La morte personificata è una
figura esistente fin dall'antichità nella mitologia e nella cultura
popolare, con una vaga forma umana o come personaggio fittizio. La
raffigurazione più diffusa nell'immaginario collettivo è quella di
uno scheletro che brandisce una falce, a volte vestito da un saio
nero, una tunica o da un mantello di colore nero munito di cappuccio.
La figura della morte è nota a molti
con il nome di Tristo Mietitore o Sinistro Mietitore,Cupo
Mietitore e "'Nera Mietitrice"'. La personificazione
della morte viene generalmente associata all'idea di un'entità
neutra, ossia né buona né cattiva. Il suo unico compito sarebbe
quello di accompagnare nel trapasso le anime degli esseri umani al
regno dei morti.
Nella mitologia greca, Thanatos
(Θανατος) è la personificazione della morte. Dal suo nome
deriva la tanatofobia, la paura della morte. Secondo Esiodo, è
figlio di Nyx (Νυξ) (la Notte), che l'aveva concepito per
partenogenesi, nonché fratello gemello di Hypnos (il Sonno), come
già narrato da Omero nell'Iliade.
Nemico implacabile del genere umano,
odioso anche agli immortali, ha fissato il suo soggiorno nel Tartaro
o dinanzi alla porta degli Inferi. È in questi luoghi che Eracle ha
combattuto con Thanatos sconfiggendolo e legandolo con una catena di
diamanti per tenerlo prigioniero sino a che non ottenne la
restituzione di Alcesti, che ricondusse trionfalmente a casa.
Ateniesi e Spartani lo onoravano di un
culto particolare, ma non si sa nulla sul tipo di culto che gli
rendevano.
Thanatos aveva un cuore di ferro e
delle viscere di bronzo. I greci lo rappresentavano come un giovane o
un vecchio barbuto con le ali.
Gli attributi comuni tra Thanatos e la
madre Nyx (la Notte) sono le ali e la torcia capovolta, quale simbolo
della vita che si estingue.
Talvolta era rappresentato sotto la
figura di un bambino nero con piedi torti o incrociati, quale simbolo
dell'imbarazzo dei corpi che si trovano nella tomba. Nelle antiche
sculture viene rappresentato anche con un viso dimagrito, gli occhi
chiusi, coperto da un velo, e mentre tiene una falce in mano a
simboleggiare la vita raccolta come il grano. Altri simboli sono
farfalla in mano (ψυχή [psiche], che oltre a farfalla, può
significare anche anima, vita) oppure con un fiore di papavero
sonnifero, simbolo che condivideva col fratello Hypnos.
I Romani lo chiamavano anche Mors
raffigurandolo come un Genio alato e silenzioso e gli alzarono anche
degli altari.
Nell'Induismo Yama è la divinità
preposta al controllo e al trapasso delle anime da un mondo
all'altro. È figlio di Surya (dio del Sole) e di Saranyu, viene
chiamato anche Dharma (Giustizia, poiché ha il compito di giudicare
le destinazioni delle anime) e Kala (Tempo, Yama è identificato con
il tempo poiché è quest'ultimo a decretare il momento della morte).
La sua tradizionale iconografia è quella di un uomo che cavalca un
bufalo nero, vestito di rosso con gli occhi di fuoco e la pelle
verde.
Nel Buddhismo è rappresentato come un
essere irato, dalla pelle di colore nero-blu, vestito di pelli
animali e adorno di teschi e ossa. Nella rappresentazione
iconografica del Saṃsāra Yama stringe a sé la ruota
dell'esistenza. Nel buddhismo Vajrayana la morte viene considerata
uno degli otto dharmapada, un difensore del Dharma. Sempre nel
buddhismo Vajrayana esiste anche Yamantaka, il Distruttore della
morte, che assume su di sé le sembianze di Yama, compreso il volto
di bufalo tratto dal suo veicolo nell'iconografia induista, a
significare il superamento di ogni dualità.
Nella Bibbia il quarto cavaliere
dell'Apocalisse è rappresentato con l'inferno che lo segue.
Nell'Antico Testamento il cosiddetto "Angelo del Signore"
colpisce 185.000 nell'accampamento Assiro (II Re 19:35), nel libro
dell'Esodo 12:23, il Signore "percuote" ogni primogenito
d'Egitto ma non fa passare lo "sterminatore" nelle case in
cui c'è un segno di sangue sulla porta. Sempre l'Angelo Sterminatore
causa una pestilenza in Israele finché il Signore non gli ordina di
"ritirare la mano" (II Sam 24:16; I Cronache 21:15). Re
Davide vede l'Angelo della Morte descrivendolo "stava tra terra
e cielo con la spada sguainata in mano, tesa verso Gerusalemme"(I
Cronache 21:16). Nel suo libro, Giobbe usa il termine "distruttore"
e in Proverbi si fa riferimento alla morte (Prov. 16:14). Di solito
Azrael è riconosciuto come Angelo della Morte. Il "mĕmītǐm"
è un tipo di angelo biblico associato con la mediazione oltre la
vita dei morenti (Libro di Giobbe 33:22). Ci sono alcuni dibattiti
religiosi tra gli studiosi per quanto riguarda l'esatta natura del
memitim.
Secondo il Midrash, l'angelo della
Morte fu creato da Dio nel primo giorno. Egli abita nei cieli e
possiede dodici ali. È rappresentato come un essere ricoperto da
occhi che tiene in mano una spada da cui gocciola fiele. Quando un
uomo sta per morire, l'Angelo fa cadere una goccia di fiele in bocca
all'uomo e questo ne causa la morte: l'uomo comincia a decomporsi e
il suo viso diventa giallo. L'espressione "avere il gusto della
morte" è derivata dalla credenza che la morte fosse causata da
una goccia di fiele. Dopo la morte dell'uomo l'anima esce dalla bocca
(o dalla gola) e la sua voce giunge fino alla fine del mondo.
Proprio per questo l'Angelo sta sulla
testa del morente, per impedire all'anima di fuggire. Nella
tradizione ebraica, l'angelo è rappresentato come un brutale
macellaio che uccide tramite la sua goccia di fiele, usando la sua
spada (o un coltello) o con un laccio (che simboleggia la morte per
soffocamento). Infatti le pratiche di esecuzione capitale nella
cultura ebraica venivano eseguite tramite la combustione (il versare
un liquido incandescente nella gola del condannato—pratica che
ricorda la goccia di fiele), la macellazione (o decapitazione) e il
soffocamento. Inoltre l'Angelo possiede un mantello nero che gli
permette di trasformarsi in tutto ciò che vuole per meglio assolvere
il suo compito, di solito si trasforma in mendicante o studioso.
Secondo la tradizione ci sarebbero sei
angeli della morte:
- Gabriele, che prenderebbe le anime dei giovani,
- Kapziel o Kafziel, che prenderebbe le anime dei re,
- Mashbir o Meshabber, che prenderebbe le anime degli animali selvatici,
- Mashhit, che prenderebbe le anime dei bambini,
- Af, che prenderebbe le anime degli uomini,
- Hemah, che prenderebbe le anime degli animali domestici.
L'angelo della Morte, a causa delle sue
frequenti rappresentazioni di mostro vestito di nero o di impietoso
ed iniquo omicida, è stato spesso associato al diavolo. Persino
nella genesi quando Eva, durante il suo colloquio col serpente,
associa la morte al peccato originale (Gen. 3:3).
Nel Nuovo Testamento la morte è citata
solo qualche volta e affrontata con un atteggiamento notevolmente
positivo. Basti pensare a Cristo che risorge dai morti, alle numerose
allusioni della vittoria sulla morte e alla scomparsa di paura della
morte. La morte, quindi, mantiene la sua accezione negativa (vedi
Ap.6:8) ma assume il ruolo di vinta e non di vincitrice. Prima,
infatti, la condizione umana sia buona che cattiva aveva conclusione
nella morte, ora la morte è solo un "periodo transitorio",
una sorta di lungo sonno. La morte non è eterna e da essa si può
risuscitare.
Nella tradizione ci sono due Angeli
della Morte: Michele, che è buono, e Samaele, che è malvagio.
Azrael, uno dei quattro Arcangeli
principali nella teologia islamica, appare come la personificazione
della Morte nella tradizione islamica.
Nella mitologia giapponese la morte è
impersonata da Enma, anche conosciuto come Enma Ou e Enma Daiou. Enma
comanda lo Yomi (gli Inferi), il che lo rende simile ad Ade, e decide
se i morti devono andare in paradiso o all'inferno.
I testi religiosi, in particolare il
Kojiki, parlano del Takama no Hara (Pianura degli Alti Cieli,
paragonabile al concetto occidentale di paradiso) e dello Yomi no
Kuni (o Terra di Yomo, paragonabile al concetto occidentale di
inferno), una terra dei morti in cui regna un Re demoniaco, Enma, che
ha il compito di giudicare i morti che sono condotti innanzi a lui.
Tuttavia non è così facile giungere al suo cospetto, infatti per
accedere alla vita ultraterrena, bisogna superare le varie prove
della vita. Il rimpianto per il mancato conseguimento di una o più
prove condanna l'anima dell'individuo ad un vagare senza meta sulla
terra anche se è stato destinato al Takama no Hara.
Un culto più recente è quello degli shinigami, gli dei della
morte.Le antiche tribù slave vedevano la
morte come una bellissima donna vestita di bianco che teneva in mano
un ramoscello di sempreverde. Il tocco di questo ramoscello avrebbe
significato la morte immediata di una persona. Questa iconografia è
sopravvissuta fino al Medio Evo fino a quando non è stata sostituita
dallo scheletro con la falce.
I lituani chiamarono la morte Giltinè
dalla parola "gilti" (pungere). Giltinè è stata
rappresentata come una vecchia donna vestita di blu con una lingua
velenosa e mortale. La leggenda vuole che prima Giltinè fosse una
bellissima giovane trasformata in un essere mostruoso quando fu
chiusa in una bara per sette anni. La dea della Morte era la sorella
della dea della Vita, Laima, che rappresenta inoltre il legame tra
inizio e fine. Dopo i lituani adottarono come immagine della morte lo
scheletro con la falce.
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