martedì 12 novembre 2019

Effetto Mozart

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L'effetto Mozart è una controversa teoria scientifica elaborata nel 1993 dai fisici Gordon Shaw e Frances Rauscher.
Secondo i due ricercatori l'ascolto della Sonata in re maggiore per due pianoforti (KV 448) di Wolfgang Amadeus Mozart avrebbe causato un temporaneo aumento delle capacità cognitive di un gruppo di volontari. Trentasei studenti furono suddivisi in tre gruppi e sottoposti a tre diverse condizioni di ascolto: il primo gruppo ascoltò musica easy listening, il secondo una sonata di Mozart, mentre il terzo rimase immerso nel silenzio. Subito dopo l'ascolto i tre gruppi furono sottoposti allo "Stanford-Binet", un test di intelligenza sul ragionamento spaziale. I risultati furono sorprendenti: il gruppo che aveva ascoltato Mozart prima del test ottenne un punteggio mediamente superiore di dieci punti rispetto agli altri.
Questo "effetto Mozart" infatti non persisteva nel tempo e aveva una durata di soli quindici minuti dopo l'ascolto. Pubblicato su Nature, questo esperimento venne poi contestato da numerosi altri articoli, in cui nessuno riuscì a riprodurre i risultati; questi vennero confermati esclusivamente da Rauscher e Shaw in un successivo articolo del 1997, pubblicato sul numero di Neurological Research del febbraio 1997; tuttavia nessuno in seguito ha mai potuto ripetere i risultati. In realtà questo studio venne frainteso: in effetti c'era stato un miglioramento nei risultati dei test, ma solo in quelli che stimolavano l'intelligenza spazio-temporale (esistono nove tipi di intelligenza differenti) e inoltre gli effetti erano transitori, persistendo solo per circa quindici minuti dopo l'ascolto. Molti divennero scettici e l'esperimento fu ritenuto da alcuni addirittura inattendibile per il fatto che non fu possibile verificarlo da altri ricercatori in successive prove.
Gli studi proseguirono e nel 1998 un autorevole studio condotto nel dipartimento di psicologia del Wisconsin dimostrò che in effetti la musica di Mozart aumentava temporaneamente l'intelligenza spazio-temporale. In particolare in questo studio per sessanta giorni si esposero gruppi di ratti all'ascolto di Mozart (la sonata K448), musica minimalista e silenzio; dopo l'esposizione furono sottoposti per cinque giorni a un test che consisteva nel ritrovare l'uscita da un labirinto e ciò risultò più facile per i ratti che avevano ascoltato Mozart. Si può quindi dire che gli studi condotti finora dimostrano che ascoltare la musica di Mozart, in particolare quella delle composizioni K488 e K448, aumenti sì l'intelligenza, ma solo temporaneamente e in particolare l'effetto riguarda quella spazio temporale, che è deputata all'analisi delle forme, della posizioni degli oggetti nello spazio e allo sviluppo del senso dell'orientamento, risultando così particolarmente utile per pittori e chirurghi.


domenica 10 novembre 2019

Esperimento Rosenhan

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L'esperimento Rosenhan fu un famoso esperimento sulla validità della diagnosi psichiatrica, diretto dallo psicologo David Rosenhan nel 1973. Fu pubblicato sul giornale Science con il titolo "On being sane in insane places" (in italiano: "Sull'esser sani in luoghi folli"). Lo studio è considerato una critica importante e influente delle diagnosi psichiatriche. Lo studio di Rosenhan si svolse in due fasi.
La prima fase coinvolse collaboratori sani o "pseudopazienti" (tre donne e cinque uomini) che simularono brevemente allucinazioni uditive nel tentativo di ottenere il ricovero in 12 diversi ospedali psichiatrici di cinque diversi stati in varie località degli Stati Uniti d'America. Furono tutti quanti ricoverati e vennero loro diagnosticati dei disturbi psichici. Dopo il ricovero gli pseudopazienti tornarono a comportarsi normalmente e dissero agli operatori che si sentivano bene e che non percepivano più allucinazioni. Tutti furono costretti ad ammettere di avere una malattia mentale e accettare di prendere farmaci antipsicotici come condizione del loro rilascio. Il tempo medio che gli utenti trascorsero negli ospedali fu di 19 giorni. A tutti tranne uno fu diagnosticata schizofrenia "in remissione" prima del loro rilascio.
La seconda parte del suo studio riguardò un ospedale, tra quelli precedentemente coinvolti, che sfidava Rosenhan a inviare alla struttura alcuni pseudopazienti, che dovevano essere riconosciuti dagli operatori. Nelle settimane seguenti, su 193 nuovi pazienti dell'ospedale, gli operatori identificarono 41 pseudopazienti potenziali, con 19 di questi che ricevettero i sospetti di almeno uno psichiatra e un altro membro dello staff degli operatori. In realtà Rosenhan non aveva mandato all'ospedale nessuno pseudopaziente.
Lo studio concluse "È chiaro che non possiamo distinguere i sani dai pazzi negli ospedali psichiatrici" e mostrava inoltre il pericolo della disumanizzazione e dell'etichettamento nelle istituzioni psichiatriche. Suggerì che l'uso di strutture comunitarie di salute mentale focalizzate su problemi e comportamenti specifici piuttosto che su etichette psichiatriche poteva essere una soluzione e formulò raccomandazioni agli operatori in campo psichiatrico affinché fossero più coscienti della psicologia sociale delle loro strutture. Tuttavia lo studio è stato criticato e accusato di essere pseudoscienza presentata come scienza.

L'esperimento degli pseudopazienti
Lo stesso Rosenhan e sette collaboratori mentalmente sani, chiamati pseudopazienti, tentarono di ottenere il ricovero ad ospedali psichiatrici telefonando per un appuntamento e simulando allucinazioni uditive. Il personale dell'ospedale non venne informato dell'esperimento.
Gli pseudopazienti comprendevano uno studente ventenne diplomato in psicologia, tre psicologi, un pediatra, uno psichiatra, un pittore e una casalinga. Nessuno aveva precedenti di malattie mentali. Gli pseudopazienti usarono pseudonimi, e a quelli che lavoravano nel campo della salute mentale furono assegnati dei lavori falsi in altri settori per evitare di far scaturire qualunque tipo di trattamento o controllo speciale. Al di là dei nomi e dettagli sull'occupazione falsi, tutti gli altri dettagli biografici furono riferiti sinceramente.
Durante l'accertamento psichiatrico iniziale, affermarono di sentire voci dello stesso sesso del paziente che erano spesso non chiare, ma che sembravano pronunciare le parole "vuoto", "cavo", "tonfo" e nient'altro. Queste parole erano scelte perché suggerivano vagamente una sorta di crisi esistenziale e per la mancanza di ogni letteratura pubblicata che le riferisse a sintomi psicotici. Non fu dichiarato nessun altro sintomo psichiatrico. Se ricoverati, gli pseudopazienti avevano istruzioni di "agire normalmente", riferendo che si sentivano bene e che non sentivano più le voci. Le documentazioni dell'ospedale ottenute dopo l'esperimento indicano che tutti gli pseudopazienti furono descritti dagli operatori come amichevoli e collaborativi.
Tutti furono ricoverati, in 12 diversi ospedali psichiatrici degli Stati Uniti d'America, che comprendevano ospedali pubblici malridotti e sottofinanziati in aree rurali, ospedali cittadini condotti da università con eccellenti reputazioni e un costoso ospedale privato. Benché si fossero presentati con sintomi identici, a 7 fu diagnosticata la schizofrenia agli ospedali pubblici, e uno la psicosi maniaco-depressiva, una diagnosi più ottimistica con migliori esiti clinici, all'ospedale privato. La loro permanenza variò da 7 a 52 giorni, con una media di 19 giorni. Tutti furono dimessi con una diagnosi di schizofrenia "in remissione", che Rosenhan considera come una prova del fatto che la malattia mentale, piuttosto che come malattia curabile, è vista come una condizione irreversibile che crea uno stigma lungo la vita.
Nonostante prendessero costantemente e manifestamente appunti sul comportamento degli operatori e degli altri pazienti, nessuno degli pseudopazienti fu riconosciuto come impostore dagli operatori degli ospedali, benché molti degli altri pazienti psichiatrici sembrassero in grado di farlo. Nelle prime tre ospedalizzazioni, 35 pazienti su un totale di 118 espressero il sospetto che gli pseudopazienti fossero sani, con alcuni che suggerivano che quei pazienti fossero ricercatori o giornalisti che investigavano l'ospedale.
Annotazioni degli ospedali indicano che gli operatori interpretavano molti dei comportamenti degli pseudopazienti in termini di malattia mentale. Ad esempio, un infermiere etichettò il prendere nota di uno degli pseudopazienti come "comportamento scrivente" e lo considerò patologico. Le normali biografie dei pazienti furono rimaneggiate secondo le linee di ciò che ci si aspettava per gli schizofrenici in base alle teorie allora dominanti sulla eziologia della malattia.
Agli pseudopazienti era stato richiesto di uscire dagli ospedali da soli ottenendo che gli ospedali li dimettessero, anche se un avvocato fu assunto per essere chiamato in caso di emergenza quando fu chiaro che gli pseudopazienti non sarebbero mai stati dimessi a breve. Una volta ricoverati e attribuita una diagnosi, gli pseudopazienti non poterono essere dimessi finché non ammisero agli psichiatri che erano malati mentali e iniziarono a fingere di prendere farmaci antipsicotici, che invece gettavano nella toilette. Nessun operatore si accorse che gli pseudopazienti gettavano via i farmaci e non riferirono di pazienti che lo stavano facendo.
Rosenhan e gli altri pseudopazienti riferirono uno schiacciante senso di disumanizzazione, grave invasione della privacy e noia mentre erano ospedalizzati. I beni di loro proprietà erano ispezionati in modo casuale, e a volte li si guardava mentre usavano la toilette. Riferirono che gli operatori, benché sembrassero ben intenzionati, oggettificavano e disumanizzavano i pazienti, spesso ne discutevano nel dettaglio in loro presenza come se non fossero lì, e evitando l'interazione diretta con i pazienti tranne quando strettamente necessario per svolgere i loro compiti ufficiali. Alcuni membri del personale erano inclini ad abusi su pazienti, verbali e fisici, quando gli altri operatori non erano presenti. Di un gruppo di pazienti annoiati che aspettavano fuori dalla mensa presto per il pranzo fu detto da un medico ai suoi studenti di stare sperimentando sintomi psichiatrici di "avidi di parlare". I contatti con i medici erano in media di 6,8 minuti al giorno.

(EN)
«I told friends, I told my family, "I can get out when I can get out. That's all. I'll be there for a couple of days and I'll get out." Nobody knew I'd be there for two months … The only way out was to point out that they're [the psychiatrists] correct. They had said I was insane, "I am insane; but I am getting better". That was an affirmation of their view of me.»
(IT)
«Lo dissi agli amici, lo dissi alla famiglia, "Uscirò quando potrò. Questo è tutto. Starò lì per un paio di giorni e poi uscirò". Nessuno sapeva che ci sarei stato per due mesi … L'unico modo per uscire era ammettere che loro [gli psichiatri] avevano ragione. Loro avevano detto che ero malato, "Sono 'davvero' malato, ma sto migliorando". Questa era una conferma della loro visione di me.»
(David Rosenhan nel programma "The Trap" della BBC)


L'esperimento degli impostori inesistenti
Per questo esperimento, Rosenhan utilizzò un ben noto ospedale di ricerca e insegnamento, i cui operatori avevano sentito i risultati dello studio iniziale ma affermavano che presso il loro istituto errori simili non potevano accadere. Rosenhan si accordò con loro che durante un periodo di tre mesi uno o più pseudopazienti avrebbe tentato di ottenere il ricovero, mentre gli operatori avrebbero valutato ogni paziente in arrivo riguardo alla probabilità che fosse un impostore. Su 193 pazienti, 41 furono considerati impostori e altri 42 sospetti. In realtà, Rosenhan non aveva mandato alcuno pseudopaziente e tutti i pazienti sospettati come impostori dagli operatori dell'ospedale erano pazienti qualunque. Ciò portò alla conclusione che "ogni processo diagnostico che si presta troppo facilmente a grossi errori di questo tipo non può essere molto attendibile". Studi da parte di altri trovarono in modo simile risultati di diagnosi problematiche.

Impatto e polemiche
Rosenhan pubblicò le sue scoperte su Science, criticando l'attendibilità delle diagnosi psichiatriche e la natura deresponsabilizzante e umiliante dell'assistenza ai pazienti incontrata dai collaboratori durante lo studio. L'articolo generò un'esplosione di polemiche.
Molti difesero la psichiatria, argomentando che poiché le diagnosi psichiatriche dipendono largamente dai resoconti dei pazienti delle proprie esperienze, fingerli non dimostra maggiori problemi con le diagnosi psichiatriche che mentire riguardo ad altri sintomi medici. Con questo spirito, lo psichiatra Robert Spitzer citava Kety in una critica del 1975 allo studio di Rosenhan:
(EN)
«If I were to drink a quart of blood and, concealing what I had done, come to the emergency room of any hospital vomiting blood, the behavior of the staff would be quite predictable. If they labeled and treated me as having a bleeding peptic ulcer, I doubt that I could argue convincingly that medical science does not know how to diagnose that condition.»
(IT)
«Se io bevessi un litro di sangue e, tacendolo, andassi al pronto soccorso di qualunque ospedale vomitando sangue, il comportamento del personale sarebbe del tutto prevedibile. Se mi diagnosticassero un'ulcera peptica sanguinante e mi curassero di conseguenza, dubito che potrei argomentare in modo convincente che la scienza medica non sappia come diagnosticare questa patologia»
(Robert Spitzer che cita Kety)


Rosenhan rispose che se avessero continuato a pensare che egli avesse ancora un'ulcera nelle settimane successive nonostante non presentasse altri sintomi di ulcera, allora sarebbe stato un grosso problema.
Kety inoltre argomentò che non ci si dovrebbe aspettare necessariamente che gli psichiatri presumano che un paziente stia fingendo di avere una malattia mentale, quindi lo studio manca di realismo. Rosenhan chiamò questo "effetto dello sperimentatore" o "bias della previsione", qualcosa indicativo dei problemi che aveva scoperto piuttosto che un problema nella propria metodologia.
L'esperimento "accelerò il movimento per riformare gli istituti mentali e per deistituzionalizzare quanti più pazienti possibile".

Esperimenti correlati
Il commediografo romano Plauto scrisse una commedia c. 200 a.C., dal titolo Menecmi, in cui un personaggio simula qualche sintomo di malattia mentale. Egli inganna con successo un medico, che poi interpreta ogni sua reazione come sintomatica della malattia mentale.
La giornalista investigativa statunitense Nellie Bly simulò sintomi di malattia mentale per ottenere il ricovero in un manicomio nel 1887 e riferì le terribili condizioni all'interno. I risultati furono pubblicati come Ten Days in a Mad-House (in italiano: Dieci giorni in una casa di pazzi).
Maurice K. Temerlin divise 25 psichiatri in due gruppi e fece ascoltar loro un attore che rappresentava un personaggio con salute mentale normale. Ad un gruppo fu detto che l'attore "era un uomo molto interessante perché sembrava nevrotico ma in realtà era abbastanza psicotico" mentre all'altro non fu detto nulla. Il sessanta percento del primo gruppo diagnosticò psicosi, molto spesso schizofrenia, mentre nessuno del gruppo di controllo lo fece.


sabato 9 novembre 2019

Elettrosensibilità

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L'elettrosensibilità (ES) o elettroipersensibilità (EHS) è un insieme di sintomi fisici e/o psicologici che un soggetto afferma essere causati da campi magnetici, elettrici o elettromagnetici, a un livello di esposizione tollerato dalle altre persone.
L'ES non è riconosciuta come una vera e propria malattia dall'Organizzazione mondiale della sanità e dalla comunità scientifica. La principale obiezione è la mancanza di evidenze scientifiche che forniscano parametri in grado di dimostrare il rapporto di causa-effetto tra sintomi e esposizione. Da quando, nel 2005 una revisione sistematica ha rilevato che non c'è alcuna prova che tali malesseri siano causati dai campi elettromagnetici, molti studi in doppio cieco sono stati pubblicati, ognuno dei quali suggerisce che coloro che affermano di essere malati non riescono a distinguere la presenza del campo elettromagnetico.
La OMS rileva che studi ben controllati hanno mostrato come i sintomi non sono causati dai campi elettromagnetici e che ci sono alcune indicazioni che tali sintomi sono dovuti a preesistenti condizioni psichiatriche, stress o sono causati dalla stessa paura dei campi elettromagnetici. La OMS aggiunge che la mancanza di evidenti basi tossicologiche o fisiologiche e di verifiche indipendenti la rendono simile ad un'altra condizione patologica: la sensibilità chimica multipla.
Tale posizione della OMS è contestata dalle associazioni dei malati, diffuse in tutto il mondo.

Epidemiologia
Una piccola parte della popolazione che si definisce ES dichiara di esserne fortemente colpita. Come esempio, uno studio ha stimato che circa il 10% dei soggetti ES in Svezia sono in malattia o sono in pensione anticipata o pensione di disabilità, paragonati al 5% della popolazione generale, mentre una seconda ricerca ha riportato che su 3406 persone che accusavano "disturbo" da dispositivi elettrici l'11% riporta "molto" disturbo. L'ES può avere un impatto significativo sulla qualità di vita causando un deterioramento fisico, mentale e sociale e distress psicologico.

Eziopatogenesi
Le persone soggette ad elettrosensibilità affermano di presentare differenti livelli di risposta ai campi elettrici, campi magnetici e alle diverse frequenze delle onde elettromagnetiche.
È una materia controversa, poiché nonostante l'imponenza dei sintomi accusati da alcuni soggetti colpiti, nessuna sperimentazione a doppio cieco è riuscita sinora a dimostrare univocamente il legame fra i campi elettromagnetici e la sindrome e si ritiene che la fonte prima possa avere natura psicosomatica.
Coloro che ne sostengono la natura organica rilevano come molti apparecchi elettrici siano stati sospettati essere causa della sintomatologia, e una ricerca del 2004 ipotizza che le antenne per i telefoni cellulari e per i cordless, le linee elettriche ad alta tensione ravvicinate, i trasformatori e i telefoni cellulari sarebbero le più comuni fonti dei disturbi da elettrosensibilità.

Controversie
Nel 2005 la OMS ha suggerito che si possa utilizzare il termine "Intolleranza ambientale idiopatica" per descrivere l'ES, poiché tale definizione ha carattere generale, ovvero raggruppa condizioni patologiche varie delle quali non si conosce l'origine ed è eziologicamente neutrale. Essa tuttavia è molto meno diffusa di "elettrosensibilità". Pur riconoscendola quale "potenziale fattore di disabilità funzionale", la OMS ribadisce in particolare che “non esistono criteri diagnostici chiari per l'ipersensibilità ai campi elettromagnetici e non esiste alcuna base scientifica per associarne i sintomi all'esposizione ai campi elletromagnetici”.
Studi scientifici condotti in doppio cieco, tesi a provare la relazione tra l'esposizione a un campo elettromagnetico e l'incidenza dei sintomi di elettrosensibilità hanno dimostrato che i soggetti colpiti non sono generalmente in grado di distinguere i campi elettromagnetici reali da quelli che credono tali. I risultati hanno portato l'autore dello studio a concludere che: «Gli studi osservativi disponibili non permettono di individuare una differenza tra gli effetti biofisici dovuti all'elettrosensibilità e un effetto nocebo».
La posizione ufficiale della OMS è contestata dalle associazioni dei malati che, supportate da alcuni studi che ne collocherebbero l'origine nell'esposizione a campi elettromagnetici, la ritengono un'"intolleranza ai campi elettromagnetici" e ne definiscono protocolli diagnostici e terapeutici.

Trattamento
Nessun trattamento efficace per coloro che affermano di essere affetti da elettrosensibilità è ancora noto, principalmente perché l'esistenza stessa della condizione resta non accertata.
La principale strategia è di evitare, il più possibile, l'esposizione ai campi elettromagnetici per chi soffre di grave ES; ciò presenta difficoltà pratiche nella società moderna. Gli altri metodi usati spesso dai pazienti includono: schermatura (ad es. con reti metalliche messe a terra), filtri elettrici e al trattamento delle condizioni correlate.
Una rivista del 2006 ha identificato nove trial clinici testando diversi trattamenti per l'ES: quattro provarono filtri visivi per gli schermi, uno un dispositivo che emetteva campi elettromagnetici "schermanti", uno ha testato l'agopuntura e un altro studio l'assunzione giornaliera di vitamina C, E e selenio. L'autore ha concluso che: «Ulteriori ricerche sono necessarie prima che qualche definitivo trattamento clinico possa effettuarsi. Comunque, la migliore prova attualmente disponibile suggerisce che la terapia cognitivo-comportamentale sia efficace per coloro che riferiscono ipersensibilità a campi elettromagnetici di debole entità.».

Posizioni governative e politiche
In Svezia l'EHS non è riconosciuta come malattia ma è riconosciuta dal Governo come causa di invalidità funzionale.
L'Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa ha raccomandato agli Stati Membri di "prestare un'attenzione particolare alle persone elettrosensibili che soffrono di una sindrome di intolleranza ai campi elettromagnetici e di introdurre specifiche misure per proteggerli, inclusa la creazione di aree wave-free, non coperte dalle reti wireless"


Avete mai assistito ad un evento soprannaturale o comunque apparentemente inspiegabile?

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Mio padre morì nel 1982 quando avevo 8 anni. Ero figlia unica ed ero la "cocca di papà". La sua morte non è stata improvvisa, poiché gli era stato diagnosticato un cancro a giugno ed è deceduto a novembre. Anche in tenera età conoscevo la presenza della morte. La mia bisnonna morì un anno prima della scomparsa di mio padre e mia nonna morì nel giugno del 1982. La mattina in cui mio padre morì ero a scuola. Stavo usando il bagno e quando mi sono girata per aprire la porta del bagno, ho sentito un soffio di Aqua Velva (per chi non lo sapesse, era un dopobarba popolare negli anni '70 e '80 e ha un odore INCONFONDIBILE). Beh, è quello che indossava mio padre. E io adoravo l'odore delle sue guance! Quindi, quando ho percepito quell'odore così unico, mi aspettavo di vederlo fuori dal bagno delle ragazze. Sono uscito e non l'ho visto. Così ho camminato lungo il corridoio sperando che mi stesse cercando. Quando finalmente sono tornata in classe, la mia insegnante mi ha chiamato sulla sua scrivania e mi ha informato che ero stata via per circa 15 minuti; erano le 9:55, e avevo lasciato la classe alle 9:40. Tornai alla mia scrivania e provai a concentrarmi sulla scuola. Continuavo a pensare di annusare quell'odore. Alle 10:30 mia mamma venne in classe e la mia insegnante uscì per parlare con lei. Dopo un po' arrivò la mia insegnante, prese tranquillamente il mio cappotto e il mio pranzo e mi accompagnò fuori nel corridoio. Non ho detto niente a mia madre e quando siamo arrivati ​​al pianerottolo, ho chiesto se fosse morto papà. Si voltò e si chinò al livello dei miei occhi e con gli occhi lucidi disse piano di sì. Le ho chiesto quando è morto. E lei rispose alle 9:45. Credo davvero che mio padre volesse farmi sapere che era lì in quel bagno ed era il suo momento di andare. Ogni tanto faccio uno spruzzo di Aqua Velva e per un solo secondo mi piace pensare che è papà che mi sta controllando.  

venerdì 8 novembre 2019

Frenologia

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La frenologia (dal greco phrén = mente e logos= studio) è una dottrina scientifica dell'800 da tempo non più valida. Ideata e propagandata dal medico tedesco Franz Joseph Gall (1758 - 1828), secondo la quale le singole funzioni psichiche dipenderebbero da particolari zone o "regioni" del cervello, così che dalla valutazione di particolarità morfologiche del cranio di una persona, come linee, depressioni, bozze, si potrebbe giungere alla determinazione delle qualità psichiche dell'individuo e della sua personalità.

Descrizione
Sul nome di tale teoria in Mente e cervello nel pensiero di Gall, fra illuminismo e romanticismo (1994) C. Morabito dice:
«Chiamiamo "organologia" la teoria di Gall perché questo fu sempre il termine che egli adoperò. Inizialmente era Schädellehre (craniologia), ma fu abbandonato perché era il cervello e non il cranio l'oggetto d'interesse di Gall. [...] "Frenologia" (dal greco, dottrina della mente) è un termine utilizzato e diffuso da Spurzheim fin dal 1818, ma sull'opportunità di adottarlo Gall fu sempre contrario (perché tendeva ad identificare le funzioni del cervello solo con la mente) [...]»
Il termine con cui si è affermata tale teoria, tuttavia, è appunto "frenologia".
Secondo Gall vi erano ben 27 zone del cranio a cui sarebbero corrisposte le regioni della mente, a loro volta corrispondenti alle caratteristiche della personalità del soggetto: diciannove in comune tra uomo e gli altri animali (dieci comuni a tutti i vertebrati, dall'undicesima alla diciannovesima condivise dall'uomo solo con i vertebrati superiori), e solo le ultime 8 facoltà esclusivamente umane. Fra le varie attività di Gall vi era quella di collezionare per i suoi studi crani di persone che in vita si erano particolarmente distinte in svariati modi.
Grazie all'aiuto ed alla collaborazione di Johann Gaspar Spurzheim la frenologia conobbe un grosso sviluppo tanto che nacquero varie società frenologiche sparse per l'Europa e negli Stati Uniti. In Italia il più noto fautore di questa teoria fu Luigi Ferrarese.
Come accadde in seguito per i test d'intelligenza anche la frenologia per un certo tempo venne vista con interesse dalle direzioni aziendali, tanto che molti imprenditori giudicavano l'onestà delle persone da assumere in base alle loro caratteristiche morfologiche.
Fu verso la fine del XIX secolo che questa teoria perse la sua credibilità.
Solo alcuni si ostinarono ancora a considerarla scienza, come ad esempio coloro i quali divulgarono la convinzione che la razza ariana fosse la razza superiore. O, ancora, Lavery e White, due statunitensi che inventarono lo "psicografo": una macchina che avrebbe potuto, tramite un casco poggiato sulla testa, stabilire le capacità mentali degli individui.
In realtà, anche se è vero che alcune funzioni del nostro cervello possono essere localizzate, le varie parti del nostro cervello non tendono a crescere verso l'esterno e, quindi, non possono modificare la configurazione del cranio. Infine, le funzioni a cui si riferiva Gall non appartenevano alle zone del cervello da lui indicate, tranne quella del linguaggio che l'autore aveva casualmente individuato correttamente.
Nonostante a livello generale la teoria sia stata screditata, alcune intuizioni di Gall lo fanno ritenere il padre della moderna neuropsicologia e delle neuroscienze cognitive per quanto riguarda la localizzazione delle funzioni cognitive sottesa a una particolare area cerebrale, il principio di base è quindi corretto, nonostante Gall all'epoca non possedesse gli strumenti tecnologici odierni di imaging.



giovedì 7 novembre 2019

Morris Jessup

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Morris Ketchum Jessup (Rockville, 2 marzo 1900 – 20 aprile 1959) è stato uno scrittore statunitense. Nonostante nella sua vita sia stato fotografo e commerciante, Jessup è ricordato soprattutto per le sue investigazioni sugli UFO e sull'esperimento Filadelfia.
Speculò sull'anti-gravità e sull'elettromagnetismo, i quali potrebbero essere stati, secondo lui, i più probabili sistemi di propulsione dei dischi volanti, e gli dispiaceva il fatto, tanto nel libro come nella realtà, che l'investigazione dei voli spaziali si concentrasse solamente nel settore dei razzi, e che si ponesse cioè poca attenzione ad altri mezzi teorici di volo, come i dischi volanti, i quali considerava più adatti al fine. Nei suoi ultimi anni di vita, scrisse ancora altri libri sul fenomeno UFO.

Biografia
La formazione
Si interessò, fin da bambino, di astronomia, materia che studiò all'Università del Michigan, conseguendo nel 1925 il Bachelor of Science. Nel 1926 conseguì il Master of Science lavorando nel frattempo nell'osservatorio Lamont-Hussey. Tuttavia non completò gli studi fino al dottorato e quindi, secondo la tradizione anglosassone, non poteva fregiarsi del titolo di doctor, anche se varie volte verrà chiamato e riconosciuto come "dr. Jessup".
Jessup affermava di avere studiato anche archeologia: in realtà la sua competenza in questo campo consisteva nell'aver preso parte da giovane ad alcune spedizioni archeologiche in Yucatán e in Perù.
A partire dal 1932, Jessup iniziò a dedicarsi ad una lunga serie di mestieri, tra cui quella di commerciante di ricambi di auto, che poco o nulla avevano a che vedere con l'oggetto dei suoi studi.
Verso il 1950 diventò pioniere delle prime investigazioni sul fenomeno UFO, ricevendo la debita attenzione dal 1955, quando pubblicò il suo primo libro, The Case for the UFO (casi di UFO), nel quale descriveva di diversi fenomeni inspiegabili, avvenuti tra il 1947 ed il 1954.

Il ruolo nell'esperimento di Filadelfia
L'Esperimento Filadelfia sarebbe stato condotto dal Dr. Franklin in Reno (o Rinehart), come un'applicazione militare pratica della teoria generale della gravità di Albert Einstein, teoria che in breve postula l'interrelazione tra le forze della radiazione elettromagnetica e quelle della gravità terrestre.
Il 13 gennaio 1956, Jessup avrebbe ricevuto una strana lettera da un uomo che si firmava "Carlos Miguel Allende". L'autore della missiva dichiarava di voler informare Jessup circa l'esistenza dell'Esperimento Filadelfia come segreto militare, di cui egli sarebbe stato l'unico testimone diretto.
Carlo Miguel Allende affermava di essere stato testimone oculare dell'apparizione e sparizione della USS Eldridge mentre si trovava a bordo di un'imbarcazione mercantile, l'SS Andrew Furuseth. Menzionava anche i nomi di altri marinai, e asseriva di conoscere anche il destino che, in seguito all'esperimento, sarebbe toccato ad alcune delle persone che si trovavano sulla nave. Uno di questi si sarebbe "volatilizzato nell'aria", sotto i suoi occhi, durante una lite in un bar.
Jessup gli rispose con una cartolina in cui gli richiedeva ulteriori conferme, prove ed evidenze che corroborassero la storia. La risposta arrivò vari mesi dopo, questa volta a firma di un certo "Carl M. Allen". Dichiarava di non poter fornire ulteriori prove; tuttavia, secondo lui, avrebbero potuto essere facilmente ottenute attraverso l'ipnosi. Jessup avrebbe deciso allora d'interrompere la corrispondenza.

La morte
Tra il 1958 e il 1959, Jessup incontrò varie difficoltà: fu lasciato dalla moglie, fu coinvolto in un grave incidente d'auto e l'editore gli rifiutò la pubblicazione di alcuni manoscritti. Il 20 aprile del 1959 Jessup fu trovato morto nella sua autovettura nella Contea di Miami-Dade, intossicato dai gas di scarico della sua vettura; le motivazioni ufficiali della morte furono quelle di suicidio.

Il dibattito sulla morte
La sera prima del decesso aveva organizzato un appuntamento per il mattino successivo, al quale non arrivò mai. Nell'incontro si proponeva appunto di divulgare ulteriori prove e retroscena che aveva trovato del suddetto esperimento. Nonostante non siano mai state accertate con certezza le cause della morte, gli investigatori sostennero l'ipotesi del suicidio dovuto al crollo di notorietà, anche se secondo diversi sostenitori delle teorie del complotto Jessup fu assassinato per metterlo a tacere.
Nell'ambiente ufologico, la sua morte è stata oggetto di numerose discussioni. Alcuni hanno suggerito l'ipotesi che si sia trattato piuttosto di un assassinio, a causa di ciò che sapeva sull'Esperimento Philadelphia. Alcuni amici dissero invece che Jessup era depresso e negli ultimi mesi aveva parlato di suicidio.

Le opere
  • Jessup, Morris K. (1955). The Case for the UFO
  • Jessup, Morris K. (1956). UFOs and the Bible
  • Jessup, Morris K. (1956). The UFO Annual
  • Jessup, Morris K. (1957). The Expanding Case for the UFO


 
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