Il libero
arbitrio è il concetto filosofico e
teologico secondo il quale ogni persona ha il potere di scegliere da
sé gli scopi del proprio agire e pensare, tipicamente perseguiti
tramite volontà, nel senso che la sua possibilità di scelta ha
origine nella persona stessa e non in forze esterne.
Ciò si contrappone alle varie
concezioni secondo cui questa possibilità sarebbe in qualche modo
predeterminata da fattori sovrannaturali (destino), o naturali
(determinismo), per via dei quali il volere degli individui sarebbe
prestabilito prima della loro nascita: si parla allora a seconda dei
casi di predestinazione, servo arbitrio o fatalismo.
Il concetto di libero arbitrio ha
implicazioni in campo religioso, etico e scientifico, dove pone
diversi problemi:
- in campo religioso il libero arbitrio implica che la divinità, per quanto onnipotente e onnisciente, scelga di non utilizzare il proprio potere per condizionare le scelte degli individui;
- nell'etica questo concetto è alla base della responsabilità senza cui un individuo non potrebbe rispondere per le sue azioni;
- in ambito scientifico l'idea di libero arbitrio comporta un'indipendenza del pensiero, e quindi della mente, dalla pura causalità delle leggi scientifiche.
La questione ha ripercussioni anche nel
diritto, dove il concetto di libero arbitrio e di responsabilità
individuale sta alla base del codice di procedura civile e penale.
Il tentativo di conciliare il libero
arbitrio dell'uomo con l'onniscienza e onnipotenza divine è stato
uno dei maggiori problemi con cui è misurata la teologia cristiana.
Per risolverlo, Agostino d'Ippona
distinse la libertà propriamente detta, ossia la capacità di dare
realizzazione ai nostri propositi, dal libero arbitrio, inteso invece
come la facoltà di scegliere, in linea teorica, tra opzioni
contrapposte, ossia tra il bene e il male. Mentre cioè il libero
arbitrio entrerebbe in gioco solo nel momento della scelta,
rivolgendosi ad esempio al bene, la libertà sarebbe incapace di
realizzarla.
In polemica contro Pelagio, Agostino
poteva così sostenere che la volontà umana è stata
irrimediabilmente corrotta dal peccato originale, che ha inficiato
per sempre la nostra capacità di realizzare le nostre scelte, e
quindi la nostra stessa libertà. A causa della corruzione, dunque,
nessun uomo sarebbe degno della salvezza, ma Dio può scegliere
gratuitamente chi salvare, elargendo la Sua grazia con cui gli
infonde la volontà effettiva di perseguire la scelta del bene,
volontà che altrimenti sarebbe facile preda delle tentazioni
malvagie.
Agostino si rifaceva in proposito alle
parole di Paolo di Tarso: «C'è in me il desiderio del bene, ma non
la capacità di attuarlo; io infatti non compio il bene che voglio,
ma il male che non voglio. Ora, se faccio quello che non voglio, non
sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me».
Nel De diversis quaestionibus ad
Simplicianum Agostino approfondì la propria concezione
filosofica, sostenendo che la grazia di Dio è necessaria non solo
nel momento realizzativo, ma anche per illuminare l'uomo su cosa è
il bene. Egli riportava così il problema di chi Dio scelga di
salvare, e perché, all'originale teologia della giustificazione di
Paolo di Tarso.
Del problema si occupò successivamente
la scolastica cristiana. Secondo Tommaso d'Aquino, il libero arbitrio
non è in contraddizione con la predestinazione alla salvezza, poiché
la libertà umana e l'azione divina della Grazia tendono ad unico
fine, ed hanno una medesima causa, cioè Dio. La volontà libera si
distingue da quella non libera perché a differenza di quest'ultima
si sottomette ai criteri della ragione, «essendo proprio della
medesima potenza il volere e lo scegliere».
Tommaso, come Bonaventura da
Bagnoregio, sostenne inoltre che l'uomo ha sinderesi, ovvero la
naturale disposizione e tendenza al bene e alla conoscenza di tale
bene. Per Bonaventura tuttavia la volontà ha il primato
sull'intelletto.
All'interno della scuola francescana di
cui Bonaventura era stato il capostipite, Duns Scoto si spinse più
in là, slegando il libero arbitrio da motivazioni razionali,
ammettendo la possibilità che esso possa determinarsi sia in una
direzione che in quella opposta. Il francescano Guglielmo di Ockham,
infine, esponente della corrente nominalista, radicalizzò la
teologia di Scoto affermando che l'essere umano è del tutto libero,
e solo questa libertà può fondare la moralità dell'uomo, la cui
salvezza però non è frutto della predestinazione, né delle sue
opere. È soltanto la volontà di Dio che determina, in modo del
tutto inconoscibile, il destino del singolo essere umano. Egli cioè
concepì il libero arbitrio come l'«indifferenza dell'arbitrio»
(arbitrium indifferentiae), ossia come puro arbitrio,
indipendente da ogni motivazione passionale o razionale.
Con l'avvento della Riforma, Martin
Lutero fece propria la teoria della predestinazione negando alla
radice l'esistenza del libero arbitrio: non è la buona volontà che
consente all'uomo di salvarsi, ma solo la fede, infusa dalla grazia
divina. È solo Dio, quello absconditus della tradizione
occamista, a spingerlo in direzione della dannazione o della
salvezza.
«La volontà umana è posta tra i due [Dio e Satana come un giumento, il quale, se sul dorso abbia Dio, vuole andare e va dove vuole Dio, [...] se invece sul suo dorso si sia assiso Satana, allora vuole andare e va dove vuole Satana, e non è sua facoltà di correre e cercare l'uno o l'altro cavalcatore, ma i due cavalcatori contendono fra loro per averlo e possederlo.» |
(Lutero, De servo arbitrio) |
Alla dottrina del servo arbitrio
invano Erasmo da Rotterdam replicò che il libero arbitrio è stato
sì viziato ma non distrutto completamente dal peccato originale, e
che senza un minimo di libertà da parte dell'uomo la giustizia e la
misericordia divina diventano prive di significato. Se infatti
l'essere umano non avesse la facoltà di accettare o rifiutare
liberamente la grazia divina che gli viene offerta, perché nelle
Scritture sono presenti ammonimenti e biasimi, minacce di castighi ed
elogi dell'obbedienza? Se inoltre, come predicava Lutero, l'uomo non
ha bisogno di chiese e organi intermediari tra sé e Dio, ma è
l'unico sacerdote di se stesso, come si concilia questa supposta
autonomia con la sua assoluta impossibilità di scelta in ambito
morale?
Particolarmente incisivo è l'esempio
che Erasmo presenta per supportare la sua soluzione, di un padre e il
suo figliolo che vuole cogliere un frutto. Il padre alza nelle sue
braccia il figlio che ancora non sa camminare, che cade e che fa
degli sforzi disordinati; gli mostra un frutto posato davanti a lui;
il bambino vuole correre a prenderlo, ma la sua debolezza è tale che
cadrebbe se il padre non lo sostenesse e guidasse. È quindi solo
grazie alla conduzione del padre (la Grazia di Dio) che il bambino
arriva al frutto che sempre suo padre gli offre; ma il bambino non
sarebbe riuscito ad alzarsi se il padre non l'avesse sostenuto, non
avrebbe visto il frutto se il padre non glielo avesse mostrato, non
sarebbe potuto avanzare senza la guida del padre, non avrebbe potuto
prendere il frutto se il padre non glielo avesse concesso. Cosa potrà
arrogarsi il bambino come sua autonoma azione? Malgrado nulla avrebbe
potuto compiere con le sue forze senza la Grazia, ha pertanto fatto
qualcosa.
Ad una concezione estremamente
volontaristica del libero arbitrio aderì tuttavia Giovanni Calvino,
che radicalizzò il concetto di predestinazione fino a interpretarlo
in un senso rigorosamente determinista. È la Provvidenza a guidare
gli uomini, indipendentemente dai loro meriti, sulla base della
prescienza e onnipotenza divina. L'uomo tuttavia può ricevere alcuni
"segni" del proprio destino ultraterreno in base al
successo o meno ottenuto nella propria vita politica ed economica.
Anche all'interno della Chiesa
Cattolica, che pure si era schierata contro le tesi di Lutero e
Calvino, iniziarono una serie di dispute sul concetto di libero
arbitrio. Secondo Luis de Molina la salvezza era sempre possibile per
l'uomo dotato di buona volontà. Egli sostenne che:
- la prescienza di Dio e la libera volontà umana sono compatibili, poiché Dio può ben prevedere nella sua onnipotenza la futura adesione dell'uomo alla grazia da lui elargita;
- questo piano di salvezza si attua per una valenza positiva
attribuita alla volontà umana, in quanto neppure il peccato
originale ha spento l'aspirazione dell'uomo alla salvezza.
A lui si contrappose Giansenio, fautore
di un ritorno ad Agostino: secondo Giansenio l'uomo è corrotto dalla
concupiscenza, per cui senza la grazia è destinato a peccare e
compiere il male; questa corruzione viene trasmessa ereditariamente.
Il punto centrale del sistema di Agostino risiedeva per i giansenisti
nella differenza essenziale tra il governo divino della grazia prima
e dopo la caduta di Adamo. All'atto della creazione Dio avrebbe
dotato l'uomo di piena libertà e della «grazia sufficiente», ma
questi l'aveva persa con il peccato originale. Allora Dio avrebbe
deciso di donare, attraverso la morte e resurrezione di Cristo, una
«grazia efficace» agli uomini da lui predestinati, resi giusti
dalla fede e dalle opere.
Il pensiero moderno ha assunto una
visione razionalista con Cartesio che definiva la libertà non come
un puro e semplice «libero arbitrio d'indifferenza» ma come
impegnativa scelta concreta di cercare la verità tramite il dubbio.
Mentre però Cartesio si arenò nella
duplice accezione di res cogitans e res extensa,
attribuendo assoluta libertà alla prima e passività meccanica alla
seconda, Spinoza cercò di conciliarli riprendendo il tema stoico di
un Dio immanente alla Natura, dove tutto avviene secondo necessità.
La libera volontà dell'uomo dunque non è altro che la capacità di
accettare la legge universale ineluttabile che domina l'universo. La
libertà non sta nell'arbitrio, ma nell'assenza di costrizioni che
consente ad esempio a una pianta di svilupparsi secondo le sue leggi:
«Tale è questa libertà umana, che tutti si vantano di possedere,
che in effetti consiste soltanto in questo: che gli uomini sono
coscienti delle loro passioni e appetiti e invece non conoscono le
cause che li determinano».
Leibniz cercò di darne una
connotazione positiva dopo quanto espresso su questo tema da Spinoza,
osservando che «quando si discute intorno alla libertà del volere o
del libero arbitrio, non si domanda se l'uomo possa far ciò che
vuole, bensì se nella sua volontà vi sia sufficiente indipendenza».
Pur accettando l'idea della libertà come semplice autonomia
dell'uomo, accettazione di una legge che egli stesso riconosce come
tale, Leibniz voleva nel contempo mantenere la concezione cristiana
della libertà individuale e della conseguente responsabilità. Per
questo scopo egli concepiva la libertà fondata metafisicamente sulla
"monade": nel senso che ogni individualità, pur essendo
un'"isola" completamente separata dalle altre, compirebbe
"liberamente" atti che si incastrano come pezzi di un
mosaico negli atti corrispondenti delle altre monadi, in un tutto che
è l'"armonia prestabilita" da Dio. Il libero arbitrio non
è indifferenza per Leibniz, ma «determinazione secondo quanto la
ragione considera il meglio».
Dalla fine del Settecento, e sempre più
con l'affermarsi del positivismo, la nascente comunità scientifica
iniziò a sviluppare la credenza in un universo deterministico, nel
quale cioè, date le condizioni iniziali di un processo fisico, o del
quale siano note un certo numero di informazioni sufficienti, si
fosse in grado di conoscerne l'esito e lo sviluppo con accuratezza
assoluta, ovvero con certezza.
Già l'empirista anglosassone David
Hume, nel Trattato sulla natura umana, si era proposto di
conoscere scientificamente il «meccanismo regolare» delle passioni
umane, «non meno delle leggi del moto, dell'ottica, dell'idrostatica
o di qualsiasi branca della filosofia naturale». Hume riteneva che
l'uomo fosse preda delle passioni al punto tale da ritenere che la
stessa ragione umana fosse incapace di raffigurarsi obiettivamente il
mondo, e che pertanto qualunque verità razionale, compresa
l'autocoscienza del libero arbitrio, non avesse alcun valore
oggettivo, ma risiedesse soltanto nella soggettività arbitraria del
sentimento.
Con lo sviluppo della biologia,
conseguente soprattutto alla scoperta del microscopio, l'essere umano
iniziò ad essere concepito come un complesso sistema fisico composto
da particelle, e successivamente molecole, che fanno uso di reazioni
chimiche, fisiche, proprio come ogni altro sistema fisico
nell'universo, e dunque ritenuto soggetto alle stesse leggi della
fisica che conosciamo; sorse allora il problema di stabilire se tali
reazioni materiali fossero l'effetto o piuttosto la causa della sua
volontà.
Si venne in particolare scoprendo che
il cervello umano sfrutta una serie di reazioni chimiche e
chimico-fisiche che generano i campi elettrici e magnetici, tramite i
quali avviene la comunicazione dei neuroni, quindi la decisione
volontaria di un individuo potrebbe determinare queste reazioni,
regolate a loro volta da leggi fisiche ben precise, oppure esserne
determinato.
Il problema fu affrontato tra gli altri
da Kant, il quale si fece sostenitore di una duplice visione: da un
lato egli riteneva che l'uomo, in quanto appartenente al mondo
empirico e sensibile, fosse naturalisticamente condizionato;
dall'altro ammetteva la libertà come postulato dell'agire morale, a
cui approssimare la propria condotta. Libertà e necessità, termini
apparentemente inconciliabili, possono per Kant coesistere nel
concetto di autonomia, quando l'uomo cerchi di obbedire ad una legge
che egli stesso liberamente si è dato.
Una soluzione più pessimista fu
formulata da Schopenhauer, il quale riteneva che l'agire umano fosse
sottomesso ad una volontà cieca e imperscrutabile. La libertà
dell'uomo è per lui illusoria, in quanto determinata di volta in
volta da uno scopo stabilito a priori: «Si può fare ciò che
si vuole, ma in ogni momento della vita si può volere solo una cosa
precisa e assolutamente nient'altro che quella».
Nell'ottica del positivismo
ottocentesco, il libero arbitrio verrebbe a scontrarsi con il
determinismo, ossia l'idea che tutte le situazioni che accadono nel
presente e nel futuro siano una conseguenza necessaria causata dagli
eventi precedenti.
Il compatibilismo (anche detto
determinismo morbido) ammette tuttavia che l'esistenza del
libero arbitrio sia compatibile con il fatto che l'universo sia
deterministico, mentre all'opposto l'incompatibilismo nega questa
possibilità. Il determinismo forte è una versione
dell'incompatibilismo che accetta che tutto sia determinato, anche le
azioni e la volontà umane.
Il libertarismo (in inglese,
Libertarianism) si accorda con il determinismo forte solo nel
rifiutare il compatibilismo; ma i libertari accettano l'esistenza di
un certo libero arbitrio insieme con l'idea che esistano alcuni
ambiti indeterminati della realtà.
Con l'avvento delle prime conoscenze in
campo atomico, e soprattutto in seguito alla formulazione del
principio di indeterminazione di Heisenberg, alla concezione
deterministica propria della meccanica classica si è affiancata una
concezione stocastica, basata sulla meccanica quantistica in grado di
predire eventi solo in termini di probabilità, che non è più
ritenuta il frutto di una conoscenza incompleta del sistema fisico,
ma una caratteristica intrinseca del mondo quantistico.
Come il determinismo, tuttavia, anche
l'indeterminismo venne utilizzato come argomento contro la
possibilità del libero arbitrio. Se infatti il determinismo aveva
finito per negare la libertà umana, i sostenitori
dell'indeterminismo adesso attribuivano al caso la genesi delle
nostre azioni, giungendo così ugualmente a negare che la volontà
umana fosse libera, in quanto essendo soggetta a parametri
irrazionali, risulterebbe incontrollabile.
L'argomento standard contro l'esistenza
del libero arbitrio ebbe modo così di basarsi su due differenti
opzioni, cioè sulle seguenti concezioni:
- l'interpretazione deterministica della natura, secondo la quale sono solo le leggi fisiche a dettare i comportamenti umani;
- l'interpretazione indeterministica, per cui ogni evento è prodotto dal caso, e le scelte individuali sarebbero il risultato di questi processi casuali.
Per via di una tale impostazione
filosofica veniva a porsi il problema, di natura non solo morale ma
anche giuridica, se l'uomo fosse ancora da considerarsi eticamente
responsabile delle sue azioni.
Contro questo modo riduzionistico di
considerare l'essere umano, tuttavia, ha preso posizione il filosofo
della scienza Karl Raimund Popper, che attaccando il cosiddetto
determinismo genetico, il neodarwinismo, e la sociobiologia, ha
affermato l'autonomia della mente e la sua azione causale nei
confronti del cervello e delle sue componenti genetiche. Popper si
considera dualista ma non alla maniera di Cartesio, sostenendo che
tra i fenomeni mentali e quelli fisici permane una forte dose di
incertezza che garantisce l'esistenza del libero arbitrio.
L'epifenomenismo ha rappresentato un
ulteriore tentativo di sfiducia nei confronti del libero arbitrio
umano. Il biologo e pensatore inglese Thomas Henry Huxley ipotizzò
nell'Ottocento che tutti i pensieri coscienti siano un fenomeno
secondario, senza alcun potere causale, che accompagnano i processi
fondamentali nel sistema nervoso dell'uomo. Il concetto di
epifenomeno, appartenente all'ambito del materialismo psicofisico,
attribuisce un'origine somatica a tutte le forme di emozione, tale
per cui il sentimento di piacere o dolore sarebbe l'effetto di un
cambiamento a livello puramente corporeo o fisiologico.
Il flusso della coscienza, stando a
queste argomentazioni, sarebbe un prodotto degli eventi, privo del
potere di influire su di essi: a provocare le nostre azioni non
sarebbe la coscienza, ritenuta appunto un epifenomeno, ma soltanto i
processi fisici del cervello.
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