venerdì 31 gennaio 2020

Genio

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Per genio, dal latino genius, sostantivo derivato dal verbo geno ("generare", "creare"), quindi "forza naturale produttrice", si intende quella speciale attitudine naturale atta a produrre opere di importante rilevanza artistica, scientifica, etica o sociale. Tale disposizione naturale può anche essere portata alla luce con l'educazione, ma difficilmente può essere trasmessa ad altri (i figli o i discepoli dei geni molto raramente eguagliano i padri o i maestri). Il termine genio può anche genericamente indicare la persona stessa in possesso di tale eccezionale abilità.
Del genio tratta quella branca della filosofia che si occupa dell'estetica.

Storia della parola
Nel corso dei secoli, la parola genio ha assunto significati e valenze molto diverse.
In latino genium ha la medesima radice di ingenium, ingegno appunto, ovvero acutezza d'intelletto, a cui si contrappone invece lo studium, le capacità acquisite con un impegno lungo e laborioso.
Nel Rinascimento il genio è chi, dotato di "multiforme ingegno", giganteggia sul resto dell'umanità per le sue capacità insieme artistiche e scientifiche. Tipica la figura di Leonardo da Vinci, prototipo dell'intelligenza geniale.
Nei secoli XVII e XVIII, l'ammirazione e stupefazione per le scoperte scientifiche fa sì che si torni ad intendere il genio come nell'accezione rinascimentale, per cui il termine si associa a campi del sapere, genio scientifico, matematico, filosofico ecc. non più attinenti a quello specificatamente artistico che sottolineavano in passato la spontaneità del creatore:
(LA)
«poeta nascitur»
(IT)
«poeta si nasce»
Nella definizione e nell'esaltazione del genio si sono succedute, nel corso delle epoche storiche, varianti e forme diverse: se i più moderati si rivelarono i pensatori razionali illuministi, nel periodo romantico si accostò il genio al 'divino'. Se gli Inglesi del Settecento diffidano soprattutto della libertà del genio e quindi tendono a disciplinarlo perché non deve prescindere interamente dalle regole, in Germania si arriva alla religione del genio e Wieland definisce il genio sia un angelo sia un demone, mentre Lessing lo accosta alla natura in continuo atto di perfettibilità.

La concezione del genio in Kant
Immanuel Kant elabora la sua concezione del genio nell'opera Critica del Giudizio, ma già precedentemente, in appunti personali e lezioni universitarie in cui discuteva in particolare le teorie dello Essay on Genius (1774) di Alexander Gerard, aveva osservato come nel campo della ricerca scientifica la scoperta d'importanti verità scientifiche non possa essere attribuita al genio, ma sia opera di una «mente spesso grande». Nella scienza, infatti, la scoperta o invenzione, come la chiama Kant, è il risultato di un metodo, scoperto o inventato certamente da una grande mente, ma che può essere insegnato e quindi appreso e imitato.
L'imitazione, però, non ha niente a che fare con la produzione artistica geniale che non segue metodi o regole scientifici, ma si fonda su regole che provengono dalla natura:
«Il genio è il talento (dono naturale) che dà la regola all'arte. Poiché il talento, come facoltà produttiva innata dell'artista, appartiene esso stesso alla natura, ci si potrebbe esprimere anche così: il genio è la disposizione innata dell'animo (ingenium), mediante la quale la natura dà la regola all'arte.»
L'artista, proprio in quanto genio e non scienziato, non sa che cosa l'ha portato a creare la sua opera:
«...nessun Omero, nessun Wieland può mostrar come facciano a sorger ed a comporsi nel suo cervello le sue idee, ricche sia di fantasia che di pensiero; perché, non sapendolo egli stesso, neppure può insegnarlo ad altri.»
Nell'arte bella, osserva Kant, non ci sono regole e imitatori, o meglio le regole sono nella natura stessa dell'artista, nelle sue capacità innate che agiscono spontaneamente, al contrario dell'arte meccanica, che produce la sua opera dopo un lavoro d'insegnamento e apprendimento.
L'artista geniale è colui che può costituire con la sua opera il modello a cui ispirarsi per altri in cui il genio è latente o, addirittura, la formazione di una scuola, non d'imitatori, ma di artisti originali e spontanei che seguano il suo esempio di capostipite della corrente artistica (esemplarità del genio):
«...i prodotti del genio devono essere anche modelli, cioè esemplari; quindi, senza essere essi stessi frutto di imitazione, devono servire a tal scopo per gli altri, cioè come misura o regola del giudizio.»
L'originalità dell'arte quindi si deve sempre accompagnare a queste regole non scritte, altrimenti si cadrebbe nella stravaganza e nel capriccio.
Per questo, Kant sostiene che il genio è la felice sintesi di immaginazione e intelletto, di spontaneità e regole non scritte, per cui l'artista gode di un'assoluta libertà creativa dove l'intelletto è presente ma non più come costrizione razionale, come avviene nel campo della conoscenza, ma come capacità di realizzare l'opera secondo il proprio naturale gusto estetico.
Per questo, l'opera d'arte è insieme la sintesi di necessità e libertà. Per quanto libera e geniale sia infatti l'ispirazione dell'artista, egli dovrà tuttavia fare i conti con le rigide regole del mondo della natura. Per quanto libera sia la sua ispirazione ed originale sia il materiale da lui usato per creare l'opera, esso tuttavia dovrà pur sempre rispondere al rigido meccanicismo delle leggi della natura.

Il genio nella filosofia post-kantiana
In Friedrich Schelling l'arte del genio è la suprema forma del sapere, capace di cogliere spontaneamente l'Assoluto nella sua "unità indifferenziata" di Natura e Spirito. Nella sua opera giovanile più famosa, il Sistema dell'idealismo trascendentale, l'arte è addirittura collocata al culmine del suo sistema filosofico come punto di fusione di Natura e Ragione: per questo l'Idealismo di Schelling sarà detto estetico. Nel suo pensiero più maturo, già a partire dalle lezioni sulla Filosofia dell'arte (1802) o sul Metodo degli studi accademici (1803), essa viene però ricondotta al disotto della Filosofia, che ne comprende razionalmente la funzione sintetica.
Il genio, l'immaginazione, la spontaneità vengono liquidate da Hegel come "romantiche fantasticherie"; solo le competenze tecniche e un bagaglio di esperienze ed emozioni intellettualmente governate, rendono l'opera veramente artistica. Hegel distingue tra genio e talento. Quest'ultimo sarebbe la capacità tecnica che si esprime in un particolare campo; quello che comunemente si dice "bravura" e, mentre il genio si accompagna sempre al talento, questi può essere presente anche da solo
Per Arthur Schopenhauer, il genio è la "direzione oggettiva dello spirito" e contempla le idee prodotte dalla volontà; l'accesso alla volontà è dunque mediato e indiretto nelle arti inferiori rispetto alla musica, mentre con la musica il genio diventa l'espressione immediata della volontà ideale; ci sono senza dubbio analogie, ma anche differenze tra il genio e il folle, il quale dimentica il suo corpo abbandonandosi a una sorta di delirio estetico, che gli permette di cogliere, sia pure brevemente, la noluntas, di dimenticare la volontà di vivere.
Per Friedrich Nietzsche, il tema della genialità artistica coincide con l'origine dell'apollineo, che permette all'uomo di superare la noia e il disgusto per la vita quotidiana. Il genio, che nasce da una visione apollinea, porta ad un'esperienza dionisiaca, non distruttiva della negatività dell'esistenza ma ad una volontà positiva di costruzione individuale. Ci si può riconciliare con la vita, con una sorta di sublimazione dell'apollineo attraverso il genio che con la creatività trasforma la realtà umana in qualcosa di attraente e desiderabile. Il genio così trapassa dall'apollineo in un fenomeno dionisiaco.
«Nel genio dobbiamo riconoscere un fenomeno dionisiaco, il quale ci rivela ogni volta di nuovo il gioco di costruzione e distruzione del mondo individuale come l'efflusso di una gioia primordiale.»


giovedì 30 gennaio 2020

Uomo universale

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L'uomo universale, detto anche genio universale, è una persona, particolarmente erudita e sapiente, che eccelle in molteplici campi, nell'arte così come nella scienza e nella letteratura, avendo profonde conoscenze, insolitamente versatili, sui più svariati argomenti, che lo porta a produrre opere di importante rilevanza artistica, scientifica, etica o sociale.

Descrizione
Concezione culturale già presente nella tradizione greco-romana e giudaico-cristiana, ricompare nella storia europea tardo medievale con la nascita della corrente filosofica dell'Umanesimo rinascimentale, la riscoperta del mondo classico e il ritorno al concetto romano di humanitas, per poi svilupparsi pienamente tra il XVIII e XIX secolo.
Molti illustri uomini universali sono vissuti durante il periodo rinascimentale, epoca in cui un'istruzione a trecentosessanta gradi era ritenuta il caposaldo primario di una perfetta educazione umanista. Per un nobile, un cortigiano o un qualunque notabile del tempo, conoscere le lingue straniere, saper suonare uno strumento musicale, dilettarsi con la poesia, interessarsi di architettura o erudito in qualsivoglia altra disciplina, era decisamente opportuno e in sintonia con l'ideale di "uomo totale", inteso come punto d'arrivo del naturale sviluppo umano.
In questo contesto nasce la concezione del "sapere come potere", ovvero del sapere che può diventare strumento di trasformazione della realtà. L'uomo si è così posto al centro dell'universo, intermediario tra mondo razionale e sfera spirituale, in netta contrapposizione con la prospettiva teocentrica medievale. Baldassarre Castiglione nella sua opera Il Cortegiano espone ampiamente le norme fisiche, morali e comportamentali a cui aspirare per poter raggiungere questo stato ideale. La concezione rinascimentale del genio universale comprendeva anche quella di essere un atleta completo, dato che la forma fisica era considerata parte integrante e non separata dall'istruzione e dalla formazione primaria.
A partire dal XIX secolo il numero di uomini universali è diminuito a causa del cospicuo aumento delle conoscenze relative alle singole aree tematiche, che ha reso più difficile l'esistenza di persone che riescano a padroneggiare più discipline. I vari campi dello scibile sono stati gradualmente caratterizzati da un perfezionamento costantemente crescente, che richiede l'impiego di professionisti sempre più specializzati. Per questo motivo, a partire dal XIX secolo, è stato individuato un numero inferiore di uomini universali.
Per definire invece una persona che ha interessi, senza eccellere in modo assoluto, in più campi, si utilizzano i termini "universalista" o "generalista".

Esempi di uomini universali
L'idea di "genio universale" (in latino Universalis Genius) è presente fin dagli albori della storia, fermo restando che in tempi antichi, in diversi casi, questo concetto è stato utilizzato anche come appellativo onorifico, come nel caso di Alessandro Poliistore. Il primo esempio documentato di genio universale, inteso come "genio universale", è Imhotep, architetto, medico e astronomo egizio vissuto nel corso della III dinastia, intorno quindi al 2700 a.C.
Celebre studioso universale dell'Antica Grecia è Aristotele, che fu filosofo, scienziato e logico, mentre nella storia romana gli esempi più conosciuti sono Plinio il Vecchio, scrittore, ammiraglio e naturalista, e Marco Terenzio Varrone, letterato, scrittore e militare. Uomini universali appartenenti alla cultura araba sono stati Ibn al-Nafīs, che fu medico, fisico, filosofo e letterato, e al-Suyuti, che compì la sua opera come storico, giurista, teologo e geografo.
Per quanto riguarda la cultura cinese, furono uomini universali Gu Yanwu, che operò come scrittore e filologo, Shen Kuo, che fu geologo, astronomo, matematico, cartografo, zoologo, botanico, militare, ingegnere idraulico e farmacologo, nonché Su Song, che prestò la sua opera come scienziato, matematico, politico, astronomo, cartografo, orologiaio, medico, farmacista, mineralogista, zoologo, botanico, meccanico, ingegnere, architetto e poeta, e Xu Guangqi, che fu funzionario, matematico, agronomo e traduttore.
Nel Medioevo, tra gli uomini universali, vi era Alberto Magno, che fu un teologo, scrittore, scienziato e filosofo tedesco. Sempre in ambito religioso, altro esempio è stato Conrad Gessner, naturalista, teologo e bibliografo svizzero vissuto nel XVI secolo. Vissuti nel Medioevo sono stati Ildegarda di Bingen, religiosa, naturalista, scrittrice, drammaturga, poetessa, musicista, compositrice, filosofa e linguista tedesca, e Al-Biruni, matematico, filosofo, medico, astronomo e storico persiano. Nel XVII secolo fu genio universale Galileo Galilei, che compì la sua opera come fisico, astronomo, filosofo e matematico, mentre nel XVIII secolo visse Michail Vasil'evič Lomonosov, che fu uno scienziato, naturalista e linguista russo.
Modello esemplare di genio universale, per la sua completezza e il contributo dato ai più disparati ambiti, è senza dubbio Leonardo da Vinci. Considerato uno dei più grandi geni dell'umanità, maestro in tutte le arti, precursore del metodo sperimentale, ricercatore visionario (ossia capace di anticipazioni spesso lungimiranti e quasi profetiche, in netto anticipo sulla sua epoca) nei più disparati campi della conoscenza, Leonardo fu pittore, scultore, architetto, ingegnere, geologo, geografo e botanico; condusse pure, per primo, ampie ricerche in campo anatomico.
Contemporaneo di Leonardo da Vinci fu il portoghese Duarte Pacheco Pereira, che operò come scienziato, militare, esploratore e cartografo. Nell'età della Riforma protestante visse Philipp Schwarzerdt, che fu un umanista e teologo tedesco. Dell'epoca barocca sono Gottfried Wilhelm von Leibniz, che fu un matematico, filosofo, scienziato, logico, glottoteta, diplomatico, giurista, storico, magistrato tedesco, e il suo contemporaneo Isaac Newton, che fu un matematico, fisico, filosofo naturale, astronomo, teologo e alchimista inglese.
Leon Battista Alberti era architetto, pittore, poeta, scienziato, matematico, inventore e scultore (in aggiunta era un esperto cavaliere e arciere). Altri personaggi avvicinabili al concetto di genio universale, per aver eccelso in numerosi e diversi campi, sono Niccolò Machiavelli, Johann Alexander Döderlein, Alexander von Humboldt, Rabindranath Tagore e Johann Wolfgang von Goethe.

Espressioni alternative
Il concetto di "genio universale", in lingua italiana, è reso impropriamente anche dal termine "uomo universale", che è invece legato al concetto filosofico di "persona". Altro termine, più raro e dal significato leggermente differente che rende il concetto, è polimate. Il termine polimate deriva dal greco πολυμαθής, traslitterato polymathēs, che significa "molto istruito"; l'etimologia di polimate è anche legata a uno dei sinonimi di polymathēs, ovvero πολυΐστωρ, traslitterato polyhístōr, che vuol dire "molto sapiente". Altre espressioni filosofiche per rendere la medesima idea sono genio poliedrico e talento universale.


mercoledì 29 gennaio 2020

John Dee

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John Dee (Londra, 13 luglio 1527 – Mortlake, 26 marzo 1608) è stato un matematico, geografo, alchimista, astrologo, astronomo inglese, presso la corte della regina Elisabetta I. Si dedicò inoltre per la maggior parte della vita all'occultismo, alla divinazione e alla filosofia ermetica.

Biografia
Nato a Londra, il 13 luglio 1527, John Dee era il figlio unico di Roland Dee (mercante di tessuti e sarto alla corte di Enrico VIII, †; 1555) e di Jane Wild. All'età di 15 anni si trasferì a Cambridge per frequentare il St. John's College. In un diario scrisse che restava sui libri per ben 18 ore al giorno. Terminati gli studi con il baccalaureato nel 1546, fu nominato membro del Trinity College. Poco dopo fece un viaggio di studi in Olanda, dove incontrò anche Gerardo Mercatore.
Tornato in Inghilterra nel 1551 fu accusato di stregoneria: in particolare, di aver cercato di avvelenare Maria I Tudor; accusa che fu giudicata infondata, tanto che, alla morte della regina, divenne ben presto (probabilmente già dal 1558) l'astrologo di fiducia della nuova sovrana Elisabetta I. Spesso la consigliò addirittura riguardo alle "materie occulte" ("occult matters"). Fu perfino lui a organizzare la data di incoronazione della regina Elisabetta.
Nel 1570, in collaborazione con Federico Commandino, curò la prima edizione a stampa del De superficierum divisionibus liber del matematico iracheno Muhammad al-Baghdadi.
Dal 1581, anche grazie alla collaborazione con Edward Kelley, si occupò sempre più di soprannaturale, compresa l'arte della necromanzia. Accusato altre volte di stregoneria, subì anche un furto di libri nella sua biblioteca ad opera di ignoti teppisti, ma non perse mai il favore di Elisabetta I. Quest'ultima, anzi, lo nominò cancelliere della Cattedrale di San Paolo a Londra, poi sovrintendente del Christ College di Manchester, dove Dee si trasferì con la famiglia. Qui tuttavia l'epidemia di peste che colpì la città nel 1605 sterminò i suoi cari. Nel frattempo, Dee aveva anche rotto con Kelley, rimanendo così completamente solo e poverissimo.
John Dee fu un pio cristiano, ma il suo Cristianesimo era influenzato dall'ermetismo e dalle dottrine di Platone e Pitagora. Il nome di questo singolare matematico-astrologo-alchimista-angelologo è legato soprattutto al leggendario Sigillum Emeth, una versione "potenziata" del Sigillum Dei, che avrebbe fabbricato egli stesso e sarebbe andato perduto subito dopo la sua morte, avvenuta a Mortlake (Londra) nel 1608.

Influenza culturale
Letteratura
H. P. Lovecraft fa attribuire a Dee la paternità del manoscritto con la traduzione in inglese del Necronomicon (libro inventato dallo stesso Lovecraft). John Dee è il protagonista dei romanzi L'angelo della finestra d'Occidente (1927) di Gustav Meyrink e I pilastri di Camelot (2010) di Phil Rickman. Nel romanzo di Umberto Eco Il pendolo di Foucault John Dee è il protagonista di alcuni ipotetici racconti ambientati appunto nella corte della regina Elisabetta I, in cui si presume sia in possesso di potenti arti magiche.
John Dee compare come principale antagonista nella serie di romanzi I segreti di Nicholas Flamel, l'immortale, scritta da Michael Scott, in quanto, secondo la leggenda, sarebbe stato allievo proprio di Flamel, che, più tardi, avrebbe anche tradito. La trama del thriller Il labirinto della rosa, di Titania Hardie, è basata sulla vita di John Dee e sulle vicissitudini di alcuni suoi discendenti. È presente anche nel romanzo Oversight di Charlie Fletcher, dove viene chiamato il "Camminatore dei Mondi".

Fumetti
Nei fumetti di Martin Mystère ideato da Alfredo Castelli, a Dee e Kelley sono ispirati due personaggi ricorrenti, una coppia di "loschi figuri" presentati come lontani e improbabili discendenti delle rispettive figure storiche. Nelle prime storie si presentavano come veri e propri "cattivi" con conoscenze anche insolite, salvo poi diventare delle figure caricaturali e comiche presenti normalmente nelle pubblicazioni degli "Speciali" estivi.
Il Dr. John Dee è uno degli antagonisti presenti nel fumetto di Neil Gaiman The Sandman. Nel volume n. 2 del graphic novel, Dee (il cui pseudonimo è John Destiny) si impossesserà del prezioso rubino di Re Sogno, portando morte e disgrazia sull'intero pianeta.
Il personaggio del Dottor Dee compare nell'album 121 del fumetto italiano Dampyr edito da Sergio Bonelli Editore. Nei fumetti di Spawn John Dee è il responsabile della nascita di Violator e dei suoi fratelli: ha difatti rapito cinque donne per offrirle in sacrificio ad una mostruosa creatura infernale la quale, accoppiandosi con esse, ha generato i cinque demoni.

Musica
I testi dell'album Beat Pyramid della band art rock These New Puritans si ispirano alle sue teorie. Dr. Dee è il titolo dell'album di Damon Albarn, pubblicato il 7 maggio 2012. L'album è ispirato alla figura del matematico inglese ed è tratto dall'omonima Opera Rock scritta dallo stesso Albarn. Nell'album The Final Frontier (2010), gli Iron Maiden dedicarono la canzone The Alchemist alla figura e alla vita di John Dee.
Nel 2016 l'artista Ghostemane pubblica il singolo hip-hop John Dee.

Altro
Il videogioco ZombiU per Wii U basa la propria trama su una presunta profezia apocalittica scritta da John Dee, "La Profezia Nera".
Il videogioco Uncharted 3: L'inganno di Drake per PlayStation 3 viene nominato John Dee per la ricerca di un tesoro.
Nel videogioco Broken Sword: Il Segreto Dei Templari viene citato John Dee riguardo al treppiedi di Lochmarne.
Gli è stato dedicato l'asteroide 213771 Johndee.
Nel videogioco Nioh è, insieme a Edward Kelley, uno degli antagonisti principali.
Nel libro "Il sigillo del cielo" di Glenn Cooper è il protagonista della parte del romanzo ambientata nel XVI secolo.
Inoltre Dee è uno dei principali cattivi della saga Nicholas Flamel, l'immortale

Opere
  • Monas hieroglyphica, 1564
  • Propaedeumata aphoristica, 1568
  • Parallacticae commentationis praxosque, 1573
  • Perfect Arte of Navigation, 1577


martedì 28 gennaio 2020

Caccia alle streghe

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La caccia alle streghe è la ricerca di persone (quasi sempre donne definite streghe) o di prove di stregoneria, spesso legate a superstizione o isteria di massa. Storicamente in Europa e in America riguarda il periodo che va dal 1450 al 1750 e comprende l'era della Riforma protestante, della Controriforma e della Guerra dei trent'anni.
Causò tra le 35 000 e le 100 000 vittime e le ultime esecuzioni di persone condannate per stregoneria in Europa si sono verificate nel XVIII secolo. In altre aree, come l'Africa e l'Asia, la caccia alle streghe riguarda in tempi più moderni l'Africa subsahariana e la Papua Nuova Guinea. Una legislazione ufficiale contro la stregoneria persiste in Arabia Saudita e Camerun. Si sono avuti episodi di processi anche contro uomini che, in alcuni periodi storici e in determinate aree geografiche, hanno subito pesantemente l'inquisizione anche più delle donne (Carinzia, Normandia, Islanda, Estonia e Russia).
Molta della letteratura e della superstizione popolare legata alle streghe deriva da un testo, il Malleus Maleficarum, erroneamente attribuito a lungo alla diretta volontà papale.
Metaforicamente con caccia alle streghe si intende un'indagine pubblica condotta per scoprire supposte attività sovversive. Un caso particolare fu il Maccartismo degli anni cinquanta negli Stati Uniti.

Cause antropologiche
La caccia alle streghe è stata ed è diffusa a livello mondiale in società geograficamente, culturalmente e temporalmente molto diverse e questo ha fatto nascere l'interesse dell'antropologia per studiarne cause e circostanze, trovandovi legami comuni legati al tentativo di spiegare avvenimenti umani come malattia e morte, disgrazie o carestie. Spesso la strega e lo stregone sono stati associati all'idea del male ma si è superata un'interpretazione monocausale che è apparsa come riduttiva.
Il primo accenno storico si ha nel II millennio a.C. quando il Codice di Hammurabi condanna non la magia, ma i danni che i maghi e gli stregoni possono generare con questa. Nella Grecia classica, attorno al 338 a.C., si ebbe il caso di Teoride di Lemno che fu giustiziata insieme con i suoi figli perché accusata di aver gettato incantesimi.
Nel cristianesimo delle origini non vi furono persecuzioni organizzate come tali nei confronti di streghe o stregoni, e l'uccisione di Ipazia nel 415, ritenuta capace di arti magiche da una folla inferocita, fu un caso isolato. Il Canon episcopi definì la credenza popolare un frutto di superstizione.

Caccia alle streghe in Europa
Le streghe, per la Chiesa cattolica, non esistono, sono solo frutto di superstizione; tuttavia questa non fu sempre la posizione dominante e a lungo in Europa e in vari paesi del mondo si verificò il fenomeno della caccia alle streghe.
Nell'immaginario popolare la strega viene rappresentata solitamente come donna molto vecchia e di brutto aspetto e la presunta strega apparteneva perlopiù alle classi sociali inferiori anche se non mancò qualche caso di nobildonna condannata, come ad esempio Sidonia von Borcke.
Solo una piccola minoranza di queste persone poteva essere annoverata tra i veri e propri criminali come ad esempio Catherine Deshayes accusata non solo di omicidio ma anche di satanismo e di aver preso parte a messe nere con la marchesa di Montespan, pure lei criminale, favorita di Luigi XIV di Francia.
La maggioranza delle donne accusate di stregoneria era innocente, spesso semplici levatrici o prostitute o guaritrici. Queste ultime erano figure tradizionali dedite alla cura con le piante officinali e semplici praticanti della medicina popolare che affiancavano la medicina ufficiale perché la popolazione essenzialmente rurale raramente aveva la possibilità di curarsi con metodi costosi. Si poteva essere considerata strega anche per aspetti del tutto irrilevanti, per pura superstizione.

Letteratura sulla stregoneria tra XV e XVI secolo
La stregoneria fino all'inizio del XV secolo fu vista dalla Chiesa cattolica in parte confusa con la magia, le opinioni più accreditate furono quelle dei maggiori teologi, come Agostino d'Ippona, e le tesi ufficiali furono quelle del Canon episcopi che definivano frutto di immaginazione e sogno le testimonianze su voli notturni e trasformazioni di uomini in animali.
Con l'inizio dell'età moderna questo venne ridiscusso. Tra il 1435 e il 1437 il teologo Johannes Nider scrisse un trattato, il Formicarius, nel quale sosteneva l'esistenza di magia, maleficio, streghe e stregoni e apparvero testi che volevano dimostrare l'attendibilità del volo delle streghe, del sabba e della diffusione dell'adorazione del diavolo. Papa Innocenzo VIII nel XV secolo con la sua bolla Summis desiderantes affectibus rese possibile la pubblicazione del Malleus Maleficarum e nel testo viene riportato che "Fra tutte le eresie, la più grande è quella di non credere nelle streghe e con esse, nel patto diabolico e nel sabba". Il papa intendeva combattere il fenomeno della stregoneria nei paesi germanici e conferì così poteri inquisitòri a due frati domenicani tedeschi, Jacob Sprenger e Heinrich Kramer. Il Malleus Malefìcarum tuttavia non fu mai adottato ufficialmente dalla Chiesa anche se fu ristampato ventotto volte tra il 1487 e il 1669.
Al Malleus seguirono testi che trattarono come applicare la tortura per ottenere il riconoscimento delle streghe. Già nel 1489 si avanzarono dubbi su tali metodi, tuttavia molti testi, in particolare il Libro detto strega o delle illusioni del demonio di Giovanni Francesco II Pico della Mirandola continuarono a sostenere la necessità di tali metodi.
Jean Bodin scrisse nel 1580 La Démonomanie des Sorciers su tortura e repressione della stregoneria e a questo seguirono, tra le altre: Daemonolatreia di Nicolas Rémy nel 1595, Disquisitiones Magicae or Disquisitionum Magicarum Libri Sex di Martin Delrio nel 1600, Tableau de l'inconstance des mauvais anges et démons di Pierre de Lancre nel 1612 e Compendium maleficarum di Francesco Maria Guaccio del 1608.
In Italia fu seguito il De catholicis institutionibus liber di Diego de Simancas, del 1569, e alla fine del XVI secolo anche la Instructio pro formandis processibus in causis strigum et maleficorum, una direttiva per le cause di stregoneria che il Sant'Uffizio diffuse dal 1657.

Condanna della stregoneria
La condanna a morte sul rogo non era inflitta direttamente dalla Chiesa ma dall'autorità civile che faceva sua una sentenza dell'autorità ecclesiastica ed emetteva una propria sentenza di condanna e provvedeva all'esecuzione. La stregoneria era assimilabile all'eresia e poiché questa era considerata anche un reato civile portava alla condanna capitale.
Le condanne per stregoneria si fondavano sull'interpretazione del versetto del Vangelo secondo Giovanni (15,6) nel quale si dice che: Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi viene raccolto per essere gettato via e bruciato. La condanna per le streghe prendeva spunto invece dal Libro dell'Esodo, capitolo 22°, versetto 18°: Maleficos non patieris vivere (“Non lascerai vivere le streghe" o “Non lascerai vivere colei che pratica la magia”).
Esponenti della Chiesa cattolica parteciparono raramente in modo diretto ai processi per stregoneria e quando avvenne lo giustificarono con le bolle pontificie e altri testi teologici e demonologici ma spesso spinsero il potere temporale a intervenire. In Francia furono molto attivi come inquisitori Nicolas Rémy e Pierre de Lancre, in Inghilterra Matthew Hopkins. Talvolta fu il popolo a organizzare cacce alle streghe o a improvvisare roghi inducendo potere religioso e civile a intervenire nominando inquisitori e istruendo processi.
L'eresia e la stregoneria erano ritenute pericoli per la società quando in realtà la paura delle streghe veniva indotta dal potere temporale o dal potere religioso cattolico e protestante[22] ed era finalizzata al controllo delle rivolte contadine e delle richieste di maggiore libertà del popolo, come avvenne ad esempio nel Tirolo. In quel caso il timore del soprannaturale venne sfruttato per far cessare le rivolte contadine. Gli stessi giudici temevano che se non avessero inflitto la pena di morte sarebbero stati accusati di complicità.
Di fronte a guerre, carestie, povertà e fame risultò utile trovare un capro espiatorio in streghe e stregoni. In seguito alla Riforma protestante l'unità della fede in Europa cadde e la logica delle persecuzioni e delle condanne divenne più complessa assumendo caratteristiche particolari secondo i paesi e le culture. Moltissime donne ritenute streghe vennero torturate e bruciate vive con le motivazioni più diverse, spesso in base a delazioni anonime mosse anche da interesse. Ottenendo confessioni sotto tortura venivano fatti nomi di altre persone talvolta benestanti e in un processo successivo il risultato era la confisca dei beni dei condannati, come nel caso della famiglia Pappenheimer, i cui membri furono ferocemente torturati e condannati a morte nel 1600 in Baviera, compreso il piccolo Hoel di soli dieci anni.
L'ultima donna condannata a morte come strega in Europa fu Anna Göldi, uccisa nel 1782 a Glarona, in Svizzera. La Göldi venne riabilitata dal parlamento cantonale nel 2008. Anche le condanne di Giovanna Bonanno a Palermo nel 1789, Barbara Zdunk (Reszel 1811) e Bridget Cleary nella contea di Tipperary nel 1895 sono casi che potrebbero rientrare nella caccia alle streghe.


Vittime
Il numero delle vittime della caccia alle streghe, durante i due secoli in cui sia i tribunali dell'Inquisizione sia quelli della Riforma luterana le condussero al rogo è stato largamente dibattuto. Il raggiungimento di una certezza sul tema è ostacolato da molti elementi, come la perdita nel tempo di documenti affidabili relativi a gran parte dei processi.
Il motivo principale fu che per paura che gli immensi archivi inquisitoriali cadessero nelle mani degli avversari della Chiesa, molti di questi vennero dati alle fiamme, come a Milano, Mantova, Benevento e quelli della Sicilia con le carte di migliaia di processi, o come quelli rubati dai francesi a Roma. Pertanto le cifre che si ipotizzano in ordine alle vittime della persecuzione vanno considerate come ordini di grandezza e spesso sono oggettivamente influenzate dalle opinioni e dalle collocazioni culturali e ideologiche degli autori che le hanno determinate.
Le stime che trovano più largo consenso parlano di circa 110 000 processi, svoltisi principalmente in Germania (50 000), Polonia (10 000), Francia (10 000), Svizzera (9.000), isole britanniche (5 000), paesi scandinavi (5 000), Spagna (5 000), Italia (5 000) e Russia (4 000). Brian Levack ha valutato le esecuzioni capitali al 55% dei processi, giungendo pertanto a un totale di giustiziati pari a circa 60 000 persone in tre secoli. In questi processi l'80% degli accusati era di sesso femminile, mentre in Estonia (60%), Russia (68%) e Islanda (90%) vi fu una predominanza maschile.
La caccia alle streghe si concentrò soprattutto tra la fine del Quattrocento e la prima metà del Seicento e conobbe due ondate: una dal 1480 al 1520 e l'altra dal 1560 al 1650. In generale, la storia dei processi contro la stregoneria e la magia si può dividere in tre periodi. Il primo, compreso tra il 1300 e il 1435, è possibile dividerlo ulteriormente in tre parti (1300-1330, 1330-1375 e 1375-1435), delle quali l'ultima, principalmente a causa dell'introduzione nei tribunali locali della procedura inquisitoria, vide un aumento delle accuse di adorazione del demonio rispetto alle accuse di magia politica (diffuse nel primo trentennio del XIV secolo) e a quelle di maleficio e rituale magico (peculiari nella fase compresa fra il 1330 e il 1375). Il secondo periodo va dal 1435 alla metà del XVI secolo ed è caratterizzato da un aumento dei processi che durerà fino al 1520 circa e da un successivo calo di numero dei medesimi fino a tutto il 1550 (fenomeno, quest'ultimo, da ricondursi anche alla diminuita pubblicazione di nuovi trattati demonologici e alla minore diffusione di quelli già esistenti). Il terzo periodo, infine, è quello compreso tra il 1580 e il 1650, quando, prevalentemente in alcune aree della Svizzera, della Germania, della Scozia e della Francia, i processi per stregoneria aumentarono considerevolmente.
  • Treviri (368 roghi tra il 1587 e il 1593)
  • Ellwangen (400 roghi tra il 1611 e il 1618)
  • Würzburg (900 roghi tra il 1623 e il 1631)
  • Ellingen (68 roghi nel 1590)
  • Eichstätt (122 roghi tra il 1603 e il 1627)
  • Bamberga (300 roghi tra il 1624 e il 1631)
  • Labourd (80 roghi nel 1609)
  • Lorena (800 roghi tra il 1586 e il 1595)
  • Franca Contea (62 roghi tra il 1599 e il 1668)
  • Vaud (90 condanne tra il 1537 e il 1630)
  • Ginevra (68 condanne tra il 1537 e il 1662)
  • Scozia (216 condanne tra il 1563 e il 1727)
Un caso a sé stante è costituito dalla Polonia, dove oltre la metà delle condanne a morte per stregoneria è compresa tra il 1676 e il 1725 e circa un terzo tra il 1701 e il 1725. Considerando anche i territori lituani, si contano per la Polonia circa 10 000 processi contro le streghe.
Juan Antonio Llorente, inquisitore madrileno, fa una stima dei condannati dall'Inquisizione spagnola dal 1481 al 1808. I numeri dei condannati, "abbruciati in persona, abbruciati in effigie e condannati alla reclusione" sono molto alti: si tratta precisamente di 343 522 condanne alle diverse pene. Di questi 34 382 furono bruciati sul rogo. Circa 1/3, precisamente 10 220, furono giustiziati tra il 1481 e il 1498 durante il periodo dell'inquisitore Tomás de Torquemada.
Tuttavia Juan Antonio Llorente è giudicato dalla maggior parte degli studiosi non fededegno in quanto politicamente attivo nell'abolizione della suddetta. Inoltre le cifre da lui riportate sono probabilmente inventate in quanto i veri registri dell'Inquisizione spagnola riportano cifre molto più contenute.
Esistono poi molti studi che pervengono a conclusioni di poco superiori. La situazione muta, ma non di molto, se si passa a esaminare cifre parziali riferite a particolari aree geografiche che sono state oggetto di studi più particolareggiati e approfonditi, sulla base del ritrovamento di documenti processuali, non essendo stato possibile recuperare la documentazione per ogni processo celebrato. A risultati notevolmente distanti si collocano pochi autori che arrivano a parlare di dodici milioni di processi e nove milioni di esecuzioni. Ma tali cifre appaiono del tutto inverosimili, se confrontate con l'intera popolazione europea del tempo.
Per contro, altri studi come quelli condotti dal professor Agostino Borromeo della Sapienza di Roma suggeriscono numeri molto più contenuti: circa 125 000 processi condotti dall'Inquisizione spagnola, di cui solo 2 000 conclusi con la reale esecuzione dei condannati.

Italia
La maggior parte dei roghi in Italia si ebbe nella prima parte del Cinquecento soprattutto nell'Italia settentrionale e in Toscana, con un solo caso a Benevento. A Roma sede del papato, non ci fu mai una caccia alle streghe e nessuno venne mai mandato al rogo con l'accusa di stregoneria. Le persecuzioni più note si sono svolte in:
  • Val Camonica (1518-1521) la più grande caccia alle streghe dove vi furono tra i 62 e gli 80 roghi
  • Como (1510 ca), con forse 60 roghi
  • Val di Fiemme (1501-1505), 11 roghi
  • Rifreddo (1495), tre donne (Giovanna, Caterina e una terza di nome ignoto) vennero imprigionate e torturate. Alcune testimonianze scritte sono ancora presenti e custodite nel municipio del paese.
  • Mirandola (1522-1523), 10 roghi
  • Peveragno (Cuneo) (1513), 9 roghi
  • Rossino (1500 ca), 40 - 45 roghi
  • Bormio (1632 ca) 34 roghi
  • Triora (1587-1589) decine di donne furono imprigionate e alcune morirono per le torture subite; fu il più grande processo per stregoneria della fine del XVI° secolo, così feroce da far soprannominare il paese la Salem d'Italia.
In Val di Non (TN) i processi venivano celebrati a Coredo, presso il famigerato Palazzo Nero. Nel 1611 otto donne e due uomini furono bruciati vivi davanti al palazzo, mentre altri diciannove furono condannati a pene detentive. Gli atti dei processi sono ancora oggi consultabili negli archivi della Provincia.
Secondo alcuni studiosi si noterebbe che, paradossalmente, se è in Italia che nasce la base religiosa e filosofica nonché teologica sulla caccia alle streghe attraverso bolle e manuali, non è in questo paese che si scateneranno più violentemente queste persecuzioni (eccetto nel nord del Piemonte, ovvero vicino alla linea di contatto fra protestantesimo e cattolicesimo), né quello in cui mieteranno più vittime: contrariamente al fatto che la caccia alle streghe venne regolata tramite i tribunali inquisitori, secondo questi studiosi fu proprio la presenza dell'Inquisizione cattolica in Italia, generalmente avversa ai processi sommari di popolo, che avrebbero potuto minare l'autorità ecclesiale, a impedire un eccesso di questo genere di persecuzioni nella penisola italiana. Esse saranno ben più numerose sia in Francia sia in Gran Bretagna e in Germania. Secondo altri studiosi, come Giovanni Romeo, la caccia alle streghe in Italia si spense per la crisi che i tribunali del Sant'Uffizio, attore propulsivo e necessario per la caccia alle streghe e le relative condanne, ebbero tra il Seicento e il Settecento e non per decisioni degli inquisitori generali.
Queste osservazioni, tuttavia sono puramente legate alla possibilità di compiere ricerche statistiche, in quanto nei paesi sopra citati esistono ancora archivi intatti della caccia alle streghe, mentre in Italia questi archivi sono stati distrutti nel corso dei secoli.
Gli atti dei processi per stregoneria in Val Camonica, già custoditi negli archivi delle parrocchie, sarebbero finiti a fine Ottocento nella raccolta privata di don Luigi Brescianelli di Capo di Ponte, ma un ordine tassativo del vescovo di Brescia Giacinto Gaggia ne avrebbe imposto la distruzione al fine di "non fomentare una campagna anticlericale".

Dissenso di laici e religiosi
Poco dopo il 1520, quando ancora venivano stampati e diffusi numerosi trattati contro la stregoneria, il giureconsulto Andrea Alciato, pur condannando le pratiche magiche compiute intenzionalmente, espresse i suoi forti dubbi intorno alla realtà del sabba e alla veridicità delle confessioni strappate a "povere donne ignoranti".
La procedura per l'accusa e il giudizio delle streghe era puntigliosamente codificata nei vari trattati di demonologia, molti dei quali ebbero un tale successo negli ambienti giuridici da essere ampiamente diffusi in tutta Europa anche nelle versioni tascabili. In quei libri si raggiungeva il limite del maniacale nella descrizione dei supposti marchi demoniaci presenti sul corpo delle streghe, ma fin dal Cinquecento medici e medici-filosofi come Agrippa di Nettesheim e Johann Wier, con un approccio molto più scientifico, condannarono le forti deviazioni presenti nei metodi di accusa.
Nel 1631 il gesuita tedesco Friedrich Spee diede alle stampe, in forma anonima, il trattato Cautio criminalis. De processibus contra sagas. Dalla sua lunga esperienza di confessore dei condannati a morte per stregoneria lo Spee aveva compreso a fondo i meccanismi di un sistema giudiziario il quale, sorretto dalla procedura inquisitoria e dalla tortura, non faceva che mandare al rogo centinaia di persone innocenti; tutto questo fu da lui duramente denunciato nel libro, i cui contenuti anonimi vennero ben presto ricondotti alla sua penna procurandogli non pochi problemi all'interno dell'ordine.

Cause
A differenza di quanto si crede comunemente, durante il Medioevo le persecuzioni sono rivolte soprattutto contro gli eretici (Catari, Valdesi, o Albigesi), contro "fedi altre" (gli Ebrei e i Musulmani) accusate in qualche caso di concubinaggio con il diavolo e contro i lebbrosi. È solo a partire dall'età moderna — dopo la scoperta delle Americhe, nel momento in cui nasce l'Umanesimo e in cui appare la stampa — che incomincia la caccia alle streghe, persecuzione definita da alcuni sessista (probabilmente l'unica del genere nella storia) e che altri hanno voluto chiamare genocidio od olocausto.
Lo stato di incertezza e paura suscitate in varie circostanze da questa globalizzazione epocale non possono però essere le uniche ragioni che condussero alla demonizzazione del sesso femminile e alla sua trasformazione in capro espiatorio, specialmente se si tiene conto che i pregiudizi nei confronti delle donne risalgono fino all'epoca antica. Inoltre, come è stato già accennato, le persecuzioni contro le streghe coinvolsero in diverse occasioni anche individui di sesso maschile. Indubbiamente la misoginia rimane un presupposto importante nella costruzione del mito moderno della strega, quello cioè che la rappresenta come eretica e apostata, frequentatrice del sabba e operatrice di sortilegi a danno delle persone, delle colture e degli animali, come risulta evidente da ampie parti del Malleus Maleficarum.
C'è poi da considerare che le donne, fino alla fine del Medioevo, godevano nell'esercizio di certe professioni di una libertà ben più grande di quanto spesso sia stato fatto notare. In alcuni paesi europei erano relativamente numerose le donne dedite al commercio e all'artigianato, attività condotte talvolta in completa o pressoché completa autonomia (come lo studio dei testamenti ha dimostrato). A Basilea esisteva una corporazione all'interno della quale uomini e donne avevano i medesimi diritti. Con l'avvento dell'era moderna e delle sue grandi trasformazioni politiche, religiose, economiche e sociali, la partecipazione femminile alle attività produttive e mercantili svolte al di fuori delle mura domestiche si ridusse però fin quasi a scomparire del tutto.
È stato ipotizzato che le numerose cacce alle streghe dell'era moderna potessero essere fomentate da un interesse economico, dato che la condanna comportava anche la confisca dei beni della vittima, i quali venivano divisi a metà fra la Chiesa e il potere temporale. Essendo comunque i perseguitati, nella maggior parte dei casi, degli emarginati nullatenenti, questo non sembrerebbe costituire un aspetto tra i più rilevanti del fenomeno, quantunque, come si è visto, non siano mancati episodi di persecuzione rivolti contro persone facoltose.
Più importante risulta essere la specificità del periodo storico. Sul piano politico, infatti, si assiste a livello europeo a una progressiva concentrazione dei poteri, che culmineranno con l'affermazione dei grandi stati nazionali e con regimi come l'assolutismo in Francia. Proprio in Francia, tuttavia, l'accentramento del potere esecutivo comporterà una notevole riduzione dell'autonomia dei tribunali locali e con essa una maggiore razionalizzazione nella procedura giudiziaria contro le presunte streghe.
Ora, a una centralizzazione dei poteri politici consegue generalmente un certo livellamento nei comportamenti pubblici e privati degli individui di una comunità. L'eventuale riavvicinarsi alla superstizione, il ricorrere ai rituali magici o in ogni caso a ciò che non è riconosciuto dall'autorità suprema che sta operando questa centralizzazione, non può che spingere i monarchi a reprimere con crescente violenza queste pratiche non ufficiali ed eterodosse.
Come detto, per collocare il fenomeno nel suo contesto storico, coincidente con il periodo delle guerre di religione, occorre ricordare come, tra la fine del Quattrocento e l'inizio del Settecento, l'Europa fu scossa nella sua unità religiosa, al punto da collassare praticamente in una terribile caccia al colpevole, che non poteva altri che essere, di volta in volta, il cattolico, il luterano, il calvinista, e così via. A seguito della Riforma protestante, inoltre, il fenomeno del frazionamento religioso si moltiplicò, perché, contrariamente ai desideri degli stessi Riformatori, numerose altre sette si diramarono dal tronco, andando a formare le miriadi di sette non conformiste.
Il fenomeno coinvolse tutti: dai contadini alle istituzioni, dai governanti alle persone del popolo. Non è dunque improbabile trovare proprio qui l'origine del fenomeno della caccia alle streghe. Soprattutto nelle società agricole (e l'Europa all'epoca lo era in massima parte) le donne svolgevano infatti un particolare ruolo, che si può definire "conservativo". Allo stesso tempo, come testimonia anche l'esperienza contemporanea, la devozione femminile assume spesso alcune forme di completo abbandono e coinvolgimento.
Già nel Medioevo, ad esempio, fonti testimoniano come proprio le donne siano state le più attaccate alle antiche forme di culto pagane nelle campagne, e, allo stesso tempo, come fin dal primo cristianesimo, femminili furono le prime forme di vita cristiana associata che vennero alla ribalta. In un mondo in cui era diffusa la convinzione che il diavolo fosse in agguato in ogni momento a causa della mancanza dell'unità spirituale, e, anzi, sempre più persone si allontanavano dall'ortodossia religiosa, era facile indirizzare i sospetti su un gruppo di donne che si riunivano per compiere riti non riconosciuti.
A ciò inoltre va aggiunto che questo è il periodo in cui la società per la prima volta, a partire dal Medioevo, comincia a riorganizzarsi e occuparsi di ogni abitante e della sua salvezza spirituale. Se gli uomini venivano arruolati nelle guerre, le donne restavano nelle campagne o svolgevano i loro riti nelle città. Quelle che sfuggivano al controllo potevano essere quelle che furono accusate di stregoneria.
Le modalità con cui si formavano i sospetti e le accuse di stregoneria variavano, certamente, in funzione del periodo storico; ma anche la peculiare situazione sociale riscontrabile in un dato ambito geografico determinava i modi e i tempi di una specifica caccia alle streghe. Per fare un esempio, in Inghilterra — e in particolare nella regione dell'Essex — furono soprattutto i difficili rapporti di parentela e di vicinato all'interno dei villaggi a scatenare le persecuzioni contro le streghe, considerate qui quasi esclusivamente come responsabili delle avversità quotidiane e delle disgrazie e solo marginalmente come eretiche e adoratrici del diavolo.

Caccia alle streghe in America
Il processo alle streghe di Salem, in Massachusetts fu l'ultimo del suo genere sul suolo statunitense e uno dei più noti. Ebbe varie motivazioni, territoriali, religiose e di superstizione popolare. Si concluse, dopo la sentenza di morte decretata per numerose donne, quando l'intervento di alcuni influenti religiosi spinse il governatore a sospendere i lavori del tribunale. L'episodio storico viene ricordato ne Il crogiuolo di Arthur Miller.

Uso metaforico della locuzione
La locuzione caccia alle streghe viene utilizzata come metafora per indicare la ricerca sistematica finalizzata alla cattura e/o messa al bando di persone che vengono percepite come nemici pericolosi sulla base di semplici sospetti e preconcetti o tabù. Trova spazio in più ambiti (religiosi, politici, giornalistici e altri ancora) ed è intesa in genere con connotazioni negative, a indicare ad esempio una indagine volta non tanto alla ricerca della verità o alla soluzione del problema, quanto piuttosto alla individuazione di possibili colpevoli cui addossare la responsabilità di fatti e/o eventi indagati.
Più in generale si può utilizzare per indicare ricerca e persecuzione di persone che abbiano idee contrarie a quelle ritenute soggettivamente corrette riferendosi a situazioni di accuse infondate o di opinioni non condivise o per azioni ritenute persecutorie per motivi politici, ideologici o simili.

Maccartismo
Nell'opera teatrale Il crogiuolo Arthur Miller, trattando del processo alle streghe di Salem, criticò indirettamente le audizioni di McCarthy descrivendone l'atmosfera generale di paranoia e persecuzione che le accompagnava. Da quel momento il Maccartismo indicò la persecuzione dei sospettati di essere comunisti e divenne il simbolo di un periodo di accuse e di mancato rispetto delle libertà civili. Il Maccartismo fu anche parodiato in tv attraverso il personaggio di Mister Magoo, l'anziano quasi cieco dei cartoon americani anni sessanta, metafora della società americana accecata dalla paura del comunismo.


 
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