si può trasformare ogni volta che lo
desidera e senza perdere la ragione (la componente umana).
Nella letteratura medica, con il
termine licantropia clinica è stata descritta una rara sindrome
psichiatrica che avrebbe colpito le persone, facendo sì che
assumessero atteggiamenti da lupo durante particolari condizioni
(come le notti di luna piena). In modo analogo un licantropo era
semplicemente una persona affetta da questo disturbo ed è con questo
unico significato che la voce è riportata su alcuni importanti
dizionari della lingua italiana.
In tempi recenti, l'esistenza di
tale disturbo è stata considerata rarissima.
"Licantropo" viene dal greco
λύκος lýkos, "lupo" e
ἄνθρωπος ánthropos, "uomo".
"Lupo mannaro" deriva dal
latino volgare *lupus hominarius, cioè "lupo umano" o
"lupo mangiatore di uomini" oppure dal latino lupī
hominēs, sviluppatosi in area meridionale come calco del greco
λυκάνθρωποι lykanthrōpoi – cfr. Dialetto Molfettese
lëpòmënë e calabrese settentrionale lëpuòmmënë – a cui si
sarebbe aggiunto un suffisso -rë, come nell'abruzzese lopemënarë.
Il lupo è stato un animale soggetto ad
un radicale processo di demonizzazione e successiva rivalutazione,
dimostrando la sua intima connessione all'immaginario umano. Il lupo
è un simbolo ambivalente: amato per gli stessi pregi che hanno fatto
del suo discendente (il cane) l'animale domestico per eccellenza;
invocato nei riti sciamanici come guida sul terreno di caccia,
ammirato per la forza e l'astuzia, addomesticato per diventare un
alleato, ma poi cacciato per impedirgli di predare le greggi e infine
addirittura demonizzato durante il Medioevo.
Il modo di considerare il lupo muta, in
maniera piuttosto brusca e radicale, col passaggio dell'uomo dal
nomadismo, basato sulla caccia, alla cultura stanziale ed agricola.
Il cacciatore ha bisogno della forza dell'animale totemico e del
predatore, che lo può portare a scovare e ad uccidere la preda, e il
lupo è il predatore per eccellenza. Per i cacciatori nomadi delle
steppe dell'Asia centrale era rappresentativo della tribù e suo
protettore. Il pastore e l'allevatore, invece, hanno un rapporto
radicalmente diverso con esso: il lupo diviene minaccia per le greggi
ma, contemporaneamente, i suoi cuccioli, debitamente addestrati,
possono divenire preziosi alleati contro i loro stessi simili.
Il mito di un essere umano che si
trasforma in lupo o viceversa è antico e presente in molte culture.
I miti che riguardano la figura del lupo hanno origine, con buona
probabilità, nella prima età del bronzo, quando le migrazioni delle
tribù nomadi indoarie le portarono in contatto con le popolazioni
stanziali europee. Il substrato di religioni e miti "lunari"
e femminili degli antichi europei si innestò nel complesso delle
religioni "solari" e maschili dei nuovi arrivati, dando
vita ai miti delle origini, in cui spesso il lupo è protagonista. La
sovrapposizione tra i culti solari della caccia e quelli lunari della
fertilità si riscontra nei miti che vedono il lupo come animale
propiziatore della fecondazione. In Anatolia, fino ad epoca
contemporanea, le donne sterili invocavano il lupo per avere figli.
In Kamčatka, i contadini, nelle feste ottobrali, realizzavano con il
fieno il simulacro di un lupo a cui recavano voti, perché le ragazze
in età da marito si sposassero entro l'anno. Questo intimo legame,
nel bene e nel male, tra l'uomo e i canidi ha fatto sì che tra tutti
i mannari proprio quelli di stirpe lupina siano tra le specie con le
origini documentabili più antiche.
Le leggende riguardo agli uomini-lupo
si moltiplicano in tutta Europa dall'Alto Medioevo in poi. Il corpus
mitologico che ne scaturisce si manterrà sostanzialmente in costante
espansione fino al XVIII secolo, con punte di massima crescita tra il
XIV e il XVII secolo, in coincidenza delle più grandi Caccia alle
streghe dell'Inquisizione. Dal Settecento in poi si tenderà a
sconfessare apertamente la possibilità che un essere umano si muti
fisicamente in un lupo, e la licantropia rimarrà contemplata
solamente dalla psichiatria come affezione patologica che porta il
malato già "lunatico" a credersi bestia a tutti gli
effetti. Nel folclore locale manterrà, invece, solide radici.
Nell'Antico Egitto era presente una
divinità teriomorfica con caratteristiche sia umane sia canine: il
dio Anubi. Questa divinità veniva raffigurato come uno sciacallo, il
più delle volte accucciato ma, quando deve presiedere ai riti del
trapasso, assume la forma di un uomo con la testa di sciacallo. Le
sue raffigurazioni, sebbene compaiano già all'inizio della storia
egizia, si fanno più frequenti a partire dal Medio Regno (2134
a.C.–1991 a.C.), quando si diffondono maggiormente le tombe ipogee
riccamente decorate. È da specificare che in questo caso non si può
parlare di mannarismo vero e proprio perché manca l'aspetto della
trasformazione, volontaria o involontaria; semplicemente, le due
forme del dio convivono nell'immaginario egizio. La convivenza
contemporanea di due o più forme per le divinità è caratteristica
della religione egizia.
Nell'Antica Grecia compaiono altre
raffigurazioni, rispettivamente Zeus, Febo e Licaone.
Zeus è un appassionato mutaforma e più
volte si serve della sua facoltà per sedurre donne mortali eludendo
la sorveglianza di Hera. Nel suo repertorio di trasformazioni (che,
in effetti, si può ritenere illimitato, essendo egli un dio), vi è
anche quella in lupo. Proprio in questa forma, e col nome di Liceo
era adorato in Argo. In questa città, e sotto forma di lupo, Zeus
era comparso a causa del malcontento popolare nei confronti del re
Gelanore e appoggiare l'eroe Danao, che al re fu sostituito.
Febo, insieme a sua sorella Artemide,
viene partorito da Latona, trasformata in lupa. Inoltre, tra le
facoltà attribuite al dio Febo-Apollo vi è quella di mutare forma;
una delle sue trasformazioni è appunto in lupo. A Febo Lykos viene
anche dedicato un boschetto nei pressi del suo tempio ad Atene, nel
quale soleva tener lezione ai suoi discepoli Aristotele (il Liceo di
Aristotele, da cui prende il nome l'ordine scolastico, detto,
appunto, liceo). Il lupo diviene quindi animale della sapienza.
L'interpretazione non è comunque univoca; secondo altre fonti il
nome deriverebbe da (Apóllōn) lýkeios, quindi "uccisore del
lupo".
Il mito di Licaone documenta, nelle sue
varie versioni, il passaggio del lupo da creatura degna di
venerazione a essere da temere. Nella versione originaria, Licaone,
re dei Pelasgi, fonda sul monte Liceo la città di Licosura, la prima
città di questo popolo. Nelle versioni successive Licaone diviene un
feroce re dell'Arcadia. Un giorno dette ospitalità a un mendicante
ma, per burlarsi di lui, lo sfamò con le carni d'uno schiavo ucciso
(secondo altre versioni, la portata principale era uno dei suoi
stessi figli). Il mendicante, che era in realtà Zeus travestito, si
indignò per il gesto sacrilego, e dopo aver fulminato i suoi
numerosi figli lo trasformò in lupo, costringendolo a vagare per i
boschi in forma di bestia. L'economia nella zona dell'Arcadia in cui
ha origine la seconda versione del mito è molto più legata
all'allevamento di quanto non fossero Atene o Argo. Si riflette
quindi, in questa visione del predatore, l'atteggiamento di
diffidenza che poteva assumere una società pastorale; il lupo viene
visto, qui, come negativo, essere trasformati in esso è una
punizione, non più una qualità divina. Il "lupo cattivo"
stesso, nemesi dell'eroe in duemila anni di favole, ha i suoi natali
nella Grecia antica. La lupa Mormolice, demone femminile, diviene lo
spauracchio dei bambini cattivi, che, secondo le madri greche, fa
diventare zoppi.
La figura del lupo, in qualche modo
antropomorfa, fa la sua comparsa indipendente anche in altre zone
europee. Presso le tribù galliche è un carnivoro necrofago, e viene
raffigurato seduto come un uomo nell'atto di divorare un morto.
Presso gli etruschi è Ajta a incarnare in qualche modo le sembianze
del mannaro; il dio etrusco degli inferi ama portare un elmo di pelle
di lupo, che lo rende invisibile.
È difficile stabilire quando si
abbiano le prime leggende che parlino esplicitamente di licantropi.
Di certo, la figura del lupo mannaro compare, ancora in epoca
classica, nel I secolo nella narrativa della Roma antica. Ne parla
Gaio Petronio Arbitro nel frammento LXII del Satyricon ed è la prima
novella in cui appare questa figura:
«[...] arrivati a certe tombe il mio uomo si nascose a fare i suoi bisogni tra le pietre, mentre io continuo a camminare canticchiando e mi metto a contarle. Mi volto e che ti vedo? Il mio compagno si spogliava e buttava le vesti sul ciglio della strada. Mi sentii venir meno il respiro e cominciai a sudare freddo. Sennonché quello si mette ad inzuppare di orina le vesti e diventa d'improvviso un lupo. [...] appena diventato lupo, si mette ad ululare ed entra nel bosco. [...] Mi faccio forza e, snudata la spada, comincio a sciabolare le ombre fino a che non arrivo alla villa dove abitava la mia amica. La mia Melissa pareva stupita al vedermi in giro a un'ora simile e aggiunse: "Se tu fossi arrivato poco fa, ci avresti dato una mano: un lupo è entrato nella villa e ha scannato tutte le pecore peggio di un macellaio. Ma anche se è riuscito a fuggire, l'ha pagata cara, perché uno schiavo gli ha trapassato il collo con una lancia". Al sentire questo non riuscii a chiudere occhio durante la notte e, a giorno fatto, me ne tornai di volata a casa di Gaio, il nostro padrone, come un mercante svaligiato. [...] quando entrai in casa, vidi il soldato che giaceva disteso sul mio letto, sanguinante come un bue, e un medico gli curava il collo. Capii finalmente che si trattava di un lupo mannaro.» |
Nella cultura romana, il lupo non è
visto solo con sospetto, ma anche con ammirazione. È un simbolo di
forza, e la sua pelle viene indossata da importanti figure
all'interno dell'esercito. I vexillifer, sottufficiali incaricati di
portare le insegne di ogni legione, indossavano infatti una pelle di
lupo che copriva l'elmo e parte della corazza. Il licantropo veniva
chiamato versipellis, in quanto si riteneva che la pelliccia del lupo
rimanesse nascosta all'interno del corpo di un uomo, che poi si
"rivoltava" assumendo le fattezze bestiali.
Il rapporto tra il lupo e i Romani
antichi è positivo, come testimoniato anche da altre tradizioni: a
parte la lupa nutrice di Romolo e Remo, il 15 febbraio si svolgeva la
cerimonia dei Lupercali, in onore del dio Luperco (identificato dai
Greci con il loro Pan), nel corso della quale il sacerdote, vestito
da lupo, passava un coltello bagnato di sangue sulla fronte di due
adolescenti (questo aspetto della cerimonia era probabilmente
derivato da un originario sacrificio umano). Luperco era il
protettore delle greggi e il rito era stato ereditato dai Sabini.
Essi identificavano sé stessi nel lupo, animale da cui pensavano
avessero origine le loro caratteristiche originarie di guerrieri e
cacciatori. Il termine "lupo mannaro" ha origine dal basso
latino lupus hominarius, il cui significato etimologico è "lupo
che si comporta come un uomo".
I Romani colti sembrano piuttosto
consapevoli che la licantropia fosse concepita soprattutto come
affezione psichiatrica piuttosto che come reale condizione fisica, e
in ambito ellenico lo stesso Claudio Galeno nella sua Arte medica dà
una descrizione più realistica di questa malattia, prescrivendo
anche dei rimedi:
«Coloro che vengono colti dal morbo chiamato lupino o canino, escono di casa di notte nel mese di febbraio e imitano in tutto i lupi o i cani; fino al sorgere del giorno di preferenza aprono le tombe. Tuttavia si possono riconoscere da questi sintomi. Sono pallidi e malaticci d'aspetto, hanno gli occhi secchi e non lacrimano. Hanno anche gli occhi incavati e la lingua arida, e non secernono saliva per nulla. Sono anche assetati e hanno le tibie piagate in modo inguaribile a causa delle continue cadute e dei morsi dei cani; e tali sono i sintomi. È opportuno invero sapere che questo morbo è della specie della melanconia: che si potrà curare, se si inciderà la vena nel periodo dell'accesso e si farà evacuare il sangue fino alla perdita dei sensi, e si nutrirà l'infermo con cibi molto succosi. Ci si può avvalere d'altra parte di bagni d'acqua dolce: quindi il siero di latte per un periodo di tre giorni, parimenti si purgherà con la colloquinta di Rufo o di Archigene o di Giusto, presa ripetutamente ad intervalli. Dopo le purgazioni si può anche usare la teriaca estratta dalle vipere e le altre cose da applicare nella melanconia già in precedenza ricordate» |
Nel latino medievale, infine, wargus
designa il lupo (normale, in questo caso) ma deriva da una parola
germanica che indica l'uomo che viene punito per un crimine. Nella
società germanica questi veniva allontanato dalla civiltà e dalla
protezione che essa offre, divenendo simile all'essere selvatico per
eccellenza. "Criminale" è detto dunque wearg in Antico
Inglese, warag in Antico Sassone, warc(h), in Antico Alto Tedesco,
vargr in Norreno e wargus in Latino medievale (come prestito dal
Germanico).
Nelle tradizioni del Nord Europa
compaiono figure di guerrieri, uomini e donne, consacrati a Odino, i
berserker, che nella furia della battaglia si diceva si
trasformassero in orsi, mentre gli úlfheðnar si tramutassero in
lupi.
Fenrir è il prototipo del lupo mannaro
scandinavo. È uno dei tre mostruosi figli di Loki, il dio vichingo
degli inganni. Fenrir non è un lupo mannaro vero e proprio, perché
non può trasformarsi e si presenta sempre in forma di lupo;
tuttavia, è grosso al punto di essere deforme, ferocissimo, scaltro
e dotato di parola come un uomo, tutte caratteristiche che lo
avvicinano fortemente alla stirpe dei mannari. Gli dei vichinghi, man
mano che cresce, iniziano a temerlo. Cercano di imprigionarlo, ma la
belva è troppo forte e riesce a liberarsi. Per bloccarlo
definitivamente devono ricorrere all'inganno e alla magia (altra
analogia con molti miti riguardanti licantropi): lo legano con un
laccio fabbricato dai nani intrecciando barba di donna, rumore di
passi di gatto, radici di un monte, respiro di pesce, tendini d'orso
e sputo d'uccello.
Ha forma di lupo anche l'innaturale
progenie di una vecchia gigantessa. Due dei suoi figli lupi, Skǫll e
Hati, inseguono dall'alba dei tempi il sole e la luna (ed è per
questo motivo, secondo il mito, che i due astri si muovono) e
finiranno per divorarli nell'ultimo giorno del mondo.
I lupi mannari propriamente detti
compaiono anche nell'epica vichinga, in particolare nella saga dei
Volsunghi, in almeno due occasioni. Nel canto quinto, a trasformarsi
in lupo è la madre di re Sigger, facendo uso delle sue arti magiche.
La regina-lupa si diverte, nella leggenda, a infierire sui figli di
Volsung, che erano stati fatti prigionieri in battaglia da suo
figlio; dei dieci uomini, nove vengono uccisi. Sopravvive Sigmund,
aiutato dalla gemella Signi, che è anche moglie di re Sigger. Questa
gli unge il volto di miele e la notte il lupo mannaro si ingolosisce,
sentendo l'odore, ma gli lecca il volto anziché sbranarlo.
Prontamente Sigmund gli afferra la lingua con i denti e la belva se
la strappa per liberarsi. Nel tentativo, si procura una ferita che la
uccide e, contemporaneamente, spezza i ceppi di Sigmund, liberandolo.
Il tema del lupo mannaro ricompare nel canto ottavo; qui Sigmund e il
nipote Sinfjotli giungono, attraverso una foresta, a una casa dove
dormono due uomini di nobile stirpe. Sopra di loro sono appese delle
pelli di lupo, due principi stregati da un incantesimo: devono sempre
mostrarsi in forma di lupo, e solo una volta ogni cinque giorni
possono riprendere sembianze umane. Sigmund e il nipote, incuriositi
dalle pelli, le rubano, facendo ricadere su di loro la maledizione.
Assumono sia le sembianze che la natura di lupi, e iniziano a
aggredire uomini. In particolare, Sinfjotli si dimostra aggressivo e
furbo.
«[...] quando nel più folto della foresta si imbatté a sua volta in un gruppo di undici uomini. Invece di chiamare lo zio [si erano accordati di non aggredire più di sette uomini contemporaneamente senza chiedere l'aiuto dell'altro], aspettò il momento più opportuno per coglierli di sorpresa, poi li assalì tutti insieme e li sbranò. Lo zio lo sorprende stanco a sonnecchiare presso i corpi degli uomini uccisi e si adira "Non rispetti i nostri accordi, Sinfjotli".» |
Sigmund e Sinfjotli riescono poi a
liberarsi dalla maledizione del lupo mannaro dando fuoco alle pelli.
Il mito del licantropo si ritrova nel
nord Europa anche in altre zone, oltre alla Scandinavia. Compaiono
nella tradizione dei popoli germanici e delle isole britanniche a
fianco, di volta in volta, dell'orso mannaro o del gatto selvatico.
La diffusione di queste credenze è testimoniata da Olaus Magnus
nella sua Historia de gentibus septentrionalis. Magnus racconta come,
nella notte di Natale, si radunino in un certo luogo molti
uomini-lupo:
«[...] li quali la notte medesima, con meravigliosa ferocità incrudeliscono, e contro la generazione umana, e contro gl'altri animali, che non son di feroce natura, che gl'abitatori di quelle regioni patiscono molto di più danno da costoro, che da quei che naturali Lupi sono, non fanno. Perciochè, come s'è trovato impugnano con meravigliosa ferocità a le case de gl'uomini, che stanno nelle selve, e sforzansi di romperle le porte, per poter consumare gl'uomini e le bestie che vi son dentro» |
(traduzione dal latino di Remigio Fiorentino, Venezia, 1561) |
Il carattere di questi licantropi si
differenzia quindi notevolmente dai lupi genuini, che ne escono quasi
riabilitati. I mostri descritti da Magnus hanno anche spiccata
tendenza all'alcolismo; dopo essere entrati nelle cantine:
«quivi si bevono molte botti [di birra] e di quella e d'altre bevande, e poi lasciano le botti vote, l'una sopra l'altra, in mezzo alla cantina. E in questa parte sono disformi dai naturali, e veri Lupi» |
Ulfhendhnir è il nome dato in molte
regioni settentrionali a questi esseri, e il suo significato è
"dalla casacca di lupo".
In Italia il lupo mannaro assume nomi
diversi da regione a regione: lupi minari nel forlivese, lupu pampanu
o marcalupu in Calabria, lupenari in Irpinia, lupom'n in Puglia,
Malaluna a Porticello, luv ravas nel cuneese, loup ravat nelle valli
valdesi. In Lunigiana (Fortezza del Piagnaro a Pontremoli) viene
segnalata la figura del lupomanaio, che comunque deve provenire da
una zona linguisticamente toscana data la terminazione in -aio e la
stessa forma lupo anziché il normale lov.
In Barbagia esiste la leggenda
dell'Erchitu, un uomo che può trasformarsi, non in lupo, ma in un
grosso bue bianco dalle grandi corna d'acciaio.
Nella Francia centrale e meridionale il
lupo mannaro è il loup garou. L'etimologia è incerta; secondo Carlo
Battisti e Giovanni Alessio garou deriva dal francone *wari(-wulf),
"uomo(-lupo)", mentre secondo altri deriva da loup dont il
faut se garer, ovvero "lupo dal quale bisogna guardarsi".
Nella Francia settentrionale, in particolare in Bretagna, è il
bisclavert.
In Germania e in Gran Bretagna esiste
il werwulf o werewolf, la cui origine etimologica è la medesima:
wer, dalla stessa radice del latino vir ("uomo") e wulf o
wolf ("lupo").
Nell'Europa dell'Est compare una figura
ambigua, a metà tra il lupo mannaro e un demone in grado di
risucchiare la forza vitale (che, più tardi, si identificherà col
vampiro). Il suo nome cambia a seconda della regione, ma l'origine
del nome rimane sempre la stessa.
È detto oboroten in Russia, wilkolak
in Polonia, vulkolak in Bulgaria, varcolac' (la forma forse più
nota), in Romania.
In Oriente, si diceva che Gengis Khan
fosse discendente del "grande lupo grigio".
Nelle pianure degli Stati Uniti, erano
gli indiani Pawnee a ritenersi imparentati con i lupi. Usavano anche
ricoprirsi delle pelli di questi animali per andare a caccia. Un
simile comportamento può avere un valore esclusivamente simbolico
(la volontà di impadronirsi delle doti del predatore) e non certo
mimetico: le potenziali prede degli uomini sono anche, da altrettanto
tempo se non di più, prede del lupo, e sono quindi molto ben
allenate a distinguerne il manto. Inoltre poco dopo la scoperta delle
Americhe i coloni sostenevano che la licantropia fosse una
maledizione dei "pelle rossa" dovuta all'"incrocio"
di sangue tra coloni e indiani dovuti a matrimoni misti o ad altre
motivazioni come gli stupri compiuti meschinamente da coloni nei
confronti degli indiani. Ed altri sostenevano fosse la punizione di
Dio per aver accettato scambi con gli indiani. Mentre i nativi
americani sostenevano che la licantropia fosse una malattia o
maledizione portata dai coloni. Nel Sudamerica, in Argentina e
Paraguay esiste la leggenda del Lobizon dove si narra che il settimo
figlio maschio di un settimo figlio maschio nascerà uomo-lupo. Nel
Suriname è presente la figura dell'Azeman, spirito malvagio
femminile con caratteristiche sia del licantropo che del vampiro.
Dal Basso Medioevo in avanti, il rogo è
una soluzione usata a profusione per sbarazzarsi dei sempre più
numerosi mutaformi, che paiono moltiplicarsi, specialmente in Francia
e Germania. Il fenomeno arriva a toccare dimensioni gigantesche negli
anni successivi alla controriforma, sia nei Paesi cattolici che
protestanti. Redigere una contabilità precisa di quanti siano finiti
al rogo con l'accusa di mannarrismo, da sola o in congiunzione con
quella di stregoneria, è molto difficile. Le fonti più prudenti
parlano di circa ventimila processi e condanne di licantropi tra il
1300 e il 1600, ma alcuni si sbilanciano fino a suggerire un numero
prossimo alle centomila vittime. La storia più famosa è quella di
un certo Peter Stubbe, che forse era effettivamente un serial killer.
Per secoli si è comunque in presenza di una sorta di isteria
collettiva, che è ben testimoniata dagli studi di Jacques Collin de
Plancy. De Plancy, studioso francese dell'Ottocento che si dedicò
animatamente a studi di spirito volterriano per spazzare la
superstizione residua nella gente, raccoglie molte testimonianze dei
secoli precedenti nel suo Dictionnaire Infernal, dando un quadro
abbastanza preciso di quella che era la situazione in Europa nei
secoli citati:
«L'imperatore Sigismondo fece discutere in sua presenza, da un conclave di sapienti, la questione dei lupi mannari, e fu unanimemente stabilito che la mostruosa metamorfosi era un fatto accertato e costante. Un malfattore che volesse compiere qualche soperchieria, non aveva che da spacciarsi per Lupo Mannaro per terrorizzare e mettere in fuga chiunque. A tale scopo non aveva bisogno di trasformarsi davanti a tutti in lupo: bastava la fama. Molti delinquenti vennero arrestati come lupi mannari, pur rimanendo sempre con sembianze umane. Pencer, nella seconda metà del Cinquecento, riferisce che in Livonia, sul finire del mese di dicembre, ogni anno si trova qualche sinistro personaggio che intima agli stregoni di trovarsi in un certo luogo: e, se loro si rifiutano, il Diavolo stesso ve li conduce, distribuendo nerbate così bene assestate da lasciare immancabilmente il segno. Il loro capo va avanti per primo, e migliaia di Stregoni vanno dietro di lui; infine attraversano un fiume, varcato il quale si cambiano in lupi e si gettano su uomini e greggi, menando strage» |
Plancy riferisce anche un episodio
italiano, la cui fonte prima dice essere un certo Fincel:
«Un giorno venne preso al laccio un lupo mannaro che correva per le vie di Padova; gli si tagliarono le zampe, e il mostro riprese tosto forma d'uomo, ma con piedi e mani mozzati» |
Questa sorta di isteria collettiva
porta a episodi terribili e grotteschi insieme. A tal medico
Pomponace, sempre secondo Plancy, venne portato un contadino affetto
da licantropia; questi gridava ai suoi vicini di fuggire se non
volevano essere divorati. Siccome lo sventurato non aveva affatto la
forma di lupo, i villici avevano cominciato a scorticarlo per vedere
se per caso non avesse il pelo sotto la pelle. Non avendone trovato
traccia, lo avevano portato dal medico. Pomponace, con maggior buon
senso, stabilì che si trattava di un ipocondriaco.
Per lo più, tutte le storie e le
leggende sono concordi nell'affermare l'origine diabolica del mostro
che viene spesso associato con streghe ed eretici. A parte questo
punto in comune, è impossibile tracciare una morfologia univoca del
licantropo. Normalmente lo si trova rappresentato in forma di lupo (e
non una creatura ibrida tra l'uomo e la bestia, come nei film
d'orrore) che può però assumere un'ampia gamma di aspetti e
dimensioni, dal normale lupo, da cui si distingue solo per
l'intelligenza e la ferocia, a una mostruosità grossa come una vacca
e deforme, dalla forza spaventosa e dalla ferocia senza pari. Taluni
affermano anche che il licantropo è privo di coda, perché le
creazioni del diavolo, per quanto ben riuscite, sono necessariamente
imperfette. Altri ritengono che sia necessariamente di colore nero.
Un possibile tratto distintivo sta nelle sue impronte: in alcune
leggende, il lupo mannaro lascia a terra il segno di cinque unghie (i
canidi normali lasciano solo quattro tacche. Il pollice si è
atrofizzato e non tocca il terreno). Alcuni di questi uomini bestia
conservano la possibilità di parlare e ragionare come normali esseri
umani, altri la perdono completamente. Anche alla regola secondo cui
non vengono mai rappresentati come ibridi ci sono delle eccezioni,
sia pure rare e parziali. Infatti, a volte il lupo mannaro sembra
poter procedere su due zampe, o conservare una certa prensilità
degli arti anteriori, cosa che gli consente, all'occorrenza, di
intrufolarsi nelle case scassinando le porte chiuse. Altro tratto
distintivo è l'immenso gusto del licantropo per la carne fresca.
Il demonologo francese Pierre Delancre
(Bordeaux 1565 (?) – Parigi 1630), lo descrive così:
«Essi sgozzano li cani e li bambini e li divoran con eccellente appetito; camminano a quattro zampe; ululano come veraci [lupi]; hanno ampia bocca, occhi di fuoco e zanne acuminate» |
Diventa imperativo, per la possibile
vittima medievale, cercare di capire anche come si presenta il
mannaro in forma umana, per individuarlo e guardarsene. Il compito
non è facile, perché esistono quasi tanti segni indicatori quante
sono le versioni della bestia. Bisogna guardarsi da chi ha
sopracciglia troppo folte e unite al centro, oppure il volto ferino,
i canini troppo affilati, pelo sia sul dorso che sul palmo delle
mani. Il dito indice più lungo del medio è sicuro indizio di
licantropia, così pure un insano appetito per la carne cruda. È
opportuno anche sospettare di chi sia troppo in forze senza che lo si
veda mai mangiare; quasi di sicuro è un lupo mannaro che uccide
persone la notte e le divora di nascosto.
Personaggio a metà tra lo stregone e
l'uomo-lupo è il francese meneur de loups o "pastore di lupi".
È una sorta di incantatore che, pur non trasformandosi personalmente
in lupo, è in grado di radunare e guidare un branco di queste bestie
per i suoi scellerati fini. La capacità di comandare un branco di
normali lupi è spesso riconosciuta anche al licantropo. Alla testa
dei suoi "simili", poi, il lupo mannaro può dare l'assalto
a paesi o, addirittura, a roccaforti, facendo strage degli abitanti e
divorando gli armenti. Talvolta, questi branchi misti si presteranno
anche a fare da cavalcatura alle streghe, e a portarle ai luoghi del
sabba.
Nel Medioevo si completa l'opera di
demonizzazione del lupo, che viene assimilato al suo "doppio"
innaturale e visto come servo delle streghe (il mannaro è una loro
possibile incarnazione). I lupi sono vicini a Satana, e devono
cominciare a guardarsi con molta attenzione dagli uomini, che
talvolta arriveranno a fare dei veri e propri roghi di queste bestie,
a fianco di sventurati accusati di stregonerie o eresia.
Molti sono i modi per diventare
licantropi. L'unico che non figura nella tradizione è il morso: chi
viene morso da un lupo mannaro non diventa lupo mannaro esso stesso.
Il morso come veicolo dell'infezione muta forma è una trovata
narrativa relativamente moderna, dovuta, quasi certamente, a una
contaminazione proveniente dalle storie sul vampirismo.
Per tutto il Medioevo invece, per
trasformarsi in lupi il modo più sicuro rimane ricorrere alla magia.
Ciò, ovviamente, implica che la trasformazione sia volontaria. Per
compierla ci si deve spogliare della propria pelle e indossare una
pelle di lupo. Se si è restii ad autoscorticarsi, può bastare
indossare una cintura confezionata con la pelle di questo animale.
Caratteristica fondamentale perché la pelle possa funzionare è che
la testa sia sostanzialmente intatta, se possibile con ancora il
cranio inserito a supporto dei denti. La pelle, ovviamente, non può
essere quella di un comune lupo, ma deve essere una sorta di veste
maledetta. Questa deve essere consegnata da Satana, che volentieri la
fornisce a persone esecrabili, oppure, secondo consolidata
tradizione, in cambio dell'anima. Un'alternativa all'uso della pelle
è il ricorso a unguenti o filtri magici. Uno dei componenti
fondamentali è quasi sempre il grasso di lupo. A volte questo viene
mescolato con sostanze tossiche (come la belladonna) o dagli effetti
psicotropi. Una delle più note ricette di filtro magico prevede di
mescolare cicuta, semi di papavero, oppio, zafferano, assafetida,
solano, prezzemolo e giusquiamo. Parte andava spalmata sul corpo e
parte bevuta. Non è quindi improbabile che una persona, se assume un
simile intruglio e sopravvive, si comporti come un animale invasato,
arrivando ad essere pericoloso. Un ulteriore sistema per trasformarsi
è bere "acqua licantropica", cioè raccolta nelle impronte
lasciate da un uomo-lupo.
La volontarietà di queste
trasformazioni fa sì che possano avvenire in ogni ora del giorno o
della notte e in ogni momento. Questo significa che, secondo molte
tradizioni, non basta guardarsi dalla luna piena per essere in salvo
dai lupi mannari. Il plenilunio assume importanza, anche se non
sempre risulta fondamentale, nelle trasformazioni involontarie. Il
primo autore ad associare la trasformazione alle fasi lunari è stato
presumibilmente Gervasio di Tilbury, uno scrittore medievale. L'idea
dell'influsso della luna piena viene ripreso e ritenuto fondamentale
dalla maggior parte delle leggende. Vi sono tradizioni (ad esempio in
Calabria) secondo cui il licantropo si può trasformare anche sotto
l'influsso della luna nuova. L'involontarietà della trasformazione
non si ricollega solo al fatto che si verifichi in particolari
congiunzioni astrali, ma anche alle sue cause: è solitamente dovuta
agli effetti di una maledizione o ad altro accidente. Infatti, anche
il venir maledetti da una strega, come pure da un santo o da persona
venerabile può portare alla licantropia. San Patrizio, secondo la
tradizione, si dedicò a maledire e trasformare in lupi intere
popolazioni, così come San Natale. I motivi per cui si può venire
maledetti sono molteplici: eresia, empietà, antropofagia (qui
ritorna il mito di Licaone), al limite anche solo essere nati in
certi periodi dell'anno. Chi nasce la notte di Natale a cavallo della
mezzanotte o il giorno dell'Epifania, per esempio, ha buone
probabilità di divenire lupo mannaro. Si tratterebbe di una sorta di
maledizione divina per punire un gesto quasi blasfemo. Per salvare il
figlio dalla crudele sorte, il padre, utilizzando un ferro rovente,
deve incidere una croce sotto la pianta di un piede del bambino per i
tre Natali successivi. La maledizione può essere dovuta anche a
incidenti o piante velenose. Vi è una tradizione abruzzese secondo
cui dormire sotto la luna piena (in alcune zone deve essere anche un
mercoledì notte) porta al licantropismo. Per le piante, la credenza
più diffusa proviene dall'est europeo e avverte di stare lontani dai
fiori neri (secondo la versione moldava, questi crescerebbero di
preferenza vicino a cimiteri). Il nero è un colore che le
infiorescenze in natura non assumono, tranne in casi particolarissimi
(non attira gli insetti o altri animali impollinatori), quindi indica
soprannaturalità e probabile matrice diabolica.
Tra le scarse difese contro questo
essere forte e feroce la più efficace pare essere l'argento. Questo
metallo può uccidere tutte le creature sovrannaturali (anche i
vampiri, sebbene alcune tradizioni prediligono il paletto di
frassino). Bisogna perciò trafiggere il mannaro con una lama di
argento o sparargli con una pallottola dello stesso materiale. La
credenza si deve alle proprietà di disinfettante che fin dall'epoca
greca erano associate a questo metallo. Secondo alcune versioni del
mito, l'arma d'argento deve anche essere benedetta, o addirittura
fusa da un crocifisso d'argento. Le più complesse sono una versione
piemontese e una francese della Saintogne; secondo quella piemontese,
la fusione deve provenire non solo da un crocifisso d'argento
benedetto, ma deve essere realizzata la notte di Natale. La versione
della Saintogne non prevede espressamente l'argento, ma le pallottole
devono essere benedette in particolari ore della notte in una
cappella dedicata a Sant'Uberto. Un'alternativa che sembra funzionare
bene, almeno con quelli che usano una pelle per trasformarsi, è la
distruzione della pelle stessa. Opzionalmente, dopo aver ucciso
l'uomo-lupo, si può procedere al taglio della testa prima del
seppellimento. Questo eviterà che il mostro, dopo morto, si tramuti
in vampiro (tradizione slava).
La licantropia si fronteggia meglio sul
fronte della cura e della dissuasione. Se uccidere un lupo mannaro è
complicato, si può sempre riuscire a sfuggirgli o a guarirlo. Ad
esempio, l'uomo-lupo siciliano non è in grado di salire le scale
che, di conseguenza, costituiscono un sicuro riparo e per curare il
malcapitato da tale stato di affezione bisogna colpirgli la testa in
modo da far zampillare fuori un quantitativo sufficiente di "sangu
malatu" (sangue malato). Anche lo zolfo messo sulla soglia di
casa costituisce un valido deterrente. Il lupo mannaro abruzzese
potrà arrestare la trasformazione se gli si lascia a disposizione un
recipiente con acqua pura, nel quale si possa bagnare. In
alternativa, si può indurre il licantropo a riassumere la forma
umana spillandogli tre gocce di sangue dalla fronte o facendolo
ferire da un suo familiare che brandisce un forcone, oppure ancora
colpendolo con una chiave priva di buchi. Buona efficacia ha anche
l'aconito (in inglese prende il nome di wolfsbane, "veleno dei
lupi") che risulta particolarmente sgradito.
La soluzione definitiva e radicale
rimane il fuoco, da usarsi, preferibilmente, sul licantropo ancora in
forma umana.
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