mercoledì 10 giugno 2020

Teorie scientifiche che spiegano l'esistenza dei fantasmi

I fantasmi non esistono: parola di LHC - Focus.it



L'unica certezza che abbiamo in merito è la morte, la cui coscienza ci distingue dagli altri animali. Mentre, su quel che separa il mondo dei vivi da quello dei morti, è impossibile avere conoscenze.
Però, una delle ultime teorie scientifiche sui fantasmi, riguarderebbe l’elettromagnetismo. Secondo lo studio di alcuni psicologi britannici, ci sarebbe una correlazione tra avvistamenti spettrali e variazione dei campi magnetici. Gli studiosi hanno analizzato Hampton Court Palace a Londra e le cripte di South Bridge a Edimburgo, dove si sarebbero verificati vari avvistamenti: questi posti sarebbero soggetti a variazioni dei campi magnetici più elevate rispetto alla norma.
Altri studi sono giunti alla stessa conclusione:
- un gruppo di ricercatori ha applicato campi elettromagnetici a certe parti del cervello (come i lobi temporali) riuscendo a indurre nelle cavie-umane sensazioni fisiche&metafisiche, come la sensazione di vicinanza a Dio.
- mediante altri esperimenti, anche per il neuroscienziato Michael Persinger, i campi magnetici svilupperebbero nel cervello dei volontari la sensazione di avvertire strane presenze.

STORIA PRECEDENTE
La più antica traccia di rituali legati all'altro mondo è di 90 mila anni fa: la tomba di un cacciatore (nella grotta di Skhul, odierna Israele) con le mani su cui poggia, come un dono, la testa di un cinghiale: pare che a fungere da intermediari fra questo mondo e l’altro erano una sorta di sciamani.
Pitture rupestri di 20 mila anni fa raffigurano viaggi, in stato di trance, nel mondo degli spiriti, testimonianti la loro idea di separazione corpo&anima.
Per gli antichi Egizi, l'aldilà era talmente certo che era descritto dettagliatamente nel Libro dei morti.
Il primo episodio storico di necromanzia (previsione del futuro attraverso domande ai defunti) è raccontato nella Bibbia: il re Saul fa evocare da una maga il fantasma del re Samuele per chiedergli consiglio.
Invece nella religione greca a necromanzia era proibita, anche perché credevano che i morti detestassero essere disturbati nel loro riposo, quindi culti funebri e sepolture era celebrati in modo da impedire ai defunti di tornare a turbare i vivi. Però Omero conduce Ulisse nel regno dei morti, affinché la madre e il veggente Tiresia gli indichino la strada per tornare alla sua amata Itaca. Mentre, secondo Platone, le pratiche magiche o necromantiche erano degli imbrogli.
A Roma la separazione era codificata nella legge delle Dodici Tavole, che proibiva di sotterrare i morti all’interno della città (infatti le necropoli erano site lungo le vie consolari).
Ma nel Medioevo i morti rientrarono in città, con cimiteri ricavati nei cortili antistanti le chiese. Allora gli spettri ebbero il loro periodo clou: le apparizioni si moltiplicavano e riguardavano soprattutto il ritorno di anime che avevano fatto una brutta fine (suicidi, ammazzati, condannati a morte, donne morte di parto, annegati mai ritrovati, etc.). La Chiesa tentò di arginare il fenomeno e spinse spettri e fantasmi nell’area delle manifestazioni diaboliche, ma lo alimentò anche proponendosi come intermediario. Suffragi, donazioni, preghiere diventarono strumento per aiutare le anime a trovare la pace eterna, senza disturbare quella terrena.
Il Purgatorio, che nella dottrina cristiana compare sulla fine del 200, forse fu dove la chiesa rinchiuse i morti, preoccupata dal continuo attraversamento dei confini.
Un tentativo di difendere i cristiani da inquietanti ritorni fu l’istituzione, intorno all’anno 1000, del giorno dei morti: 2 novembre, dedicato alla commemorazione dei defunti.
Il culto di santi&reliquie prova anche la difficoltà dell’uomo medioevale di accettare l’idea del distacco dell’anima dal corpo.
Nell’'800 intellettuali&artisti d’Europa, attratti romanticamente dall'epoca misteriosa&buia (medievale), riscoprirono la passione per i fantasmi, ma con la loro mentalità: cercando di dimostrarne empiricamente l’esistenza, così nasce lo spiritismo, vera&propria dottrina filosofica.
Molti cercarono di dimostrare l'esistenza dei fantasmi, ma alla fine tavolini volanti e materializzazioni si rivelarono sempre dei trucchi.
Ripresero fulgore anche le ricerche per dimostrare la materialità dell’anima. Già in passato ci avevano provato illustri scienziati: il medico alessandrino Erofilo (3° sec. d.C.) la cercava dissezionando i cadaveri; Cartesio anche, e la individuò, grande come un pisello, nella ghiandola pineale; fin'anche Leonardo.
Il primo che la pesò fu il chirurugo Duncan Macdougall (nel 1901) che, insediatosi in una sorta di sanatorio, pesò i pazienti proprio al momento del trapasso: con l’ultimo respiro i poveretti perdevano 21 grammi di peso. Ma, non soddisfatto, estese i suoi esperimenti ai cani: constatato che le povere bestiole trapassavano senza dimagrire, ne dedusse quel che le Chiese cristiane sostengono: gli animali non hanno l’anima.
Poi, 10 anni dopo, sempre Macdougall, cercò il colore dello spirito: introdusse in una camera buia un gruppo di tisici agonizzanti e, al momento supremo, fece scorrere un fascio di luce fortissima lungo il corpo del paziente. Poiché non trovò nulla, concluse che l’indice di rifrazione dell’anima era zero e poiché qualsiasi sostanza rifrange la luce tranne l’etere (che peraltro neanche è un elemento reale), l’anima doveva essere composta di etere.


martedì 9 giugno 2020

La razza umana è l'unica nell'universo?


Secondo un paleontologo inglese non c'è altra vita nell'Universo, e le prove della nostra unicità sarebbero davanti ai nostri occhi, nell'evoluzione.


"L'uomo è l'unica specie intelligente dell'intero Universo? Stando a quanto sostengono moltissimi scienziati la risposta è "no", per una semplice questione di probabilità: si stima che l'Universo osservabile ospiti circa 2 trilioni di galassie, 2.000 miliardi!, la stragrande maggioranza delle quali talmente lontane da noi che quando la loro luce arriverà sulla Terra, si saranno già estinte da milioni di anni, ed è logico e naturale pensare che da qualche parte in questa immensità ci possa essere un altro pianeta con le condizioni adatte a favorire la nascita della vita e lo sviluppo di una qualche forma di intelligenza.
Eppure c'è chi la pensa in modo radicalmente opposto: Nick Longrich, paleontologo dell'Università di Bath, ha di recente pubblicato un lungo articolo su The Conversation nel quale sostiene che con ogni probabilità siamo "soli nell'Universo", come si dice in questi casi; e che la prova più evidente della nostra condizione è... l'evoluzione sul pianeta Terra.
PAGANINI NON RIPETE. La tesi di Longrich ruota essenzialmente intorno a una considerazione: la nascita della vita è un evento altamente improbabile, e l'evoluzione della stessa in forme senzienti è talmente improbabile che potrebbe essersi verificata una sola volta nell'intera storia dell'Universo. L'evoluzione, scrive Longrich, è un fenomeno che apparentemente si ripete spessissimo: basta pensare a quante forme diverse ha assunto la vita sulla Terra, ma anche a quante volte una stessa struttura (un'ala per volare, una particolare forma del corpo per nuotare meglio) si sia sviluppata in forme viventi molto lontane tra loro – quel fenomeno che gli evoluzionisti chiamano "convergenza evolutiva".
Secondo Longrich, però, dire che l'evoluzione è un processo che si ripete frequentemente non è del tutto corretto: molte delle strutture citate finora (pensate anche agli occhi, alle mascelle, alle zampe) si presentano in natura in infinite variazioni, ma si sono tutte sviluppate all'interno di una singola linea evolutiva, quella degli Eumetazoi (gli animali che presentano un'organizzazione in tessuti ed organi): una sottocategoria del regno animale che rappresenta solo una parte di tutto quello che è vita sulla Terra.
È COME VINCERE ALLA LOTTERIA. Longrich punta quindi il dito sull'improbabilità di tutti i passaggi evolutivi che ci hanno portato fin qui oggi, a riflettere sulle nostre origini. La vita è nata una volta sola sulla Terra, ci ha messo un miliardo e mezzo di anni a inventare la fotosintesi (e l'ha fatto una volta sola), e 4 miliardi per creare i primi animali complessi; il sesso è nato una volta sola e da lì è stato adottato da quasi tutti gli animali, lo stesso vale per lo scheletro osseo... secondo Longrich, si possono identificare sette passaggi fondamentali per l'evoluzione dell'intelligenza: la nascita della vita, l'invenzione della fotosintesi, la comparsa delle prime cellule complesse, il sesso, i primi animali superiori, lo scheletro, e infine l'intelligenza vera e propria.
«Immaginate che ogni passaggio abbia un 10% di probabilità di avverarsi» scrive Longrich; «significa che c'è una probabilità su 10 milioni che una forma di vita intelligente si evolva. Mettiamo che la probabilità sia dell'1%: significa che l'intelligenza si può sviluppare su un pianeta ogni 100 miliardi di miliardi». La conclusione del ragionamento, secondo l'autore, è che la nascita della vita intelligente è un fenomeno così improbabile che quasi sicuramente si è verificato una sola volta nella storia dell'Universo – per quanto riguarda il "dove", la risposta è ovvia, considerato che siamo qui a discuterne."


lunedì 8 giugno 2020

La scala di kardashev


È composta da 10 tipi, basati sulla quantità di energia di cui le civiltà dispongono.
Tipo I: civiltà in grado di utilizzare tutta l'energia disponibile sul suo pianeta d'origine

Tipo II: civiltà in grado di raccogliere tutta l'energia della stella del proprio sistema solare

Tipo III: civiltà in grado di utilizzare tutta l'energia della propria galassia

Tipo IV: civiltà in grado di controllare tutta l'energia di un super ammasso di galassie

Tipo V: civiltà in grado di disporre dell'energia dell'intero universo visibile

Tipo VI: livello energetico di più universi, con la possibilità di alterare le leggi della fisica su ciascuno degli universi multipli.

Tipo VII: esseri con capacità di creare universi a volontà e di utilizzarli tutti come fonti energetiche

Tipo VIII: esseri superiori capaci di creare universi a proprio piacimento, ma che attingono energia da fonti non-cosmiche.

Tipo IX: esseri estremamente superiori capaci di creare oggetti non-cosmici che utilizzano come fonte primaria di energia.

    Tipo X: esseri che hanno raggiunto una capacità tecnologica tale d'aver abbandonato il mondo cosmico come lo conosciamo per continuare a vivere ed evolversi in "universi" non-cosmici creati da loro stessi, al di fuori delle nostre leggi fisiche, ipoteticamente parlando questi esseri possono essere realmente considerati degli Dei nel senso stretto della parola.

Le entità di tipo VI fino a tipo X possono (dal nostro punto di vista) essere considerate "divinità".


domenica 7 giugno 2020

Anneliese Michel



Sì, lo so che qui sembra normale, ma era tutt'altro .
Anneliese nacque negli anni Cinquanta in una famiglia cristiana devota. Era una ragazza sensibile e già un po' pazza. Quando le furono diagnosticati disturbi fisici e mentali, la situazione non faceva che peggiorare.
A 16 anni Anneliese ha iniziò ad avere dei vuoti di memoria. Vagava in trance, inconsapevole di ciò che faceva. Una volta avute le convulsioni, un neurologo le diagnosticò l'epilessia del lobo temporale, che causa convulsioni, perdita di memoria e allucinazioni. A qualcuno può anche venire la sindrome di Geschwind, che può indurre ad agire in modo eccessivamente religioso.
Iniziò il trattamento, ma cadde comunque in depressione e pensò al suicidio. Sentiva anche voci che le dicevano che sarebbe marcita all'inferno e vedeva ovunque il volto del diavolo. Volle subito un esorcismo.
Tra i suoi comportamenti c'era quello di urinare sul pavimento e di leccarlo, di abbaiare sotto il tavolo per giorni, di mangiare ragni e di mordere la testa di un uccello. Disse al vescovo locale che doveva esorcizzarla perché conteneva demoni come Hitler, Nerone, Lucifero e altri.
Fu esorcizzata un totale di 67 volte. Mentre questo accadeva, lei stessa moriva di fame e si picchiava, peggiorando la sua condizione. Si ruppe anche le ginocchia per essersi inginocchiata così tanto.
Ci sono video dei suoi esorcismi online.

(Un remake di un esorcismo)

Anneliese morì a 23 anni, pesando solo 31 chili. Era emaciata, aveva molte parti del corpo danneggiate e aveva preso la polmonite. L'Esorcismo di Emily Rose (2005), un film dell'orrore, è stato basato su di lei dopo questa storia traumatica e raccapricciante.
Anneliese Michel, nata a Leiblfing il 21 settembre 1952 e deceduta a Klingenberg am Main il 1° luglio 1976, era una ragazza tedesca morta con atroci sofferenze che si sottopose a un esorcismo perché ritenuta posseduta dal demonio. Prima del rito le venne diagnosticato dai medici del reparto psichiatrico dell’Università di Wurzburg una forma di depressione con seguenti attacchi di epilessia. Un patologia da curare con alcuni farmaci. Questi fatti hanno suscitato polemiche sul suo effettivo stato di salute fisico e mentale che alla fine l’hanno portata alla morte.


Anneliese prima di “ammalarsi” era una ragazza come tutte le altre. Amava lo sport e la religione cattolica come il resto della sua famiglia, recitava il rosario, partecipava a tante riunioni di preghiera e suonava il pianoforte. A 16 anni ebbe il suo primo attacco epilettico che la costrinse al ricovero nell’ospedale di Wurzburg. Ma dopo adeguate cure fece ritorno a casa. Nel 1970 fu ricoverata a Mittelbert per la tubercolosi e al suo ritorno cominciò ad avvertire strane presenze e a sentire odori nauseanti, ritrovandosi anche le mani e il torace deformati che le impedivano di muoversi. Non poteva trattarsi di epilessia, ma non sapendo che fare continuò a curarsi con i farmaci senza però ottenere nessuna guarigione.
Nel 1973 i suoi genitori la portarono in pellegrinaggio a San Damiano, in Italia, nel paese in provincia di Piacenza dove si dice che la Madonna apparve a Rosa Quattrini. Ma Anneliese cominciò a stare male dinanzi alla cappella e non riuscì nemmeno a varcarne la soglia a causa del bruciore che sentiva nella terra sotto ai suoi piedi. Al ritorno sul pullman cominciò a urlare e a parlare con una voce roca e demoniaca, maledicendo i pellegrini intorno a lei, che furono costretti a viaggiare con i finestrini aperti a causa dell’ odore nauseabondo arrivato di colpo all’interno del mezzo. Un anno dopo Anneliese Michel si diploma in pedagogia a Wurzburg e si fidanza con Peter Himsel che nel corso della tragica storia non la lascerà mai sola.


  • Anneliese Michel prima e dopo
Ma la ragazza peggiora sempre di più, aggredisce le persone, non mangia, urla come una pazza… Un giorno mentre è col suo ragazzo le appare la Madonna che le chiede di farsi carico dei peccati di tante persone che rischiavano la dannazione eterna. Non riuscendo più a gestire la situazione, Anneliese si rivolge al suo confessore, Ernst Alt, che chiese il permesso al vescovo di Wurzburg, Josef Stangl, di procedere con il rito di esorcismo. Quest’ultimo si consultò con il gesuita Adolf Rodewyk e infine decisero di procedere, eseguendo il rito del 1614, facendo affiancare Ernst Alt dall’ex missionario Arnold Renz.
Anneliese venne esorcizzata più e più volte. In alcuni momenti di tregua la ragazza si metteva a pregare in ginocchio. Anneliese mostrava una forza sovrumana nei momenti peggiori, cambiando tono di voce, pronunciando parole in latino, greco antico e aramaico. Quando il sacerdote chiese ai demoni di manifestarsi durante l’esorcismo, furono in molti a presentarsi: Giuda, Caino, Nerone, Belial, Hitler, Legione e infine lo stesso Lucifero in persona. La ragazza durante i vari riti predisse anche la sua morte e infatti morì l’1 luglio del 1976 di denutrizione, ricoperta di lividi e piaghe, sacrificandosi per salvare tante anime, come poi confermò il suo ragazzo Peter ricordandosi dell’apparizione della Madonna ad Anneliese tempo prima.

  • La sua storia ha ispirato la trama del film “L’Esorcismo di Emily Rose”.



Anneliese Michel, questo il vero nome, acconsentì alla richiesta della Madonna di espiare i peccati dei giovani tedeschi e dei sacerdoti: tale espiazione consistette nelle sofferenze della possessione demoniaca.
La storia che oggi raccontiamo [...] si svolse ai tempi di Paolo VI e scosse la Germania, anche se praticamente non ne superò i confini. Data l'epoca sessantottarda, la Chiesa stessa ne fu imbarazzata e la cosa finì lì. Si trattava infatti di una indemoniata, Anneliese Michel, che morì nel 1976 a soli ventiquattro anni. Gli esorcisti che l'avevano trattata furono condannati in tribunale appunto perché avevano fatto il loro mestiere, mestiere che la "scienza" rubricava sotto la voce «ciarlatanerie medievali». Poco importava che la ragazza parlasse con voci maschili e diversificate, che manifestasse una forza sovrumana, che si esprimesse in aramaico e latino e greco antichi, che facesse a pezzi ogni oggetto sacro che vedeva, che avesse piaghe incurabili nei punti della Passione, che dicesse di essere posseduta dallo spirito malvagio di un personaggio storico realmente esistito ma di cui né lei né nessuno aveva mai sentito parlare. Anneliese morì il giorno esatto che aveva predetto. Ci sono molte registrazioni audio al riguardo del suo caso.


sabato 6 giugno 2020

Arthur Findlay

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Arthur Findlay (1883 – luglio 1964) è stato un saggista, uomo d'affari e magistrato britannico che ricoprì un ruolo di primo piano nella storia dello spiritismo nel Regno Unito.
Fu tra i fondatori della rivista Psychic News e nel suo testamento lasciò in dono la sua elegante residenza vittoriana all'unione britannica delle chiese spiritiste (SNU) affinché la trasformasse in un istituto dedicato all'insegnamento delle scienze psichiche. Tale istituto fu poi intitolato Arthur Findlay College in sua memoria.

Biografia

Iniziò ad interessarsi alla storia comparata delle religioni fin dall'età di diciassette anni attirando su di sé la disapprovazione dei genitori, cristiani conservatori, che arrivarono a dare alle fiamme alcuni dei suoi libri sull'argomento.
Nel 1913 fu decorato dall'Ordine dell'Impero Britannico per il suo lavoro organizzativo svolto in seno alla Croce Rossa.
Nel 1919 iniziò a interessarsi allo spiritismo in seguito a un incontro avuto con il medium John Sloan. Dato il suo interesse per le questioni religiose, Findlay pose varie domande agli spiriti tramite Sloan e giunse alla conclusione che molti degli dei adorati dalle molteplici religioni del mondo non fossero altro che spiriti dei defunti. Il suo interesse andò via via aumentando e nel 1920 fondò la Glasgow Society for Psychical Research.
Nel 1923 prese parte all'indagine sui fenomeni psichici indetta dalla Chiesa di Scozia. Nello stesso anno si ritirò dalla professione e acquistò un'elegante residenza signorile di epoca vittoriana, Stansted Hall, situata nell'Essex.
Nel 1932 fu tra i fondatori del settimanale Psychic News, assieme al giornalista Hannen Swaffer e a Maurice Barbanell.
Negli anni successivi collaborò alla fondazione dell'International Institute for Psychical Research, di cui divenne direttore. Fu anche membro onorario dell'American Foundation for Psychical Research e dell'Edinburgh Psychic College. Ricoprì inoltre la carica di presidente onorario dell'Institute of Psychic Writers and Artists e della Spiritualists' National Union.
Nel suo testamento lasciò in dono Stansted Hall alla SNU, affinché vi fondasse un istituto dedicato all'insegnamento delle scienze psichiche. Tale scuola fu fondata lo stesso anno della sua morte e le venne dato il nome di Arthur Findlay College in sua memoria.

Opere di Arthur Findlay

Scritti sullo spiritismo

  • On The Edge Of The Etheric, 1931, in cui Findlay esamina la teoria secondo la quale gli spiriti sarebbero legati alla fisica subatomica.
  • The Way Of Life
  • The Unfolding Universe
  • The Psychic Stream, 1939
  • Where Two Worlds Meet, 1951, circa gli incontri avuti con il medium John Sloan
  • Looking Back

Studi sulla religione

  • The Rock Of Truth, 1933, una storia della persecuzione dei medium da parte della cristianità.
  • The Curse of Ignorance Volumes I and II, 1947, una storia del cristianesimo.
  • The Effect Of Religion On History (opuscolo)
  • A History of Mankind Volumes I and II

Romanzi

  • The Torch Of Knowledge

venerdì 5 giugno 2020

El Dorado

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L'El Dorado (abbreviazione spagnola di El indio Dorado) è un luogo leggendario in cui vi sarebbero immense quantità di oro e pietre preziose, oltre a conoscenze esoteriche antichissime.
In questo luogo, situato al di là del mondo conosciuto, i bisogni materiali sono appagati e gli esseri umani vivono in pace tra loro godendo della vita. Spesso viene associato al paradiso terrestre o all'Eden situato agli antipodi.

Le spedizioni nel Nuovo Mondo

In seguito alla scoperta europea delle Americhe il mito di un luogo leggendario e ricchissimo si rinforzò.
Gli indigeni americani, che facevano largo uso di monili in oro fecero pensare agli spagnoli di essere giunti vicino ad un luogo mitico ricco di oro dove i bisogni materiali fossero appagati. Uno dei primi spagnoli a cercare un luogo mitico fu Juan Ponce de León, che nel 1513 cercò in Florida la fonte dell'eterna giovinezza, leggenda che aveva le sue origini nel medievale Romanzo di Alessandro.
Hernán Cortés e Francisco Pizarro, nel conquistare gli imperi azteco e incas rispettivamente credettero di essere giunti in questo luogo leggendario ma poi la loro sete di potere e ricchezza li spinse a continuare la ricerca.
Furono proprio i tesori riportati in Spagna da questi conquistadores a spingere i banchieri Welser d'Asburgo farsi coinvolgere nella ricerca dell'Eldorado. I Welser avevano ottenuto dall'Imperatore Carlo V i diritti di sfruttamento delle risorse naturali della colonia del Venezuela chiamata dai tedeschi Piccola Venezia, a garanzia del prestito di 141mila ducati, necessari a corrompere i Grandi Elettori che lo elessero Sacro Romano Imperatore.
Quando Sebastiano Caboto fu al comando, nel 1525, di una spedizione che aveva come scopo la ricerca del Birù (o Perù), i suoi luogotenenti, tra i quali Francisco Cesar, si inoltrarono nell'interno del Rio della Plata, e forse giunsero al confine dell'attuale Bolivia. Al loro ritorno si diffuse una leggenda, che narrava di una città ricchissima, pavimentata in oro, che loro non erano riusciti a vedere per pochissimo. Questa città fu chiamata "Ciudad de los Cesares". Pedro de Heredia depredò l'oro dei Sinù per lunghi anni e cercò una mitica miniera o città, che per lui era situata al confine tra l'attuale dipartimento di Córdoba e Antioquia (Colombia). Diego de Ordaz risalì il Rio Orinoco nel 1531 alla ricerca di una città d'oro, ma non la trovò, anche se alcuni indigeni gli dissero che più avanti nella selva vi era una montagna di smeraldo.
Tra i finanziatori della spedizione di Caboto del 1525 c'era anche Ambrosius Dalfinger da Ulma (1500-1533) che in realtà si chiamava Ambrosius Ehinger. Quando i Welser ottennero da Carlo V la concessione di sfruttamento mandarono Dalfinger a dirigere la colonia, col titolo di "Governatore delle isole di Venezuela". Questo perché i primi esploratori erano convinti che si trattasse di isole formanti un arcipelago, da cui anche il soprannome di Piccola Venezia, in spagnolo Venezuela. Dalfinger nei documenti spagnoli è chiamato Cinger o Alfinger, e i coloni lo soprannominarono per comodità Micer (messere) Ambrosio. Si stabilì a Coro, allora l'unico insediamento della colonia, e nel 1529 guidò una prima spedizione esplorativa verso il lago di Maracaibo. Qui, nei pressi della strozzatura che divide il lago dal golfo omonimo, fondò la città di Maracaibo e sul versante opposto la città di Nuova Ulma. Oggi la città è scomparsa ma il posto è chiamato Campo de Ambrosio. Dalle popolazioni rivierasche l'interprete e scrivano del gruppo Esteban Martín seppe che una popolazione dell'interno, che viveva sugli altopiani, usava l'oro come merce, in cambio del cotone grezzo, dei coralli, delle perle e delle conchiglie giganti che gli indigeni usavano come trombe cerimoniali. Inoltre il loro territorio era ricco di pietre verdi che gli spagnoli supposero correttamente fossero smeraldi. Martín confidò le proprie idee a Pedro Limpias, e pare sia stato proprio quest'ultimo, al ritorno a Coro, a diffondere le voci sul mitico regno dell'oro. Furono complessivamente cinque le spedizioni partite dal Venezuela alla ricerca del mitico regno dell'oro.
La prima, guidata come detto da Dalfinger, durò dall'agosto 1529 al 18 aprile 1530, quando i resti decimati della spedizione ritornarono a Coro. Dalfinger, debilitato e febbricitante, prima di imbarcarsi per Santo Domingo nominò provvisoriamente nel giugno 1530 Nikolaus Federmann il Giovane da Ulma (1506-1541) vicegovernatore, capitán general delle forze armate e alcalde mayor di Coro.
Federmann, contravvenendo agli ordini di Dalfinger, che non gli aveva rivelato nulla del "regno dell'oro", allestì una propria spedizione di un centinaio di uomini. Versato nelle lettere, in italiano e spagnolo, fu autore di un saggio etnografico sulle popolazioni indigene conosciute durante il suo primo viaggio, di grande interesse dato che di quei popoli, sterminati di lì a poco, si conosce molto poco. Il saggio, Indianische Historia, Eine Schöne kurtz-weilige Historia fu pubblicato ad Hagenau nel 1557 dal cognato Hans Kiefhaber.
La prima spedizione Federmann durò dal 16 settembre 1530 al 17 marzo 1531, senza approdare a nulla. Dalfinger, ritornato a Coro, quando seppe che Federmann si era addentrato nell'interno abbandonando la colonia, lo esiliò dal Venezuela per quattro anni.
La seconda spedizione Dalfinger partì il 9 giugno 1531 da Coro e vi fece ritorno il 2 novembre 1533. Fu una delle più drammatiche, al termine della quale Dalfinger stesso morì, colpito da una freccia avvelenata.
Il suo posto fu preso da Georg Hohermuth da Spira (1508-1540), ribattezzato dagli spagnoli Jorge de Espira, inviato dai Welser alla testa di un gruppo di coloni formato da spagnoli e tedeschi, oltre ad alcuni fiamminghi, inglesi, scozzesi e italiani. Hohermuth organizzò una sua spedizione, forte di 500 uomini, partita nel giugno 1535 e terminata il 27 maggio 1538. Il diligente cronista di questa spedizione fu Philipp von Hutten, cugino del famoso poeta e umanista, il cavaliere Ulrich von Hutten. Gli esploratori percorsero ben 1500 miglia verso sud, raggiungendo il rio Guaviare presso l'odierna Bogotà, e passando molto vicino all'altopiano di Jerira abitato dalle tribù Chibcha, all'origine della leggenda dell'Eldorado, ma senza trovare una via d'accesso. Anche questa spedizione, durante la quale morì il veterano Esteban Martín, che aveva partecipato a tutte le esplorazioni precedenti, si concluse in un disastro che costò trecento morti, tra cui Hohermuth stesso, che ricoverato a Santo Domingo non riuscì a riprendersi dalle traversie subite durante il viaggio.
Hohermuth, prima della partenza, terminati i quattro anni di esilio aveva permesso a Federmann di rientrare, dandogli l'incarico di esplorare le terre a ovest del lago di Maracaibo, per determinare i confini della concessione dei Welser e stabilirvi una fortezza. Federmann, dopo essersi scontrato con il governatore della colonia di Santa Marta, don Pedro Fernandez de Lugo, che rivendicò la giurisdizione sulle terre a ovest di Maracaibo, era tornato a Coro nel dicembre 1536. Convinto che Hohermuth fosse morto, nell'autunno 1537 ripartì alla ricerca personale della valle di Jerira, soprattutto dopo aver saputo che Gonzalo Jimenez de Quesada stava approntando a Santa Marta una grandiosa spedizione per trovare le terre dell'Eldorado. La seconda spedizione Federmann per poco non incrociò i superstiti del gruppo Hohermuth, convinti che Federmann si fosse mosso in loro soccorso, dopo che ebbero saputo del passaggio di un gruppo di conquistadores da parte degli indios. Lo sparuto gruppo era in realtà quanto rimasto della spedizione di Diego de Ordaz, che si riunì alla fine del 1537 con Federmann nei llanos tropicali. L'itinerario di Federmann si concluse nell'inverno 1539, con l'arrivo a Jerira, preceduto solo da poche settimane dalle spedizioni di Quesada e Belalcazar.
La leggenda dell'El Dorado era arrivata a un punto di svolta quando i conquistatori spagnoli Gonzalo Jiménez de Quesada e Sebastian de Belalcazar sentirono parlare di un capo indigeno che si immergeva in una laguna ricoperto di polvere d'oro e gettava delle offerte d'oro nelle profondità delle acque. Sarebbe stato proprio Belalcazar, sentendo nel 1536 il racconto di un mercante indigeno nativo di Llactalunga, a coniare per primo il termine "El indio Dorado", abbreviato in El Dorado, a indicare il sovrano indio coperto di polvere d'oro che gli era stato descritto.
La laguna in cui compiva le abluzioni rituali era la laguna di Guatavita, nelle vicinanze della attuale città di Bogotà, fondata da Quesada il 29 aprile 1539 con una breve cerimonia alla presenza degli altri due comandanti.
Caso unico nella storia, ben tre conquistadores erano giunti contemporaneamente e per vie diverse nello stesso luogo, attirati dalla chimera dell'oro. Quesada era giunto per primo da nord-ovest, Belalcazar da sud e infine Federmann da nord-est.
La civiltà che aveva dato origine alla leggenda dell'El Dorado era quella dei Chibcha. Fu depredata da Quesada e non resse all'urto della conquista, estinguendosi nel giro di pochi decenni, tanto che ancor oggi il suo nome è poco noto e non viene mai annoverato tra le civiltà precolombiane travolte dal contatto con gli europei. Il clamoroso equivoco in cui incorsero i conquistadores a proposito dell'El Dorado è dovuto al fatto che i Chibcha non possedevano oro in proprio, ma lo ricavavano a loro volta da traffici con le popolazioni finitime. Questo fece credere agli spagnoli che la "terra dell'oro" all'origine delle incredibili leggende fosse un'altra, e non quella che avevano scoperto e abbondantemente razziato. I Chibcha possedevano invece miniere di sale e l'unico giacimento di smeraldi delle Americhe. L'oro, di origine alluvionale, abbondava lungo il corso del Cauca, e nella provincia dell'Ecuador settentrionale, al confine con la Colombia, chiamata Esmeraldas. Paradossalmente gli spagnoli chiamarono Esmeraldas la terra dove trovarono i primi smeraldi, provenienti dall'Eldorado, e chiamarono Eldorado la terra dove vi era l'oro proveniente dall'Esmeraldas.
Nel dicembre 1540, dopo la morte di von Speyer avvenuta nel giugno 1540, Filipp Von Hutten divenne governatore capitano generale del Venezuela. Poco dopo scomparve nell'entroterra, facendo ritorno solo dopo cinque anni di peregrinazioni per poi scoprire che uno spagnolo, Juan de Carvajal, era stato nominato governatore in sua assenza. Con uno dei suoi compagni di viaggio, Bartholomew Welser il Giovane, fu imprigionato da Carvajal nell'aprile 1546, ed entrambi furono poi giustiziati.
Successivamente l'El Dorado fu cercato nelle profondità della selva amazzonica dall'esploratore estremegno Francisco de Orellana, ma non fu mai trovato.
La leggenda dell'El Dorado fu viva anche nell'America settentrionale, in quanto Francisco Vazquez de Coronado cercò a lungo le sette città di Cibola senza mai trovarle.
Nel 1560 il sanguinario Lope de Aguirre prese il comando, uccidendo Pedro de Ursúa, di una spedizione nella selva amazzonica, e si proclamò "Re dell'Amazzonia". La spedizione aveva come scopo la ricerca dell'El Dorado, ma finì tragicamente: Lope de Aguirre fu giustiziato in Venezuela.
«El Dorado fu anche il nome che gli Spagnoli dettero al principe chibcha che veniva unto con olio e cosparso di polvere d'oro e si trasformava quindi in un uomo dorato. Fu El Dorado la calamita che attirò avventurieri, esploratori, aristocratici e che indusse perfino certi banchieri europei a finanziare le migrazioni le quali muovevano alla scoperta del luogo in cui si celava questo uomo dorato.» (Victor Von Hagen, Introduzione a L'Eldorado. Alla ricerca dell'uomo d'oro, Rizzoli, 1976)

Le spedizioni dei secoli successivi

Nel 1920 l'inglese Percy Harrison Fawcett cercò a lungo l'El Dorado nella selva dell'alto Xingu in Brasile, scrisse in un rapporto la scoperta della "città perduta di Z" e in una seconda spedizione nel Mato Grosso con suo figlio non fece mai più ritorno. Nella seconda metà del secolo XX, molti esploratori cercarono la città di Paititi. Secondo la leggenda gli Incas si sarebbero nascosti in una città sotterranea, quando Francisco Pizarro giunse nel Perù, e ancora li vivrebbero. Negli anni 70 del secolo XX la leggenda fu ravvivata dopo la pubblicazione del libro "La cronaca di Akakor" di Karl Brugger.


Le spedizioni nel continente Antico

L'idea di un luogo leggendario situato al di là del mondo conosciuto fu viva fin dal medioevo quando a lungo si cercò il Regno del Prete Gianni. Furono i portoghesi a cercare a lungo il Regno del Prete Gianni, con le spedizioni di Pero da Covilla e Afonso da Paiva.


Le spedizioni contemporanee

A partire dall'inizio del XX secolo sono state portate a termine una serie di spedizioni che hanno avuto come scopo la ricerca del Paititi, da alcuni individuato come il vero El Dorado. La prima di queste spedizioni fu quella intrapresa dall'esploratore inglese Percy Fawcett, nel 1925. Nel 2001 l'archeologo Mario Polia ha scoperto, negli archivi della Città del Vaticano delle lettere datate 1600 del missionario Andrea Lopez. Il missionario scriveva di una città ricchissima e nascosta nella selva a circa dieci giorni di cammino da Cuzco, vicino ad una cascata che veniva chiamata Paititi. Alcune teorie sostengono che il missionario abbia informato il Papa sulla ubicazione esatta della città, ma il Vaticano non abbia mai rivelato il segreto. Anche ultimamente vari archeologi e geografi ricercano resti di una civiltà antichissima nella selva peruviana. Uno di questi è il polacco Jacek Palkiewicz, nella sua spedizione del 2002. Nel 2006 lo statunitense Gregory Deyermenjian e il peruviano Paulino Mamani hanno intrapreso una spedizione nella selva di Pantiacolla (Amazzonia peruviana). In più, un'altra ipotesi sostiene che esistano molteplici città d'oro, anche se in luoghi diversi. Comunque, le registrazioni più comuni di esse sono situate in coordinate pari alle Ande centro settentrionali o addirittura nello Yucatan. Nel 2010 grazie allo studio di immagini satellitari e fotografie aeree sono state scoperte, al confine tra Brasile e Bolivia, un insieme di geoglifi subito additati come i resti di El Dorado.



giovedì 4 giugno 2020

Concilio divino

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Il Concilio Divino o Assemblea Divina nell'Ebraismo è un'assemblea dove "Dio giudica in mezzo agli dèi" (Salmi 82:1).

Origini storiche

Il concetto di assemblea divina (o concilio divino) è attestato nei panteon arcaici dei Sumeri, Accadi, Antichi Babilonesi, Egizi, Canaaniti, Israeliti, Celti, Antichi Greci, Antichi Romani e nella mitologia norrena. La letteratura egiziana antica rivela l'esistenza di un "sinodo degli dei". Alcune delle descrizioni esistenti più complete delle attività dell'assemblea divina si trovano nella letteratura dalla Mesopotamia. Qui il concilio degli dei, guidato dal sommo dio Anu, si riunisce per affrontare vari problemi. Il termine usato in lingua sumera per descrivere questo concetto era Ukkin e in tardo accadico e aramaico era puhru.

Testi e riferimenti biblici

Nella Bibbia ebraica (Tanakh), ci sono descrizioni multiple di Yahweh che presiede una grande assemblea di "schiere celesti". Alcuni interpretano queste assemblee come esempi di Concilio Divino:
«La descrizione nell'Antico Testamento dell'"assemblea divina" certamente suggerisce che questa metafora dell'organizzazione del mondo divino era coerente con quella della Mesopotamia e di Canaan. Una differenza, tuttavia, va notata. Nell'Antico Testamento le identità dei membri dell'assemblea sono molto più oscure di quelle trovate in altre descrizioni di tali gruppi nel loro ambiente politeistico. Scrittori israeliti hanno cercato di esprimere sia l'unicità che la superiorità del loro Dio Yahweh.»
Il Libro dei Salmi (82:1) afferma: "Dio (in ebraico: אלהיםelohim) sta nell'assemblea divina (בַּעֲדַת-אֵל); egli giudica in mezzo agli dèi (in ebraico: אלהיםelohim)" (אֱלֹהִים נִצָּב בַּעֲדַת־אֵל בְּקֶרֶב אֱלֹהִים יִשְׁפֹּט). Il significato dei due riferimenti a "elohim" è stato molto discusso dagli studiosi testamentari, con certi che hanno sostenuto che entrambe le parole si riferiscono a YHWH, mentre altri propongono che Dio presieda un'assemblea divina di altri dei o angeli. Alcune traduzioni del passo danno "Dio (elohim) Dio si alza nell'assemblea dei potenti a giudicare il cuore come Dio (elohim)" (in ebraico "beqerev elohim", "in mezzo agli dei" e la parola "qerev" se al plurale significherebbe "organi interni"). Più avanti in questo Salmo, viene usata la parola "dèi": Salmi 82:6 - "Io ho detto: "Voi siete dei, siete tutti figli dell'Altissimo"." Invece di "dèi", altre versioni riportano "esseri divini", ma anche qua la parola è elohim/elohiym. Questo passo è citato nel Nuovo Testamento in Giovanni 10:34.

Esegesi

Nel Libro dei Re (1 Re 22:19), il profeta Michea ha una visione di Yahweh seduto tra "tutto l'esercito del cielo" che gli stava intorno, a destra e a sinistra. Yahweh chiede chi ingannerà Acab e uno spirito si fa avanti e si offre. Questo è stato interpretato come un esempio di concilio divino.
I primi due capitoli del Libro di Giobbe descrivono i "Figli di Dio" che si radunano in presenza di Yahweh. Come accade per le "moltitudini del cielo", anche il termine "Figli di Dio" non trova un'interpretazione certa. Questa assemblea è stata interpretata da alcuni come un altro esempio di concilio divino. Altri traducono "Figli di Dio" con "angeli" e quindi sostengono che questo non è un concilio divino, perché gli angeli sono creazione di Dio e non divinità. Lo studioso testamentario David Freedman afferma:
"Il ruolo dell'assemblea divina come parte concettuale delle origini della profezia ebraica è chiaramente esposto in due descrizioni di coinvolgimento profetico nel concilio celeste. In 1 Re 22:19-23 ... a Michea è consentito di vedere Dio (elohim) in azione nella decisione celeste sul destino di Acab. Isaia 6 descrive una situazione in cui il profeta stesso si assume il ruolo di messaggero dell'assemblea e il messaggio del profeta è quindi commissionato da Yahweh. La rappresentazione qui illustra questo importante aspetto dello sfondo concettuale dell'autorità profetica."
Altri interpretano la schiera celeste come composta da angeli, asserendo che gli angeli sono una creazione di Dio e non divinità. Quindi i versetti in questione non sono esempi biblici di Concilio Divino.

 
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