sabato 9 aprile 2022

Morte personificata

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La morte personificata è una figura esistente fin dall'antichità nella mitologia e nella cultura popolare, con una vaga forma umana o come personaggio fittizio. La raffigurazione più diffusa nell'immaginario collettivo è quella di uno scheletro che brandisce una falce, a volte vestito da un saio nero, una tunica o da un mantello di colore nero munito di cappuccio.
La figura della morte è nota a molti con il nome di Tristo Mietitore o Sinistro Mietitore,Cupo Mietitore e "'Nera Mietitrice"'. La personificazione della morte viene generalmente associata all'idea di un'entità neutra, ossia né buona né cattiva. Il suo unico compito sarebbe quello di accompagnare nel trapasso le anime degli esseri umani al regno dei morti.
Nella mitologia greca, Thanatos (Θανατος) è la personificazione della morte. Dal suo nome deriva la tanatofobia, la paura della morte. Secondo Esiodo, è figlio di Nyx (Νυξ) (la Notte), che l'aveva concepito per partenogenesi, nonché fratello gemello di Hypnos (il Sonno), come già narrato da Omero nell'Iliade.
Nemico implacabile del genere umano, odioso anche agli immortali, ha fissato il suo soggiorno nel Tartaro o dinanzi alla porta degli Inferi. È in questi luoghi che Eracle ha combattuto con Thanatos sconfiggendolo e legandolo con una catena di diamanti per tenerlo prigioniero sino a che non ottenne la restituzione di Alcesti, che ricondusse trionfalmente a casa.
Ateniesi e Spartani lo onoravano di un culto particolare, ma non si sa nulla sul tipo di culto che gli rendevano.
Thanatos aveva un cuore di ferro e delle viscere di bronzo. I greci lo rappresentavano come un giovane o un vecchio barbuto con le ali.
Gli attributi comuni tra Thanatos e la madre Nyx (la Notte) sono le ali e la torcia capovolta, quale simbolo della vita che si estingue.
Talvolta era rappresentato sotto la figura di un bambino nero con piedi torti o incrociati, quale simbolo dell'imbarazzo dei corpi che si trovano nella tomba. Nelle antiche sculture viene rappresentato anche con un viso dimagrito, gli occhi chiusi, coperto da un velo, e mentre tiene una falce in mano a simboleggiare la vita raccolta come il grano. Altri simboli sono farfalla in mano (ψυχή [psiche], che oltre a farfalla, può significare anche anima, vita) oppure con un fiore di papavero sonnifero, simbolo che condivideva col fratello Hypnos.
I Romani lo chiamavano anche Mors raffigurandolo come un Genio alato e silenzioso e gli alzarono anche degli altari.
Nell'Induismo Yama è la divinità preposta al controllo e al trapasso delle anime da un mondo all'altro. È figlio di Surya (dio del Sole) e di Saranyu, viene chiamato anche Dharma (Giustizia, poiché ha il compito di giudicare le destinazioni delle anime) e Kala (Tempo, Yama è identificato con il tempo poiché è quest'ultimo a decretare il momento della morte). La sua tradizionale iconografia è quella di un uomo che cavalca un bufalo nero, vestito di rosso con gli occhi di fuoco e la pelle verde.
Nel Buddhismo è rappresentato come un essere irato, dalla pelle di colore nero-blu, vestito di pelli animali e adorno di teschi e ossa. Nella rappresentazione iconografica del Saṃsāra Yama stringe a sé la ruota dell'esistenza. Nel buddhismo Vajrayana la morte viene considerata uno degli otto dharmapada, un difensore del Dharma. Sempre nel buddhismo Vajrayana esiste anche Yamantaka, il Distruttore della morte, che assume su di sé le sembianze di Yama, compreso il volto di bufalo tratto dal suo veicolo nell'iconografia induista, a significare il superamento di ogni dualità.
Nella Bibbia il quarto cavaliere dell'Apocalisse è rappresentato con l'inferno che lo segue. Nell'Antico Testamento il cosiddetto "Angelo del Signore" colpisce 185.000 nell'accampamento Assiro (II Re 19:35), nel libro dell'Esodo 12:23, il Signore "percuote" ogni primogenito d'Egitto ma non fa passare lo "sterminatore" nelle case in cui c'è un segno di sangue sulla porta. Sempre l'Angelo Sterminatore causa una pestilenza in Israele finché il Signore non gli ordina di "ritirare la mano" (II Sam 24:16; I Cronache 21:15). Re Davide vede l'Angelo della Morte descrivendolo "stava tra terra e cielo con la spada sguainata in mano, tesa verso Gerusalemme"(I Cronache 21:16). Nel suo libro, Giobbe usa il termine "distruttore" e in Proverbi si fa riferimento alla morte (Prov. 16:14). Di solito Azrael è riconosciuto come Angelo della Morte. Il "mĕmītǐm" è un tipo di angelo biblico associato con la mediazione oltre la vita dei morenti (Libro di Giobbe 33:22). Ci sono alcuni dibattiti religiosi tra gli studiosi per quanto riguarda l'esatta natura del memitim.
Secondo il Midrash, l'angelo della Morte fu creato da Dio nel primo giorno. Egli abita nei cieli e possiede dodici ali. È rappresentato come un essere ricoperto da occhi che tiene in mano una spada da cui gocciola fiele. Quando un uomo sta per morire, l'Angelo fa cadere una goccia di fiele in bocca all'uomo e questo ne causa la morte: l'uomo comincia a decomporsi e il suo viso diventa giallo. L'espressione "avere il gusto della morte" è derivata dalla credenza che la morte fosse causata da una goccia di fiele. Dopo la morte dell'uomo l'anima esce dalla bocca (o dalla gola) e la sua voce giunge fino alla fine del mondo.
Proprio per questo l'Angelo sta sulla testa del morente, per impedire all'anima di fuggire. Nella tradizione ebraica, l'angelo è rappresentato come un brutale macellaio che uccide tramite la sua goccia di fiele, usando la sua spada (o un coltello) o con un laccio (che simboleggia la morte per soffocamento). Infatti le pratiche di esecuzione capitale nella cultura ebraica venivano eseguite tramite la combustione (il versare un liquido incandescente nella gola del condannato—pratica che ricorda la goccia di fiele), la macellazione (o decapitazione) e il soffocamento. Inoltre l'Angelo possiede un mantello nero che gli permette di trasformarsi in tutto ciò che vuole per meglio assolvere il suo compito, di solito si trasforma in mendicante o studioso.
Secondo la tradizione ci sarebbero sei angeli della morte:
  • Gabriele, che prenderebbe le anime dei giovani,
  • Kapziel o Kafziel, che prenderebbe le anime dei re,
  • Mashbir o Meshabber, che prenderebbe le anime degli animali selvatici,
  • Mashhit, che prenderebbe le anime dei bambini,
  • Af, che prenderebbe le anime degli uomini,
  • Hemah, che prenderebbe le anime degli animali domestici.
L'angelo della Morte, a causa delle sue frequenti rappresentazioni di mostro vestito di nero o di impietoso ed iniquo omicida, è stato spesso associato al diavolo. Persino nella genesi quando Eva, durante il suo colloquio col serpente, associa la morte al peccato originale (Gen. 3:3).
Nel Nuovo Testamento la morte è citata solo qualche volta e affrontata con un atteggiamento notevolmente positivo. Basti pensare a Cristo che risorge dai morti, alle numerose allusioni della vittoria sulla morte e alla scomparsa di paura della morte. La morte, quindi, mantiene la sua accezione negativa (vedi Ap.6:8) ma assume il ruolo di vinta e non di vincitrice. Prima, infatti, la condizione umana sia buona che cattiva aveva conclusione nella morte, ora la morte è solo un "periodo transitorio", una sorta di lungo sonno. La morte non è eterna e da essa si può risuscitare.
Nella tradizione ci sono due Angeli della Morte: Michele, che è buono, e Samaele, che è malvagio.
Azrael, uno dei quattro Arcangeli principali nella teologia islamica, appare come la personificazione della Morte nella tradizione islamica.
Nella mitologia giapponese la morte è impersonata da Enma, anche conosciuto come Enma Ou e Enma Daiou. Enma comanda lo Yomi (gli Inferi), il che lo rende simile ad Ade, e decide se i morti devono andare in paradiso o all'inferno.
I testi religiosi, in particolare il Kojiki, parlano del Takama no Hara (Pianura degli Alti Cieli, paragonabile al concetto occidentale di paradiso) e dello Yomi no Kuni (o Terra di Yomo, paragonabile al concetto occidentale di inferno), una terra dei morti in cui regna un Re demoniaco, Enma, che ha il compito di giudicare i morti che sono condotti innanzi a lui. Tuttavia non è così facile giungere al suo cospetto, infatti per accedere alla vita ultraterrena, bisogna superare le varie prove della vita. Il rimpianto per il mancato conseguimento di una o più prove condanna l'anima dell'individuo ad un vagare senza meta sulla terra anche se è stato destinato al Takama no Hara.
Un culto più recente è quello degli shinigami, gli dei della morte.
Le antiche tribù slave vedevano la morte come una bellissima donna vestita di bianco che teneva in mano un ramoscello di sempreverde. Il tocco di questo ramoscello avrebbe significato la morte immediata di una persona. Questa iconografia è sopravvissuta fino al Medio Evo fino a quando non è stata sostituita dallo scheletro con la falce.
I lituani chiamarono la morte Giltinè dalla parola "gilti" (pungere). Giltinè è stata rappresentata come una vecchia donna vestita di blu con una lingua velenosa e mortale. La leggenda vuole che prima Giltinè fosse una bellissima giovane trasformata in un essere mostruoso quando fu chiusa in una bara per sette anni. La dea della Morte era la sorella della dea della Vita, Laima, che rappresenta inoltre il legame tra inizio e fine. Dopo i lituani adottarono come immagine della morte lo scheletro con la falce.

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