mercoledì 6 aprile 2022

Libero arbitrio

Risultati immagini per Libero arbitrio


Il libero arbitrio è il concetto filosofico e teologico secondo il quale ogni persona ha il potere di scegliere da sé gli scopi del proprio agire e pensare, tipicamente perseguiti tramite volontà, nel senso che la sua possibilità di scelta ha origine nella persona stessa e non in forze esterne.
Ciò si contrappone alle varie concezioni secondo cui questa possibilità sarebbe in qualche modo predeterminata da fattori sovrannaturali (destino), o naturali (determinismo), per via dei quali il volere degli individui sarebbe prestabilito prima della loro nascita: si parla allora a seconda dei casi di predestinazione, servo arbitrio o fatalismo.
Il concetto di libero arbitrio ha implicazioni in campo religioso, etico e scientifico, dove pone diversi problemi:
  • in campo religioso il libero arbitrio implica che la divinità, per quanto onnipotente e onnisciente, scelga di non utilizzare il proprio potere per condizionare le scelte degli individui;
  • nell'etica questo concetto è alla base della responsabilità senza cui un individuo non potrebbe rispondere per le sue azioni;
  • in ambito scientifico l'idea di libero arbitrio comporta un'indipendenza del pensiero, e quindi della mente, dalla pura causalità delle leggi scientifiche.
La questione ha ripercussioni anche nel diritto, dove il concetto di libero arbitrio e di responsabilità individuale sta alla base del codice di procedura civile e penale.
Il tentativo di conciliare il libero arbitrio dell'uomo con l'onniscienza e onnipotenza divine è stato uno dei maggiori problemi con cui è misurata la teologia cristiana.
Per risolverlo, Agostino d'Ippona distinse la libertà propriamente detta, ossia la capacità di dare realizzazione ai nostri propositi, dal libero arbitrio, inteso invece come la facoltà di scegliere, in linea teorica, tra opzioni contrapposte, ossia tra il bene e il male. Mentre cioè il libero arbitrio entrerebbe in gioco solo nel momento della scelta, rivolgendosi ad esempio al bene, la libertà sarebbe incapace di realizzarla.
In polemica contro Pelagio, Agostino poteva così sostenere che la volontà umana è stata irrimediabilmente corrotta dal peccato originale, che ha inficiato per sempre la nostra capacità di realizzare le nostre scelte, e quindi la nostra stessa libertà. A causa della corruzione, dunque, nessun uomo sarebbe degno della salvezza, ma Dio può scegliere gratuitamente chi salvare, elargendo la Sua grazia con cui gli infonde la volontà effettiva di perseguire la scelta del bene, volontà che altrimenti sarebbe facile preda delle tentazioni malvagie.
Agostino si rifaceva in proposito alle parole di Paolo di Tarso: «C'è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; io infatti non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio. Ora, se faccio quello che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me».
Nel De diversis quaestionibus ad Simplicianum Agostino approfondì la propria concezione filosofica, sostenendo che la grazia di Dio è necessaria non solo nel momento realizzativo, ma anche per illuminare l'uomo su cosa è il bene. Egli riportava così il problema di chi Dio scelga di salvare, e perché, all'originale teologia della giustificazione di Paolo di Tarso.
Del problema si occupò successivamente la scolastica cristiana. Secondo Tommaso d'Aquino, il libero arbitrio non è in contraddizione con la predestinazione alla salvezza, poiché la libertà umana e l'azione divina della Grazia tendono ad unico fine, ed hanno una medesima causa, cioè Dio. La volontà libera si distingue da quella non libera perché a differenza di quest'ultima si sottomette ai criteri della ragione, «essendo proprio della medesima potenza il volere e lo scegliere».
Tommaso, come Bonaventura da Bagnoregio, sostenne inoltre che l'uomo ha sinderesi, ovvero la naturale disposizione e tendenza al bene e alla conoscenza di tale bene. Per Bonaventura tuttavia la volontà ha il primato sull'intelletto.
All'interno della scuola francescana di cui Bonaventura era stato il capostipite, Duns Scoto si spinse più in là, slegando il libero arbitrio da motivazioni razionali, ammettendo la possibilità che esso possa determinarsi sia in una direzione che in quella opposta. Il francescano Guglielmo di Ockham, infine, esponente della corrente nominalista, radicalizzò la teologia di Scoto affermando che l'essere umano è del tutto libero, e solo questa libertà può fondare la moralità dell'uomo, la cui salvezza però non è frutto della predestinazione, né delle sue opere. È soltanto la volontà di Dio che determina, in modo del tutto inconoscibile, il destino del singolo essere umano. Egli cioè concepì il libero arbitrio come l'«indifferenza dell'arbitrio» (arbitrium indifferentiae), ossia come puro arbitrio, indipendente da ogni motivazione passionale o razionale.
Con l'avvento della Riforma, Martin Lutero fece propria la teoria della predestinazione negando alla radice l'esistenza del libero arbitrio: non è la buona volontà che consente all'uomo di salvarsi, ma solo la fede, infusa dalla grazia divina. È solo Dio, quello absconditus della tradizione occamista, a spingerlo in direzione della dannazione o della salvezza.
«La volontà umana è posta tra i due [Dio e Satana come un giumento, il quale, se sul dorso abbia Dio, vuole andare e va dove vuole Dio, [...] se invece sul suo dorso si sia assiso Satana, allora vuole andare e va dove vuole Satana, e non è sua facoltà di correre e cercare l'uno o l'altro cavalcatore, ma i due cavalcatori contendono fra loro per averlo e possederlo.»
(Lutero, De servo arbitrio)

Alla dottrina del servo arbitrio invano Erasmo da Rotterdam replicò che il libero arbitrio è stato sì viziato ma non distrutto completamente dal peccato originale, e che senza un minimo di libertà da parte dell'uomo la giustizia e la misericordia divina diventano prive di significato. Se infatti l'essere umano non avesse la facoltà di accettare o rifiutare liberamente la grazia divina che gli viene offerta, perché nelle Scritture sono presenti ammonimenti e biasimi, minacce di castighi ed elogi dell'obbedienza? Se inoltre, come predicava Lutero, l'uomo non ha bisogno di chiese e organi intermediari tra sé e Dio, ma è l'unico sacerdote di se stesso, come si concilia questa supposta autonomia con la sua assoluta impossibilità di scelta in ambito morale?
Particolarmente incisivo è l'esempio che Erasmo presenta per supportare la sua soluzione, di un padre e il suo figliolo che vuole cogliere un frutto. Il padre alza nelle sue braccia il figlio che ancora non sa camminare, che cade e che fa degli sforzi disordinati; gli mostra un frutto posato davanti a lui; il bambino vuole correre a prenderlo, ma la sua debolezza è tale che cadrebbe se il padre non lo sostenesse e guidasse. È quindi solo grazie alla conduzione del padre (la Grazia di Dio) che il bambino arriva al frutto che sempre suo padre gli offre; ma il bambino non sarebbe riuscito ad alzarsi se il padre non l'avesse sostenuto, non avrebbe visto il frutto se il padre non glielo avesse mostrato, non sarebbe potuto avanzare senza la guida del padre, non avrebbe potuto prendere il frutto se il padre non glielo avesse concesso. Cosa potrà arrogarsi il bambino come sua autonoma azione? Malgrado nulla avrebbe potuto compiere con le sue forze senza la Grazia, ha pertanto fatto qualcosa.
Ad una concezione estremamente volontaristica del libero arbitrio aderì tuttavia Giovanni Calvino, che radicalizzò il concetto di predestinazione fino a interpretarlo in un senso rigorosamente determinista. È la Provvidenza a guidare gli uomini, indipendentemente dai loro meriti, sulla base della prescienza e onnipotenza divina. L'uomo tuttavia può ricevere alcuni "segni" del proprio destino ultraterreno in base al successo o meno ottenuto nella propria vita politica ed economica.
Anche all'interno della Chiesa Cattolica, che pure si era schierata contro le tesi di Lutero e Calvino, iniziarono una serie di dispute sul concetto di libero arbitrio. Secondo Luis de Molina la salvezza era sempre possibile per l'uomo dotato di buona volontà. Egli sostenne che:
  • la prescienza di Dio e la libera volontà umana sono compatibili, poiché Dio può ben prevedere nella sua onnipotenza la futura adesione dell'uomo alla grazia da lui elargita;
  • questo piano di salvezza si attua per una valenza positiva attribuita alla volontà umana, in quanto neppure il peccato originale ha spento l'aspirazione dell'uomo alla salvezza.
A lui si contrappose Giansenio, fautore di un ritorno ad Agostino: secondo Giansenio l'uomo è corrotto dalla concupiscenza, per cui senza la grazia è destinato a peccare e compiere il male; questa corruzione viene trasmessa ereditariamente. Il punto centrale del sistema di Agostino risiedeva per i giansenisti nella differenza essenziale tra il governo divino della grazia prima e dopo la caduta di Adamo. All'atto della creazione Dio avrebbe dotato l'uomo di piena libertà e della «grazia sufficiente», ma questi l'aveva persa con il peccato originale. Allora Dio avrebbe deciso di donare, attraverso la morte e resurrezione di Cristo, una «grazia efficace» agli uomini da lui predestinati, resi giusti dalla fede e dalle opere.
Il pensiero moderno ha assunto una visione razionalista con Cartesio che definiva la libertà non come un puro e semplice «libero arbitrio d'indifferenza» ma come impegnativa scelta concreta di cercare la verità tramite il dubbio.
Mentre però Cartesio si arenò nella duplice accezione di res cogitans e res extensa, attribuendo assoluta libertà alla prima e passività meccanica alla seconda, Spinoza cercò di conciliarli riprendendo il tema stoico di un Dio immanente alla Natura, dove tutto avviene secondo necessità. La libera volontà dell'uomo dunque non è altro che la capacità di accettare la legge universale ineluttabile che domina l'universo. La libertà non sta nell'arbitrio, ma nell'assenza di costrizioni che consente ad esempio a una pianta di svilupparsi secondo le sue leggi: «Tale è questa libertà umana, che tutti si vantano di possedere, che in effetti consiste soltanto in questo: che gli uomini sono coscienti delle loro passioni e appetiti e invece non conoscono le cause che li determinano».
Leibniz cercò di darne una connotazione positiva dopo quanto espresso su questo tema da Spinoza, osservando che «quando si discute intorno alla libertà del volere o del libero arbitrio, non si domanda se l'uomo possa far ciò che vuole, bensì se nella sua volontà vi sia sufficiente indipendenza». Pur accettando l'idea della libertà come semplice autonomia dell'uomo, accettazione di una legge che egli stesso riconosce come tale, Leibniz voleva nel contempo mantenere la concezione cristiana della libertà individuale e della conseguente responsabilità. Per questo scopo egli concepiva la libertà fondata metafisicamente sulla "monade": nel senso che ogni individualità, pur essendo un'"isola" completamente separata dalle altre, compirebbe "liberamente" atti che si incastrano come pezzi di un mosaico negli atti corrispondenti delle altre monadi, in un tutto che è l'"armonia prestabilita" da Dio. Il libero arbitrio non è indifferenza per Leibniz, ma «determinazione secondo quanto la ragione considera il meglio».
Dalla fine del Settecento, e sempre più con l'affermarsi del positivismo, la nascente comunità scientifica iniziò a sviluppare la credenza in un universo deterministico, nel quale cioè, date le condizioni iniziali di un processo fisico, o del quale siano note un certo numero di informazioni sufficienti, si fosse in grado di conoscerne l'esito e lo sviluppo con accuratezza assoluta, ovvero con certezza.
Già l'empirista anglosassone David Hume, nel Trattato sulla natura umana, si era proposto di conoscere scientificamente il «meccanismo regolare» delle passioni umane, «non meno delle leggi del moto, dell'ottica, dell'idrostatica o di qualsiasi branca della filosofia naturale». Hume riteneva che l'uomo fosse preda delle passioni al punto tale da ritenere che la stessa ragione umana fosse incapace di raffigurarsi obiettivamente il mondo, e che pertanto qualunque verità razionale, compresa l'autocoscienza del libero arbitrio, non avesse alcun valore oggettivo, ma risiedesse soltanto nella soggettività arbitraria del sentimento.
Con lo sviluppo della biologia, conseguente soprattutto alla scoperta del microscopio, l'essere umano iniziò ad essere concepito come un complesso sistema fisico composto da particelle, e successivamente molecole, che fanno uso di reazioni chimiche, fisiche, proprio come ogni altro sistema fisico nell'universo, e dunque ritenuto soggetto alle stesse leggi della fisica che conosciamo; sorse allora il problema di stabilire se tali reazioni materiali fossero l'effetto o piuttosto la causa della sua volontà.
Si venne in particolare scoprendo che il cervello umano sfrutta una serie di reazioni chimiche e chimico-fisiche che generano i campi elettrici e magnetici, tramite i quali avviene la comunicazione dei neuroni, quindi la decisione volontaria di un individuo potrebbe determinare queste reazioni, regolate a loro volta da leggi fisiche ben precise, oppure esserne determinato.
Il problema fu affrontato tra gli altri da Kant, il quale si fece sostenitore di una duplice visione: da un lato egli riteneva che l'uomo, in quanto appartenente al mondo empirico e sensibile, fosse naturalisticamente condizionato; dall'altro ammetteva la libertà come postulato dell'agire morale, a cui approssimare la propria condotta. Libertà e necessità, termini apparentemente inconciliabili, possono per Kant coesistere nel concetto di autonomia, quando l'uomo cerchi di obbedire ad una legge che egli stesso liberamente si è dato.
Una soluzione più pessimista fu formulata da Schopenhauer, il quale riteneva che l'agire umano fosse sottomesso ad una volontà cieca e imperscrutabile. La libertà dell'uomo è per lui illusoria, in quanto determinata di volta in volta da uno scopo stabilito a priori: «Si può fare ciò che si vuole, ma in ogni momento della vita si può volere solo una cosa precisa e assolutamente nient'altro che quella».
Nell'ottica del positivismo ottocentesco, il libero arbitrio verrebbe a scontrarsi con il determinismo, ossia l'idea che tutte le situazioni che accadono nel presente e nel futuro siano una conseguenza necessaria causata dagli eventi precedenti.
Il compatibilismo (anche detto determinismo morbido) ammette tuttavia che l'esistenza del libero arbitrio sia compatibile con il fatto che l'universo sia deterministico, mentre all'opposto l'incompatibilismo nega questa possibilità. Il determinismo forte è una versione dell'incompatibilismo che accetta che tutto sia determinato, anche le azioni e la volontà umane.
Il libertarismo (in inglese, Libertarianism) si accorda con il determinismo forte solo nel rifiutare il compatibilismo; ma i libertari accettano l'esistenza di un certo libero arbitrio insieme con l'idea che esistano alcuni ambiti indeterminati della realtà.
Con l'avvento delle prime conoscenze in campo atomico, e soprattutto in seguito alla formulazione del principio di indeterminazione di Heisenberg, alla concezione deterministica propria della meccanica classica si è affiancata una concezione stocastica, basata sulla meccanica quantistica in grado di predire eventi solo in termini di probabilità, che non è più ritenuta il frutto di una conoscenza incompleta del sistema fisico, ma una caratteristica intrinseca del mondo quantistico.
Come il determinismo, tuttavia, anche l'indeterminismo venne utilizzato come argomento contro la possibilità del libero arbitrio. Se infatti il determinismo aveva finito per negare la libertà umana, i sostenitori dell'indeterminismo adesso attribuivano al caso la genesi delle nostre azioni, giungendo così ugualmente a negare che la volontà umana fosse libera, in quanto essendo soggetta a parametri irrazionali, risulterebbe incontrollabile.
L'argomento standard contro l'esistenza del libero arbitrio ebbe modo così di basarsi su due differenti opzioni, cioè sulle seguenti concezioni:
  • l'interpretazione deterministica della natura, secondo la quale sono solo le leggi fisiche a dettare i comportamenti umani;
  • l'interpretazione indeterministica, per cui ogni evento è prodotto dal caso, e le scelte individuali sarebbero il risultato di questi processi casuali.
Per via di una tale impostazione filosofica veniva a porsi il problema, di natura non solo morale ma anche giuridica, se l'uomo fosse ancora da considerarsi eticamente responsabile delle sue azioni.
Contro questo modo riduzionistico di considerare l'essere umano, tuttavia, ha preso posizione il filosofo della scienza Karl Raimund Popper, che attaccando il cosiddetto determinismo genetico, il neodarwinismo, e la sociobiologia, ha affermato l'autonomia della mente e la sua azione causale nei confronti del cervello e delle sue componenti genetiche. Popper si considera dualista ma non alla maniera di Cartesio, sostenendo che tra i fenomeni mentali e quelli fisici permane una forte dose di incertezza che garantisce l'esistenza del libero arbitrio.
L'epifenomenismo ha rappresentato un ulteriore tentativo di sfiducia nei confronti del libero arbitrio umano. Il biologo e pensatore inglese Thomas Henry Huxley ipotizzò nell'Ottocento che tutti i pensieri coscienti siano un fenomeno secondario, senza alcun potere causale, che accompagnano i processi fondamentali nel sistema nervoso dell'uomo. Il concetto di epifenomeno, appartenente all'ambito del materialismo psicofisico, attribuisce un'origine somatica a tutte le forme di emozione, tale per cui il sentimento di piacere o dolore sarebbe l'effetto di un cambiamento a livello puramente corporeo o fisiologico.
Il flusso della coscienza, stando a queste argomentazioni, sarebbe un prodotto degli eventi, privo del potere di influire su di essi: a provocare le nostre azioni non sarebbe la coscienza, ritenuta appunto un epifenomeno, ma soltanto i processi fisici del cervello.


0 commenti:

Posta un commento

 
Wordpress Theme by wpthemescreator .
Converted To Blogger Template by Anshul .