mercoledì 6 aprile 2022

Libero arbitrio

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Il libero arbitrio è il concetto filosofico e teologico secondo il quale ogni persona ha il potere di scegliere da sé gli scopi del proprio agire e pensare, tipicamente perseguiti tramite volontà, nel senso che la sua possibilità di scelta ha origine nella persona stessa e non in forze esterne.
Ciò si contrappone alle varie concezioni secondo cui questa possibilità sarebbe in qualche modo predeterminata da fattori sovrannaturali (destino), o naturali (determinismo), per via dei quali il volere degli individui sarebbe prestabilito prima della loro nascita: si parla allora a seconda dei casi di predestinazione, servo arbitrio o fatalismo.
Il concetto di libero arbitrio ha implicazioni in campo religioso, etico e scientifico, dove pone diversi problemi:
  • in campo religioso il libero arbitrio implica che la divinità, per quanto onnipotente e onnisciente, scelga di non utilizzare il proprio potere per condizionare le scelte degli individui;
  • nell'etica questo concetto è alla base della responsabilità senza cui un individuo non potrebbe rispondere per le sue azioni;
  • in ambito scientifico l'idea di libero arbitrio comporta un'indipendenza del pensiero, e quindi della mente, dalla pura causalità delle leggi scientifiche.
La questione ha ripercussioni anche nel diritto, dove il concetto di libero arbitrio e di responsabilità individuale sta alla base del codice di procedura civile e penale.
Il tentativo di conciliare il libero arbitrio dell'uomo con l'onniscienza e onnipotenza divine è stato uno dei maggiori problemi con cui è misurata la teologia cristiana.
Per risolverlo, Agostino d'Ippona distinse la libertà propriamente detta, ossia la capacità di dare realizzazione ai nostri propositi, dal libero arbitrio, inteso invece come la facoltà di scegliere, in linea teorica, tra opzioni contrapposte, ossia tra il bene e il male. Mentre cioè il libero arbitrio entrerebbe in gioco solo nel momento della scelta, rivolgendosi ad esempio al bene, la libertà sarebbe incapace di realizzarla.
In polemica contro Pelagio, Agostino poteva così sostenere che la volontà umana è stata irrimediabilmente corrotta dal peccato originale, che ha inficiato per sempre la nostra capacità di realizzare le nostre scelte, e quindi la nostra stessa libertà. A causa della corruzione, dunque, nessun uomo sarebbe degno della salvezza, ma Dio può scegliere gratuitamente chi salvare, elargendo la Sua grazia con cui gli infonde la volontà effettiva di perseguire la scelta del bene, volontà che altrimenti sarebbe facile preda delle tentazioni malvagie.
Agostino si rifaceva in proposito alle parole di Paolo di Tarso: «C'è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; io infatti non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio. Ora, se faccio quello che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me».
Nel De diversis quaestionibus ad Simplicianum Agostino approfondì la propria concezione filosofica, sostenendo che la grazia di Dio è necessaria non solo nel momento realizzativo, ma anche per illuminare l'uomo su cosa è il bene. Egli riportava così il problema di chi Dio scelga di salvare, e perché, all'originale teologia della giustificazione di Paolo di Tarso.
Del problema si occupò successivamente la scolastica cristiana. Secondo Tommaso d'Aquino, il libero arbitrio non è in contraddizione con la predestinazione alla salvezza, poiché la libertà umana e l'azione divina della Grazia tendono ad unico fine, ed hanno una medesima causa, cioè Dio. La volontà libera si distingue da quella non libera perché a differenza di quest'ultima si sottomette ai criteri della ragione, «essendo proprio della medesima potenza il volere e lo scegliere».
Tommaso, come Bonaventura da Bagnoregio, sostenne inoltre che l'uomo ha sinderesi, ovvero la naturale disposizione e tendenza al bene e alla conoscenza di tale bene. Per Bonaventura tuttavia la volontà ha il primato sull'intelletto.
All'interno della scuola francescana di cui Bonaventura era stato il capostipite, Duns Scoto si spinse più in là, slegando il libero arbitrio da motivazioni razionali, ammettendo la possibilità che esso possa determinarsi sia in una direzione che in quella opposta. Il francescano Guglielmo di Ockham, infine, esponente della corrente nominalista, radicalizzò la teologia di Scoto affermando che l'essere umano è del tutto libero, e solo questa libertà può fondare la moralità dell'uomo, la cui salvezza però non è frutto della predestinazione, né delle sue opere. È soltanto la volontà di Dio che determina, in modo del tutto inconoscibile, il destino del singolo essere umano. Egli cioè concepì il libero arbitrio come l'«indifferenza dell'arbitrio» (arbitrium indifferentiae), ossia come puro arbitrio, indipendente da ogni motivazione passionale o razionale.
Con l'avvento della Riforma, Martin Lutero fece propria la teoria della predestinazione negando alla radice l'esistenza del libero arbitrio: non è la buona volontà che consente all'uomo di salvarsi, ma solo la fede, infusa dalla grazia divina. È solo Dio, quello absconditus della tradizione occamista, a spingerlo in direzione della dannazione o della salvezza.
«La volontà umana è posta tra i due [Dio e Satana come un giumento, il quale, se sul dorso abbia Dio, vuole andare e va dove vuole Dio, [...] se invece sul suo dorso si sia assiso Satana, allora vuole andare e va dove vuole Satana, e non è sua facoltà di correre e cercare l'uno o l'altro cavalcatore, ma i due cavalcatori contendono fra loro per averlo e possederlo.»
(Lutero, De servo arbitrio)

Alla dottrina del servo arbitrio invano Erasmo da Rotterdam replicò che il libero arbitrio è stato sì viziato ma non distrutto completamente dal peccato originale, e che senza un minimo di libertà da parte dell'uomo la giustizia e la misericordia divina diventano prive di significato. Se infatti l'essere umano non avesse la facoltà di accettare o rifiutare liberamente la grazia divina che gli viene offerta, perché nelle Scritture sono presenti ammonimenti e biasimi, minacce di castighi ed elogi dell'obbedienza? Se inoltre, come predicava Lutero, l'uomo non ha bisogno di chiese e organi intermediari tra sé e Dio, ma è l'unico sacerdote di se stesso, come si concilia questa supposta autonomia con la sua assoluta impossibilità di scelta in ambito morale?
Particolarmente incisivo è l'esempio che Erasmo presenta per supportare la sua soluzione, di un padre e il suo figliolo che vuole cogliere un frutto. Il padre alza nelle sue braccia il figlio che ancora non sa camminare, che cade e che fa degli sforzi disordinati; gli mostra un frutto posato davanti a lui; il bambino vuole correre a prenderlo, ma la sua debolezza è tale che cadrebbe se il padre non lo sostenesse e guidasse. È quindi solo grazie alla conduzione del padre (la Grazia di Dio) che il bambino arriva al frutto che sempre suo padre gli offre; ma il bambino non sarebbe riuscito ad alzarsi se il padre non l'avesse sostenuto, non avrebbe visto il frutto se il padre non glielo avesse mostrato, non sarebbe potuto avanzare senza la guida del padre, non avrebbe potuto prendere il frutto se il padre non glielo avesse concesso. Cosa potrà arrogarsi il bambino come sua autonoma azione? Malgrado nulla avrebbe potuto compiere con le sue forze senza la Grazia, ha pertanto fatto qualcosa.
Ad una concezione estremamente volontaristica del libero arbitrio aderì tuttavia Giovanni Calvino, che radicalizzò il concetto di predestinazione fino a interpretarlo in un senso rigorosamente determinista. È la Provvidenza a guidare gli uomini, indipendentemente dai loro meriti, sulla base della prescienza e onnipotenza divina. L'uomo tuttavia può ricevere alcuni "segni" del proprio destino ultraterreno in base al successo o meno ottenuto nella propria vita politica ed economica.
Anche all'interno della Chiesa Cattolica, che pure si era schierata contro le tesi di Lutero e Calvino, iniziarono una serie di dispute sul concetto di libero arbitrio. Secondo Luis de Molina la salvezza era sempre possibile per l'uomo dotato di buona volontà. Egli sostenne che:
  • la prescienza di Dio e la libera volontà umana sono compatibili, poiché Dio può ben prevedere nella sua onnipotenza la futura adesione dell'uomo alla grazia da lui elargita;
  • questo piano di salvezza si attua per una valenza positiva attribuita alla volontà umana, in quanto neppure il peccato originale ha spento l'aspirazione dell'uomo alla salvezza.
A lui si contrappose Giansenio, fautore di un ritorno ad Agostino: secondo Giansenio l'uomo è corrotto dalla concupiscenza, per cui senza la grazia è destinato a peccare e compiere il male; questa corruzione viene trasmessa ereditariamente. Il punto centrale del sistema di Agostino risiedeva per i giansenisti nella differenza essenziale tra il governo divino della grazia prima e dopo la caduta di Adamo. All'atto della creazione Dio avrebbe dotato l'uomo di piena libertà e della «grazia sufficiente», ma questi l'aveva persa con il peccato originale. Allora Dio avrebbe deciso di donare, attraverso la morte e resurrezione di Cristo, una «grazia efficace» agli uomini da lui predestinati, resi giusti dalla fede e dalle opere.
Il pensiero moderno ha assunto una visione razionalista con Cartesio che definiva la libertà non come un puro e semplice «libero arbitrio d'indifferenza» ma come impegnativa scelta concreta di cercare la verità tramite il dubbio.
Mentre però Cartesio si arenò nella duplice accezione di res cogitans e res extensa, attribuendo assoluta libertà alla prima e passività meccanica alla seconda, Spinoza cercò di conciliarli riprendendo il tema stoico di un Dio immanente alla Natura, dove tutto avviene secondo necessità. La libera volontà dell'uomo dunque non è altro che la capacità di accettare la legge universale ineluttabile che domina l'universo. La libertà non sta nell'arbitrio, ma nell'assenza di costrizioni che consente ad esempio a una pianta di svilupparsi secondo le sue leggi: «Tale è questa libertà umana, che tutti si vantano di possedere, che in effetti consiste soltanto in questo: che gli uomini sono coscienti delle loro passioni e appetiti e invece non conoscono le cause che li determinano».
Leibniz cercò di darne una connotazione positiva dopo quanto espresso su questo tema da Spinoza, osservando che «quando si discute intorno alla libertà del volere o del libero arbitrio, non si domanda se l'uomo possa far ciò che vuole, bensì se nella sua volontà vi sia sufficiente indipendenza». Pur accettando l'idea della libertà come semplice autonomia dell'uomo, accettazione di una legge che egli stesso riconosce come tale, Leibniz voleva nel contempo mantenere la concezione cristiana della libertà individuale e della conseguente responsabilità. Per questo scopo egli concepiva la libertà fondata metafisicamente sulla "monade": nel senso che ogni individualità, pur essendo un'"isola" completamente separata dalle altre, compirebbe "liberamente" atti che si incastrano come pezzi di un mosaico negli atti corrispondenti delle altre monadi, in un tutto che è l'"armonia prestabilita" da Dio. Il libero arbitrio non è indifferenza per Leibniz, ma «determinazione secondo quanto la ragione considera il meglio».
Dalla fine del Settecento, e sempre più con l'affermarsi del positivismo, la nascente comunità scientifica iniziò a sviluppare la credenza in un universo deterministico, nel quale cioè, date le condizioni iniziali di un processo fisico, o del quale siano note un certo numero di informazioni sufficienti, si fosse in grado di conoscerne l'esito e lo sviluppo con accuratezza assoluta, ovvero con certezza.
Già l'empirista anglosassone David Hume, nel Trattato sulla natura umana, si era proposto di conoscere scientificamente il «meccanismo regolare» delle passioni umane, «non meno delle leggi del moto, dell'ottica, dell'idrostatica o di qualsiasi branca della filosofia naturale». Hume riteneva che l'uomo fosse preda delle passioni al punto tale da ritenere che la stessa ragione umana fosse incapace di raffigurarsi obiettivamente il mondo, e che pertanto qualunque verità razionale, compresa l'autocoscienza del libero arbitrio, non avesse alcun valore oggettivo, ma risiedesse soltanto nella soggettività arbitraria del sentimento.
Con lo sviluppo della biologia, conseguente soprattutto alla scoperta del microscopio, l'essere umano iniziò ad essere concepito come un complesso sistema fisico composto da particelle, e successivamente molecole, che fanno uso di reazioni chimiche, fisiche, proprio come ogni altro sistema fisico nell'universo, e dunque ritenuto soggetto alle stesse leggi della fisica che conosciamo; sorse allora il problema di stabilire se tali reazioni materiali fossero l'effetto o piuttosto la causa della sua volontà.
Si venne in particolare scoprendo che il cervello umano sfrutta una serie di reazioni chimiche e chimico-fisiche che generano i campi elettrici e magnetici, tramite i quali avviene la comunicazione dei neuroni, quindi la decisione volontaria di un individuo potrebbe determinare queste reazioni, regolate a loro volta da leggi fisiche ben precise, oppure esserne determinato.
Il problema fu affrontato tra gli altri da Kant, il quale si fece sostenitore di una duplice visione: da un lato egli riteneva che l'uomo, in quanto appartenente al mondo empirico e sensibile, fosse naturalisticamente condizionato; dall'altro ammetteva la libertà come postulato dell'agire morale, a cui approssimare la propria condotta. Libertà e necessità, termini apparentemente inconciliabili, possono per Kant coesistere nel concetto di autonomia, quando l'uomo cerchi di obbedire ad una legge che egli stesso liberamente si è dato.
Una soluzione più pessimista fu formulata da Schopenhauer, il quale riteneva che l'agire umano fosse sottomesso ad una volontà cieca e imperscrutabile. La libertà dell'uomo è per lui illusoria, in quanto determinata di volta in volta da uno scopo stabilito a priori: «Si può fare ciò che si vuole, ma in ogni momento della vita si può volere solo una cosa precisa e assolutamente nient'altro che quella».
Nell'ottica del positivismo ottocentesco, il libero arbitrio verrebbe a scontrarsi con il determinismo, ossia l'idea che tutte le situazioni che accadono nel presente e nel futuro siano una conseguenza necessaria causata dagli eventi precedenti.
Il compatibilismo (anche detto determinismo morbido) ammette tuttavia che l'esistenza del libero arbitrio sia compatibile con il fatto che l'universo sia deterministico, mentre all'opposto l'incompatibilismo nega questa possibilità. Il determinismo forte è una versione dell'incompatibilismo che accetta che tutto sia determinato, anche le azioni e la volontà umane.
Il libertarismo (in inglese, Libertarianism) si accorda con il determinismo forte solo nel rifiutare il compatibilismo; ma i libertari accettano l'esistenza di un certo libero arbitrio insieme con l'idea che esistano alcuni ambiti indeterminati della realtà.
Con l'avvento delle prime conoscenze in campo atomico, e soprattutto in seguito alla formulazione del principio di indeterminazione di Heisenberg, alla concezione deterministica propria della meccanica classica si è affiancata una concezione stocastica, basata sulla meccanica quantistica in grado di predire eventi solo in termini di probabilità, che non è più ritenuta il frutto di una conoscenza incompleta del sistema fisico, ma una caratteristica intrinseca del mondo quantistico.
Come il determinismo, tuttavia, anche l'indeterminismo venne utilizzato come argomento contro la possibilità del libero arbitrio. Se infatti il determinismo aveva finito per negare la libertà umana, i sostenitori dell'indeterminismo adesso attribuivano al caso la genesi delle nostre azioni, giungendo così ugualmente a negare che la volontà umana fosse libera, in quanto essendo soggetta a parametri irrazionali, risulterebbe incontrollabile.
L'argomento standard contro l'esistenza del libero arbitrio ebbe modo così di basarsi su due differenti opzioni, cioè sulle seguenti concezioni:
  • l'interpretazione deterministica della natura, secondo la quale sono solo le leggi fisiche a dettare i comportamenti umani;
  • l'interpretazione indeterministica, per cui ogni evento è prodotto dal caso, e le scelte individuali sarebbero il risultato di questi processi casuali.
Per via di una tale impostazione filosofica veniva a porsi il problema, di natura non solo morale ma anche giuridica, se l'uomo fosse ancora da considerarsi eticamente responsabile delle sue azioni.
Contro questo modo riduzionistico di considerare l'essere umano, tuttavia, ha preso posizione il filosofo della scienza Karl Raimund Popper, che attaccando il cosiddetto determinismo genetico, il neodarwinismo, e la sociobiologia, ha affermato l'autonomia della mente e la sua azione causale nei confronti del cervello e delle sue componenti genetiche. Popper si considera dualista ma non alla maniera di Cartesio, sostenendo che tra i fenomeni mentali e quelli fisici permane una forte dose di incertezza che garantisce l'esistenza del libero arbitrio.
L'epifenomenismo ha rappresentato un ulteriore tentativo di sfiducia nei confronti del libero arbitrio umano. Il biologo e pensatore inglese Thomas Henry Huxley ipotizzò nell'Ottocento che tutti i pensieri coscienti siano un fenomeno secondario, senza alcun potere causale, che accompagnano i processi fondamentali nel sistema nervoso dell'uomo. Il concetto di epifenomeno, appartenente all'ambito del materialismo psicofisico, attribuisce un'origine somatica a tutte le forme di emozione, tale per cui il sentimento di piacere o dolore sarebbe l'effetto di un cambiamento a livello puramente corporeo o fisiologico.
Il flusso della coscienza, stando a queste argomentazioni, sarebbe un prodotto degli eventi, privo del potere di influire su di essi: a provocare le nostre azioni non sarebbe la coscienza, ritenuta appunto un epifenomeno, ma soltanto i processi fisici del cervello.


martedì 5 aprile 2022

Triangolo delle Bermude

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Il triangolo delle Bermude è una zona dell'Oceano Atlantico settentrionale che ha la forma di un triangolo, i cui vertici sono:
  • vertice Nord – il punto più meridionale dell' isola principale dell'arcipelago delle Bermude;
  • vertice Sud – il punto più orientale dell'isola di Porto Rico;
  • vertice Ovest – il punto più a Sud della penisola della Florida.
In relazione a questa vasta zona di mare, di circa 1100000 km², a partire dagli anni cinquanta la cultura di massa ha fatto sì che nascesse la convinzione che si fossero verificati dal 1800 in poi numerosi episodi di sparizioni di navi e aeromobili, motivo per cui alcuni autori hanno soprannominato la zona "Triangolo maledetto" o "Triangolo del Diavolo".
Il triangolo ha vissuto particolare popolarità nei media soprattutto a partire dal libro best seller Bermuda, il triangolo maledetto (The Bermuda Triangle) del 1974 di Charles Berlitz, secondo il quale nella zona avverrebbero misteriosi fenomeni che sono stati accostati al paranormale e agli UFO.
Nonostante la reputazione "maledetta", derivante soprattutto da opere di divulgazione misteriologica come quelle di Berlitz, il numero di incidenti nel Triangolo non è affatto superiore a quello di una qualsiasi altra regione ad alta densità di traffico aeronavale: come confermato dalla Guardia costiera degli Stati Uniti, l'incidentalità è nella norma per la quantità di traffico e molti degli incidenti avvenuti sono derivati da normali cause fisiche e meccaniche.
Le prime notizie di sparizioni inusuali nel triangolo delle Bermuda risalgono al 1950 ad opera di Edward Van Winkle Jones in un articolo del 30 settembre per Associated Press. Due anni dopo il magazine Fate pubblicò "Sea Mystery At Our Back Door", breve articolo di George X. Sand che riportava la presunta sparizione di molti aerei e navi inclusa la sparizione del Volo 19 e di un gruppo di cinque navi della United States Navy. Questo articolo segna l'inizio del mito del triangolo delle Bermuda per come è conosciuto oggi. Tale articolo inoltre fu il primo a formulare una ipotesi soprannaturale per le presunte sparizioni. Un ulteriore articolo fu pubblicato nel 1964 da Vincent Gaddis che l'anno seguente pubblicò anche un libro intitolato Invisible Horizons dove approfondiva i temi trattati nell'articolo.
Negli anni seguenti furono pubblicate altre opere sul presunto mistero: John Wallace Spencer (Limbo of the Lost, 1969, rist. 1973); Charles Berlitz (Bermuda, il Triangolo maledetto, 1974); Richard Winer (The Devil's Triangle, 1974), e molte altre, tutte per lo più facenti leva su presunti fenomeni soprannaturali. Il libro rimasto più famoso è quello di Berlitz.
Lawrence David Kusche, autore del libro The Bermuda Triangle Mystery: Solved del 1975, mise in luce gravi imprecisioni e alterazioni nell'opera di Berlitz: spesso il resoconto non coincideva con i racconti di testimoni o di persone coinvolte negli incidenti e sopravvissuti. In molti casi informazioni importanti erano omesse, come ad esempio nella scomparsa di Donald Crowhurst, riportata come mistero nonostante già allora fosse chiaro che Crowhurst aveva inventato i racconti delle sue imprese e si fosse suicidato. Oppure come nel caso del cargo tedesco Freia che lo scrittore Charles Berlitz nei suoi libri colloca come disperso nei pressi del porto cubano di Mansanillo nell'Atlantico, quando in realtà era andato perso nei pressi del porto messicano dallo stesso nome ma nel Pacifico. Kusche dimostrò inoltre, tramite documentazione, come numerosi incidenti indicati come "vittime del triangolo" si fossero in realtà verificati a moltissima distanza e fossero stati inclusi in malafede.
La ricerca di Kusche portò ad alcune conclusioni:
  • Il numero di navi disperse è paragonabile, percentualmente, a quello di ogni altra zona dell'oceano.
  • In una zona di tempeste tropicali, molte delle scomparse sono facilmente spiegabili, oltre che per nulla misteriose.
  • Il numero di perdite è stato enormemente esagerato da una ricerca falsata.
  • Le circostanze delle scomparse sono state riportate in modo falsato da Berlitz: il caso più comune riguarda navi che sono date per disperse con mare calmo e assenza di vento, quando in realtà le registrazioni dell'epoca mostrano tempeste o peggio.
  • "La leggenda del Triangolo delle Bermuda è un mistero fatto ad arte... mantenuto in vita da scrittori che volontariamente o meno fanno uso di dati errati, argomentazioni falsate, ragionamenti svianti e sensazionalismo".
Nonostante la fama dell'area, le statistiche dei Lloyd's di Londra affermano con certezza che il "triangolo" non è né più né meno pericolosa di ogni altra zona dell'oceano, valutando il numero di incidenti e perdite per la quantità di traffico sostenuto: l'area è una delle vie commerciali più affollate al mondo e le percentuali di sparizione sono insignificanti se esaminate nel complesso.
I dati disponibili presso la United States Coast Guard confermano tali conclusioni: il numero di sparizioni e incidenti è insignificante se paragonato al traffico nell'area. La grande maggioranza delle scomparse è ricollegabile ad avverse condizioni meteomarine spesso unite a debolezza strutturale o vetustà delle navi coinvolte, nonché a ritardi nei soccorsi: gran parte delle sparizioni si sono verificate in epoche (XIX secolo e primi decenni del XX) in cui i sistemi di ricerca e salvataggio erano molto arretrati o pressoché inesistenti (l'ultima nave di dimensioni medie o grandi scomparsa nel Triangolo è stata infatti il mercantile Poet, disperso nel 1980 probabilmente per una burrasca, mentre le sparizioni in epoca successiva hanno coinvolto solo unità delle dimensioni di yacht o pescherecci).
Dando per certe le sparizioni narrate nei libri e nei giornali, vari autori legati all'ufologia hanno avanzato l'ipotesi che le sparizioni misteriose di aerei e navi nel Triangolo delle Bermude siano da imputare agli extraterrestri. Secondo gli ufologi, gli alieni considerano come loro territorio di volo l'area del triangolo delle Bermude, essendo area da loro frequentata da secoli (è ciò che disse George Adamski, il più famoso dei contattisti) e non tollerano la presenza di nessuno.
Altri autori hanno parlato di inusuali anomalie magnetiche, oppure di strati di metano che avrebbero imprigionato aerei e navi.
Questa lista individua le principali presunte scomparse di aerei e navi avvenute nell'area del triangolo delle Bermude o nelle sue vicinanze, secondo Charles Berlitz e altri autori.
  • 5 Grumman TBF Avenger della Marina degli Stati Uniti, squadriglia di bombardieri in volo di addestramento (conosciuta come Squadriglia 19), partiti da Fort Lauderdale, complessivamente 14 persone di equipaggio. Scomparsi dopo due ore di volo, a circa 363 chilometri a Nord-Est della base, il 5 dicembre 1945.
  • Avro 688 Tudor Star Tiger, 31 persone fra equipaggio e passeggeri; scomparso a 611 chilometri a Nord-Est di Bermuda, il 29 gennaio 1948.
  • Douglas DC-3, partito da San Juan e diretto a Miami, 32 persone fra equipaggio e passeggeri; scomparso il 28 dicembre 1948.
  • Avro Tudor Star Ariel (aereo gemello dello Star Tiger), partito da Londra e diretto a Santiago del Cile; scomparso a 611 chilometri a Sud-Ovest di Bermuda, in direzione di Kingston (Giamaica), il 17 gennaio 1949.
  • USS Grampus affondata nel 1843;
  • Mary Celeste: descritta come nave "abbandonata" nell'area delle Bermuda nel 1872, in realtà l'evento si verificò davanti alle coste del Portogallo, nel triangolo invece affondò un'omonima nave nel 1864
  • Ellen Austin: sorta di relitto dato per scomparso nel 1881 con la ciurma, in realtà, come si evince dai registri dei Lloyd's di Londra, esisteva una nave chiamata Meta, costruita nel 1854 e poi ribattezzata, nel 1880, Ellen Austin. In relazione a questa nave non sono registrati incidenti di sorta con vittime
  • USS Cyclops (AC-4), nave da rifornimento della Marina degli Stati Uniti, in rotta da Barbados a Norfolk, equipaggio di 309 persone; scomparsa dopo la partenza il 4 marzo 1918;
  • Carroll A. Deering, 1921.
  • SS Cotopaxi, scomparsa sulla rotta fra Charleston e L'Avana, nel 1925.


lunedì 4 aprile 2022

Maman Brigitte

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Maman Brigitte (o Grann Brigitte, Manman, Manman Brigit, Manman Brijit) è il Loa del ciclo della vita e della morte, moglie di Baron Samedi. Maman Brigitte è una delle poche divinità vudù di carnagione bianca come quella europea, mora e con gli occhi verdi, con il viso dipinto a raffigurare un teschio a mettere in ulteriore evidenza lo stretto legame tra la vita e la morte. È simboleggiata da un gallo nero.
Secondo la tradizione è solita camminare, di notte, nei cimiteri, cantando e ballando sotto la luna. Adora bere rum con peperoncino e raccogliere fiori con cui decorare i propri capelli. Si dice che le farfalle si posino sempre sui suoi capelli, come simbolo della brevità della vita.
È la protettrice delle pietre tombali se queste sono adeguatamente marcate da una croce.
Talvolta questa divinità viene identificata con la santa irlandese Santa Brigida e con la dea pagana Brigida, signora del fuoco.

domenica 3 aprile 2022

Nyatri Tsenpo

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Nyatri Tsenpo (in cinese semplificato: 聂赤赞普) fu il fondatore del regno di Yarlung e della omonima dinastia nel Tibet meridionale.
Non esistono riscontri storici della sua esistenza, e la sua leggenda è stata tramandata dai tibetani nella locale tradizione orale, secondo la quale il suo regno è cominciato nel 127 a.C., anno che viene celebrato come il primo del calendario tibetano. Secondo altre fonti il suo regno sarebbe invece cominciato nel 414 a.C.
Si narra che discendesse da un mostruoso essere monopodico e palmipede chiamato Theurang, che aveva una lingua grande come la faccia e viveva in una terra chiamata Puwo. Date le sue terrificanti sembianze le divinità Bön lo esiliarono in Tibet, dove gli impauriti locali lo fecero re. Secondo alcune fonti potrebbe essere arrivato in Tibet dal regno settentrionale indiano di Magadha.
Secondo un'altra leggenda Nyatri Tsenpo era un essere immortale calato dal cielo sul Tibet con una corda dmu (dmu thag), descritta come una specie di arcobaleno, e quando suo figlio raggiunse la maggiore età e raccolse la sua eredità egli riascese nei cieli usando la stessa corda, una tradizione che si ripeté con tutti i primi sei re della dinastia.
Tale dinastia fu chiamata Yarlung, il nome tibetano del fiume Brahmaputra, che nasce nelle vicinanze del sacro Monte Kailash, nel Tibet occidentale, e scorre parallelo all'Himalaya in una lunghissima valle dove Nyatri Tsenpo insediò il suo regno. Il suo discendente Songtsen Gampo unificò il Tibet nel VII secolo facendone un impero e la dinastia durò fino all'842.
Oltre che come re di un vasto regno, fu famoso per aver fatto costruire lo Yumbulagang,il primo edificio in muratura del Tibet, dove fino a quel momento gli abitanti erano vissuti nelle grotte o in rudimentali capanne, e per aver istituito nel giorno della sua ascensione al trono la festività del Losar, che è tuttora celebrata come capodanno tibetano.

sabato 2 aprile 2022

Magia nera

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La magia nera è tradizionalmente considerata come la capacità di un mago di comprendere e controllare un potere oscuro e soprannaturale.
Nel mondo popolare la magia nera è considerata un potere distruttivo opposto a quello della magia bianca, che invece persegue effetti benefici. Questo concetto appare però molto più sfumato in alcune società primitive extraeuropee, come ad esempio tra gli Azande, le cui tradizioni furono studiate negli anni Trenta del secolo scorso da Edward Evan Evans-Pritchard. Questi popoli, infatti, ritenevano benefica qualsiasi magia che avesse recato danno ai nemici del loro gruppo sociale, e credevano si avesse senz'altro a che fare con la magia nera ogni qualvolta veniva colpito un soggetto che non avesse infranto alcuna legge o usanza.
Questa opposizione alla magia bianca, stando ad altre interpretazioni, sussisterebbe in quanto fondamento di quel dualismo di energie cosmiche che garantirebbe l'equilibrio dell'intero universo. Il colore nero è collegato all'oscurità ed è in diretto contrasto con il bianco, collegato alla luce; entrambi gli elementi sono però indispensabili e l'uno non può esistere senza l'altro. La metafora cinese dello yin e dello yiang può fornire un esempio di questo genere di contrapposizione.
Nell'ambito della magia naturale – un fenomeno tipico degli strati sociali più acculturati, come ad esempio quello dei maghi europei del Rinascimento – non esisterebbe un vero e proprio concetto di magia nera se non come deviazione dallo scopo primario del mago, che dovrebbe essere quello di stabilire un contatto tra macrocosmo e microcosmo. La magia nera (magia daemoniaca o magia illicita) deve pertanto ricorrere a un patto o a un contratto con le forze malefiche della Natura, invece che a un rituale simbolico in grado di mettere il mago in comunicazione con le divinità positive. Nel corso della storia, tuttavia, questi due aspetti della questione non sempre sono stati tenuti nettamente distinti.
La magia nera è inoltre ritenuta un'espressione della hýbris greca, ovvero della volontà di ottenere conoscenze e poteri superiori a quelli permessi dal proprio livello di sviluppo attraverso una prevaricazione delle leggi dell'armonia universale.
Secondo la tradizione cristiana, la magia nera sarebbe un tentativo da parte del Demonio di deviare l'umanità dalla retta via prevista nei piani divini per mezzo della seduzione diabolica. Il mago nero, ingannato dal Diavolo, cercherebbe un accordo con le potenze del male, vale a dire le schiere demoniache, che in cambio di offerte sacrificali e dell'adorazione tributata loro nel corso di rituali specifici e cruenti (che possono prendere anche la forma di perversioni di rituali religiosi, come le messe nere) lo ricompenserebbero poi con i doni della conoscenza, del potere, della ricchezza e dell'amore, il cui prezzo finale è immancabilmente la perdizione di colui che ha ceduto alla tentazione.
Jacques Collin de Plancy, nel suo Dizionario infernale, alla voce Magia e maghi scrisse quanto segue:
«La Magia è l’arte di produrre nella natura cose superiori al potere degli uomini, coi soccorsi dei demoni, adoperando certe cerimonie che la religione interdice.»
Benché il Plancy generalizzasse il concetto di magia in chiave negativa, nel prosieguo egli compì ugualmente una suddivisione tra i generi di pratica magica:
«Si distingue la magia nera, naturale e celestiale, vale a dire l’astrologia giudiziaria.»
E quanto alla prima:
«La magia nera o demoniaca, insegnata dal diavolo ed esercitata sotto la sua influenza, è l’arte di commerciare coi demoni, in conseguenza di un patto stabilito con loro, e servirsi del loro ministero per operare cose al di sopra della natura umana.»
Nella tradizione sabbatica coloro che compiono stregonerie vengono considerati esseri senza anima. Poiché la brama di potere porta inesorabilmente all'autodistruzione, il mago nero, nel suo vano tentativo di assogettare la natura compiendo atti sacrileghi, sarebbe quindi mosso da un desiderio di morte.
Una figura di mago nero è quella Landolfo II principe di Capua, scomunicato nell'anno 875 e archetipo del Klingsor nel Parsifal wagneriano.
 
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