giovedì 8 ottobre 2020

Abaddon

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Il termine ebraico Abaddon (in ebraico: אֲבַדּוֹן, 'Ǎḇaddōn) è utilizzato nella Bibbia ebraica per indicare la distruzione o un luogo di rovina e distruzione ("l'Abisso"), mentre nel Nuovo Testamento, per la precisione nel Libro dell'Apocalisse, accoppiato con il suo equivalente greco Apollyon (Ἀπολλύων), è il nome di un angelo.

Etimologia dei termini

L'ebraico אֲבַדּוֹן ('ǎḇaddōn) è una forma intensiva del verbo אָבַד (abad, "perire", "distruggere"), che nella Bibbia ebraica si trova 174 volte, e significa "luogo di distruzione", "distruzione", "rovina"; nella Septuaginta, ǎḇaddōn è tradotto in greco come ἀπώλεια (apoleia).
Il termine greco usato nel libro dell'Apocalisse, Ἀπολλύων (Apollyon), deriva da ἀπόλλυμι (apollumi), "distruggere", quindi significa "il distruttore".

Fonti testuali

Bibbia ebraica

Nella Tanakh, il termine abaddon viene utilizzato sei volte, di cui quattro in accoppiata con un altro lemma ebraico, שאול (sheol, che indica il regno dei morti):
  • Nuda è la tomba (sheol) davanti a lui e senza velo è l'abisso (abaddon). (Gb26:6)
  • L'abisso (abaddon) e la morte dicono: «Con gli orecchi ne udimmo la fama». (Gb28:22)
  • quello è un fuoco che divora fino alla distruzione (abaddon) e avrebbe consumato tutto il mio raccolto. (Gb31:12)
  • La tua bontà sarà narrata nel sepolcro (sheol)? O la tua fedeltà nel luogo della distruzione (abaddon)? (Sl88:11)
  • Gl'inferi (sheol) e l'abisso (abaddon) sono davanti al Signore, tanto più i cuori dei figli dell'uomo. (Pr15:11)
  • Come gli inferi (sheol) e l'abisso (abaddon) non si saziano mai, così non si saziano mai gli occhi dell'uomo. (Pr27:20)

Nuovo Testamento

Nel Libro dell'Apocalisse Abaddon è trattato per la prima volta come individuo anziché come luogo:

«Il loro re era l'angelo dell'abisso il cui nome in ebraico è Abaddon e in greco Apollion.
Nuova Riveduta, oppure:
Il loro re era l'angelo dell'Abisso, che in ebraico si chiama Perdizione, in greco Sterminatore.
Bibbia CEI» (Apocalisse 9:1-11)


La Vulgata latina e la Bibbia di Douay–Rheims hanno una frase in più rispetto al testo greco, in Latin Exterminans ("in latino sterminatore").
Qui, Abaddon, di cui viene fornito anche il nome in greco, Apollyon, è descritto come "angelo dell'abisso" e re di un'armata di locuste infernali, le quali tormentano atrocemente per cinque mesi tutti coloro che non portano il "sigillo di Dio" sulla loro fronte.

Testi non biblici

Il nome "Abbadon" appare negli Inni di ringraziamento, che sono uno dei manoscritti non biblici di Qumran, in due diversi passaggi che citano "[...] da Sheol-Abaddon mi hai innalzato [...]" e "[...] i torrenti di Belial irrompono in Abaddon". In un apocrifo chiamato Apocalisse di Bartolomeo, invece, Abaddon è presente nella tomba di Gesù al momento della sua resurrezione.
Viene poi menzionato in un'omelia attribuita a Timoteo di Alessandria, chiamata Intronizzazione di Abbaton; qui, l'angelo è inizialmente chiamato "Muriel", e riceve da Dio il compito di raccogliere la terra con cui verrà plasmato Adamo; successivamente viene nominato "guardiano", e pregando Dio ottiene che qualunque uomo l'avesse venerato sarebbe stato salvato. Nel giorno del giudizio, inoltre, Abbadon avrebbe ricevuto il compito di raccogliere le anime nella Valle di Giosafat.
Infine, in alcune leggende della letteratura rabbinica, Abaddon è il nome di un luogo dell'inferno, visitato da Mosè, dove giacciono fra fuoco e neve coloro che hanno peccato di incesto, omicidio e idolatria, quelli che hanno maledetto i loro genitori e i loro insegnanti, e quelli che si sono considerati come dei.

Interpretazioni

Data la cripticità della citazione dell'Apocalisse, le interpretazioni sulla natura di Abaddon sono diverse.

Protestantesimo

Nell'ambito del protestantesimo, il nonconformista Matthew Henry riteneva che Abaddon fosse l'anticristo, mentre David Brown (della Chiesa Libera di Scozia) e Henry Halley (dei Discepoli di Cristo) lo identificavano con Satana.
All'opposto, la pubblicazione metodista The Interpreter's Bible affermò che: "Abaddon, tuttavia, è un angelo non di Satana ma di Dio, svolgendo il suo lavoro di distruzione agli ordini di Dio."

Testimoni di Geova

Secondo i testimoni di Geova Abaddon è un altro nome per Gesù Cristo risorto e asceso al cielo, poiché nell'Apocalisse l'angelo in possesso delle "chiavi dell'abisso" è descritto come emissario di Dio dai cieli, e getta e imprigiona Satana nell'abisso.

Mormonismo

Secondo i mormoni, "Abaddon" è uno dei titoli del demonio.

mercoledì 7 ottobre 2020

Yomi

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Yomi (黄泉) o Yomi no kuni (黄泉の国) è la parola giapponese per la terra dei morti (Mondo dell'Oscurità). Secondo la mitologia shintoista, come riferito nel Kojiki, è il luogo in cui vanno ad abitare i morti, apparentemente all'infinito. Una volta che si ha mangiato nel cuore di Yomi è impossibile uscirne e tornare nella terra dei vivi. Yomi è comparabile con l'Ade od all'Inferno e più comunemente conosciuto come il luogo in cui si ritirò Izanami dopo la sua morte. Izanagi la seguì ed al suo ritorno si lavò, e mentre si purificava nacquero Amaterasu, Susanoo, e Tsukuyomi.
Yomi ha una continuità geografica con il mondo dei vivi, e di certo non può essere immaginato come un paradiso a cui si aspira, né come opportunamente può essere descritto come un inferno in cui si soffrono punizioni per azioni passate; anzi, tutti i morti conducono un'esistenza cupa ed ombrosa indipendentemente dal comportamento nella loro vita passata. Molti studiosi ritengono che l'immagine di Yomi sia derivata da alcune antiche tombe giapponesi in cui i corpi erano lasciati per qualche tempo per la decomposizione.
I kanji che sono talvolta usati per scrivere Yomi in realtà si riferiscono al regno mitologico cinese dei morti chiamato [[Diyu (Huángquán]],黄泉, letteralmente "Primavera Gialla"), che appare nei testi cinesi già nell'VIII secolo a.C.. Si crede che questo oscuro e vagamente definito regno si trovi sottoterra, ma non fu così fino all'avvento della Dinastia Han, perché si sviluppò in Cina un'articolata concezione di un mondo inferiore ed uno celeste superiore. Secondo la mitologia giapponese, Yomi è generalmente definito dai commentatori come sotterraneo e parte della triade di luoghi indicati dal Kojiki: Takamagahara (高天原 lett. "alta pianura celeste", situata nel cielo), Ashihara-no-Nakatsukuni (葦原の中つ国 lett. "paese centrale delle canne da pianura", situato sulla Terra), e Yomo-tsu-kuni (黄泉国) o Yomi-no-Kuni (黄泉の国 lett. "terra di Yomi", situata sottoterra). Yomi è anche associato con il regno mitologico di Ne-no-Kuni (根の国 lett. "Terra della Radice/Terra dell'Origine"), anche conosciuto come Ne-no-Katasukuni (根の堅洲国 lett. "impresa/Terra d'origine del banco di pesci"); perciò alcuni studiosi credono che inizialmente quest'ultimo regno fosse stato concepito come sottomarino.
Yomi è governato da Izanami no Mikoto, la Yomotsu-Ōkami (黄泉大神 Grande Divinità di Yomi). Secondo il Kojiki, l'entrata di Yomi si troverebbe nella Provincia di Izumo e sarebbe stata definitivamente sigillata da Izanagi con un grande masso (Chibiki-no-Iwa 千引の岩) alla base del pendio che porta a Yomi (Yomotsu Hirasaka 黄泉平坂 o 黄泉比良坂). Al suo ritorno sull'Ashihara-no-Nakatsukuni, Izanagi notò che Yomi era una terra inquinata (kegareki kuni). Questa opinione riflette la tradizionale associazione scintoista tra la morte e l'inquinamento. Più tardi, anche la dea Susanoo riprese questa posizione.

Usi cristiani

Alcuni testi cristiani giapponesi usano 黄泉 per riferirsi a ciò che è chiamato Inferno in lingua italiana. Per esempio:
そこで見ていると、見よ、青白い馬が出てきた。そして、それに乗っている者の名は「死」と言い、それに黄泉が従っていた
Dall'Apocalisse Ed ecco, mi apparve un cavallo verdastro. Colui che lo cavalcava si chiamava Morte e gli veniva dietro l'Inferno.

martedì 6 ottobre 2020

Apopi






Apopi (anche Apofi; in greco antico: Ἄποφις, Apophis) è una divinità egizia appartenente alla religione dell'antico Egitto, incarnazione della tenebra, del male e del Caos (Isfet, Asfet nella lingua egizia) e antitesi della dea Maat, che rappresentava l'ordine e la verità. Veniva raffigurato come un gigantesco serpente. La prima menzione di Apopi risale alla VIII dinastia; venne particolarmente onorato nei nomi del faraone Apopi della XIV dinastia e del faraone hyksos Ipepi (o Apopi).

Ricostruzione e significato del nome

Il suo nome ˁ ꜣ pp è stato ricostruito dagli egittologi come *ʻAʼpāpī. Sopravvisse nella lingua copta, fase finale della lingua egizia, come Ⲁⲫⲱⲫ "Aphōph", mentre in greco venne traslitterato Ἄποφις.
L'etimologia del suo nome (ˁ ꜣ pp) è forse da ricercare in qualche lingua semitica occidentale, laddove la radice ꜣ pp, con il significato di "strisciare", esisteva. Una ipotetica radice verbale ꜣ pp non è mai esistita, o non è mai stata individuata, nella antica lingua egizia. Non deve essere confusa con il verbo egizio ꜥpı͗/ꜥpp, che significava "volare attraverso il cielo, viaggiare". Più tardi nella storia egizia il nome di Apopi fu erroneamente connesso, mediante una paretimologia, con una radice differente che significava "Colui che fu sputato fuori". I romani si riferivano ad Apopi mediante la traduzione del suo nome.

Ruolo

Apopi era l'oscuro nemico del dio-sole Ra, portatore della luce e garante di Maat (la quale impersonava l'ordine cosmico), a cui cercava ogni giorno di impedire di sorgere minacciandolo durante il suo viaggio attraverso il Duat, l'aldilà egizio, sulla barca solare della notte, Mesektet. Apopi era il più grande nemico di Ra; un suo epiteto era appunto "Nemico di Ra", oltre a "Signore del Caos". In quanto incarnazione di tutto ciò che è male, Apopi veniva immaginato come gigantesco serpente o un possente pitone con epiteti quali "Serpente del Nilo" e "Malvagia Lucertola"; talvolta era comparato anche a un ippopotamo, un orice, una tartaruga e perfino a figure umane come morti ribelli o nemici stranieri. Alcuni documenti lo volevano lungo quasi 15 metri e con la testa di selce.
Già su una ciotola risalente al periodo più antico della cultura egizia, chiamato Naqada I (4000 a.C.) è stato notato un grande serpente dipinto sul bordo, insieme ad altri animali del deserto e del fiume, quale possibile nemico di un dio (forse un dio solare) visibile, nella scena, mentre caccia su una grande imbarcazione.
Inoltre, nell'immaginario mitologico degli egizi, esistevano altri serpenti maligni nemici del dio-sole (esempi se ne trovano nei Testi delle piramidi e nei Testi dei sarcofagi) già prima che il nome di Apopi facesse la sua prima comparsa durante il Primo periodo intermedio.
Nella cosmogonia di Esna Apopi era visto come una creazione di Neith, che in questa cosmogonia svolgeva il ruolo di demiurgo.

Scontro con Ra

La storia della perpetua guerra che Apopi muoveva contro Ra fu elaborata durante il Nuovo Regno (ca. 1550 a.C. - 1069 a.C.). Il mito narra che Apopi doveva costantemente trovarsi al di sotto dell'orizzonte perciò era una creatura dell'oltretomba. In alcune versioni del racconto, il mostro attendeva Ra in una montagna occidentale chiamata Bakhu, dove il sole spariva oltre l'orizzonte; in altre narrazioni, gli tendeva un agguato appena prima dell'aurora nella "Decima Regione della Notte". La moltitudine di luoghi nei quali si riteneva che potesse trovarsi gli guadagnò l'epiteto di "Colui che cinge il mondo". Il suo verso faceva tremare l'oltretomba. Alcuni miti descrivevano come Apopi, originariamente capo degli dei, spodestato da Ra, fu relegato nel mondo dei morti, oppure di come vi fu relegato a causa della sua natura malvagia.
I Testi dei sarcofagi raccontano che Apopi si serviva del suo sguardo magico per sopraffare Ra e il suo seguito divino. Ra era assistito da una folta schiera di protettori che viaggiavano con lui attraverso le insidie dell'oltretomba, fra i quali Seth, Sia, Hu, Heka, Bastet, Sekhmet e forse lo stesso Occhio di Ra. I movimenti di Ra causavano i terremoti, e lo scontro che ingaggiava con Seth originava i tuoni. In alcuni racconti, lo stesso Ra, nelle sembianze del Grande gatto eliopolitano, lo uccideva.
Derivante dal Caos primordiale, Apopi poteva essere combattuto e reso innocuo, per un certo tempo, ma non poteva essere distrutto rappresentando, nel continuo conflitto con Ra, lo scontro ancestrale tra bene e male. Anche nel Libro dei morti lo scontro tra Apopi e Ra si ripeteva e in questo caso era necessario l'intervento del benevolo dio-serpente Mehen e di Iside per garantire il proseguimento del viaggio del sole nel Duat. Secondo la mitologia, dopo essere stato domato dalle forze del bene, veniva incatenato e trafitto coi coltelli; il sangue che sgorgava dalle sue ferite tingeva i cieli mattutini e serotini di rosso.

Culto

Mentre Ra veniva venerato, Apopi era oggetto di una sorta di contro-venerazione: gli egizi pregavano cioè per la sconfitta di Apopi. La vittoria di Ra, al termine di ogni notte, era assicurata dalle preghiere dei sacerdoti e dei devoti nei templi. Nel Grande tempio di Amon a Karnak i sacerdoti svolgevano un particolare rituale, ripetuto varie volte al giorno, per aiutare il dio-sole a resistere agli attacchi di Apopi e continuare così il ciclo del sole in cielo e della vita sulla terra. In un rito annuale, detto "della Messa al Bando del Caos", i sacerdoti costruivano una effigie di Apopi che si riteneva contenesse tutto il male e le tenebre dell'Egitto, per poi bruciarla e assicurare l'ordine in Egitto per un altro anno, in maniera non dissimile dai falò di inizio anno dell'Italia settentrionale, dalle Fiestas de Santa Fe e dalle pratiche di altre culture. Pare che sull'immagine del serpente destinata al rogo fossero talvolta scritti i nomi dei nemici del Paese.
Nel corso dei secoli, il clero redasse una vera e propria "guida" per contrastare Apopi, intitolata "Libro dell'abbattere Apopi" o "Rituale per abbattere Apopi" (in greco: "Libro di Apopi"), i cui capitoli, che descrivevano il graduale smembramento e smaltimento dei resti del mostro, titolavano, per esempio: "Capitolo dello sputare su Apopi", "Capitolo del cancellare Apopi col piede sinistro", "Capitolo dell'afferrare la lancia per percuotere Apopi", "Capitolo dell'incatenare Apopi", "Capitolo dell'afferrare il coltello per colpire Apopi", "Capitolo dell'incendiare Apopi". Tali rituali assumevano spesso le caratteristiche di un esorcismo.
Siccome si riteneva che Apopi vivesse nell'oltretomba, veniva talvolta chiamato "Divoratore di anime". Perciò anche i morti necessitavano di protezione; ciò è all'origine della pratica di seppellire i morti con formule magiche per debellare Apopi. Raramente il Libro dei morti menziona il momento in cui Ra sconfigge il serpente Apopi: solo per formule 7 e 39 possono essere intese in tal senso.

lunedì 5 ottobre 2020

Uomo mellificato

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L'uomo mellificato è una sostanza medicinale leggendaria creata immergendo un cadavere umano nel miele.
L'intruglio è descritto in alcune fonti mediche cinesi, quali il Bencao Gangmu del medico e farmacologo Li Shizhen, vissuto nel sedicesimo secolo. Secondo tale trattato dopo essersi nutrito esclusivamente di miele per alcune settimane il donatore deceduto veniva posto in una bara di pietra riempita anch'essa della dolce sostanza. Dopo un secolo di attesa la bara veniva aperta e il contenuto utilizzato come rimedio capace di guarire pressoché ogni malattia e di curare le ossa rotte.

Storia

La pratica di conservare i corpi dei defunti nel miele ha avuto come antecedenti gli assiri che, come riporta lo storico greco Erodoto, erano soliti imbalsamare i loro morti usando il miele, una tecnica anche adottata dagli antichi egizi. Più tardi, nel IV secolo a.C., il corpo di Alessandro Magno venne rinchiuso in un sarcofago pieno di miele. Tuttavia, l'esistenza di un farmaco prodotto da uomini mummificati nel miele è stata descritta molti anni dopo dal farmacologo cinese del sedicesimo secolo Li Shizen. Sebbene lo stesso Shizen non sia certo che l'esistenza degli uomini mellificati sia vera, egli ha descritto l'usanza dettagliatamente nel suo Bencao Gangmu (1578), il più grande trattato farmacologico della medicina cinese, in cui spiega di esserne venuto a conoscenza dagli scritti dell'erudito cinese Tao Jiucheng (conosciuto anche come Tao Zongyi) vissuto verso la metà del quattordicesimo secolo:
«Secondo [Tao Jiucheng] nel suo [Chuogenglu], nelle terre degli arabi ci sono uomini di 70 o 80 anni che sono disposti a dare il proprio corpo per salvare gli altri. (Il volontario) non prende più né cibo né bevande, fa il bagno e mangia un poco di miele, finché dopo un mese i suoi escrementi non sono altro che miele; poi segue la morte. I suoi compatrioti mettono il corpo a macerare in una bara di pietra piena di miele, con un'iscrizione che dà l'anno e il mese della sepoltura. Dopo un centinaio di anni i sigilli vengono rimossi e la confezione così formata è usata per il trattamento di ferite e fratture del corpo e degli arti - solo una piccola quantità presa internamente è necessaria per la cura. Anche se è scarso da quelle parti, la gente comune lo chiama "uomo mellificato", o, nel loro linguaggio straniero, "mu-nai-i". Non sono certo se la storia sia vera o meno. In ogni caso la cito in modo che possa essere presa in considerazione dagli eruditi.»
Il miele, assunto come alimento esclusivo e dalle proprietà lassative, causava eccessiva perdita di peso e quindi la morte del volontario; il suo corpo veniva quindi ricoperto di miele che, povero d'acqua e ricco di sostanze antibiotiche, ne impediva la putrefazione. Quando la bara veniva aperta il cadavere era ormai completamente macerato; la sostanza rimasta veniva quindi donata ai discendenti del defunto oppure raccolta in barattoli e venduta ad altissimi prezzi.
Secondo gli storici della scienza cinese Joseph Needham e Lu Gwei-djen, nonostante Li Shizen parli della pratica dell'uomo mellificato come originaria dell'Arabia è possibile che in realtà la sua origine ricada nella pratica birmana di preservare i corpi di abati e monaci nel miele, così che "la nozione occidentale di un farmaco ricavato dalla perdurabile carne umana fosse combinato con il caratteristico motivo buddista del sacrificio di sé per gli altri". Mary Roach ha invece affermato che l'uso medicinale delle mummie e la vendita di falsi è documentato nei libri di chimica risalenti al sedicesimo e diciottesimo secolo in Europa, ma raramente tali mummie erano conservate nel miele e in nessun luogo al di fuori dell'Arabia i cadaveri usati per le mummie erano di volontari.


domenica 4 ottobre 2020

Tappeto volante

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Il tappeto volante è un motivo popolarissimo in letteratura. Si tratta di un immaginario mezzo di trasporto usato per trasportare rapidamente o istantaneamente persone in luoghi lontani.
Spesso viene associato a Le mille e una notte: effettivamente, alcune novelle fanno uso di questa immagine; tuttavia, temi del genere non venivano affatto menzionati nel primo manoscritto, quello che comprendeva le prime 282 notti. Al contrario di quel che si crede, in questa raccolta il motivo è relativamente raro: lo si incontra in diverse versioni non originali di Aladino e la lampada magica.
Il soggetto, oltre a comparire nella mitologia persiana ed araba, si ritrova anche nel folklore russo (avventure di Baba Jaga). Apprezzata nella letteratura ottocentesca, l'immagine del tappeto volante fu poi ripresa anche per la stesura di una nota avventura del fumetto Asterix: Le mille e un'ora di Asterix.
È inoltre uno dei personaggi principali della trilogia Disney dedicata ad Aladdin e dell'omonima serie animata.

venerdì 2 ottobre 2020

Bestia di Bray Road

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La Bestia di Bray Road è una creatura antropomorfa avvistata nella strada di campagna conosciuta come Bray Road già a partire dal 1936, anno del primo riscontro. Avvistamenti di tale creatura hanno avuto luogo ad Elkhorn, a Walworth, nel Wisconsin in generale e nel nord dell'Illinois.

Descrizione

La misteriosa creatura è stata descritta come un primate bipede molto simile al Sasquatch, altresì è stata descritta come essere un lupo mannaro.
Le descrizioni sono molto discordanti tra loro, si concorda solamente sulla stazione eretta della creatura e la folta peluria avvolgente tutto il corpo.

Teorie sull'identità

Todd Roll, un parapsicologo, ha espresso il proprio parere al riguardo, correlando gli avvistamenti di questo criptide con le MAM, con i licantropi e con le presunte attività sataniche presenti nella contea di Walworth. Sinora sono state proposte molte interpretazioni razionali circa la reale identità della bestia; ecco le principali:
  • cane selvaggio non classificato;
  • Animale della mitologia pellirossa, chiamato Shunka Warakin;
  • specie sopravvissuta del Walheela (lupo preistorico simile all'Amarok).
Le teorie più fantastiche classificano la bestia più semplicemente come licantropo, altre persone si affidano al folklore statunitense natio dei pionieri. Gli scettici considerano questi avvistamenti come semplice psicosi collettiva, ciò si spiegherebbe dal numero sempre maggiore di avvistamenti dopo il primo avvenuto.

Nella cultura di massa

  • La notorietà acquisita da tale mostro ha fatto sì che apparisse in alcuni documentari su satellite, come Mystery Hunters su Discovery Kids.
  • Sono stati pubblicati vari articoli circa la vera identità del mostro sul noto giornale Weekly World News.
  • Nel 2005 il regista Leigh Scott ha diretto e prodotto un film di serie B basato sulle vicende della Bray Road Beast, intitolato The Beast of Bray Road.

giovedì 1 ottobre 2020

Kitež

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Kitež (in russo: Китеж) è una città leggendaria localizzata sulle rive del lago Svetlojar, nell'Oblast' di Nižnij Novgorod, in Russia. Il suo mito fu menzionato per la prima volta nella cosiddetta "Cronaca di Kitež", un documento anonimo del tardo XVIII secolo che si ritiene originato nell'ambiente dei Vecchi credenti.

Leggenda

Secondo la leggenda il gran principe Jurij II fondò la città di Malyj Kitež (Piccola Kitež) sulle rive del fiume Volga (l'odierna Krasnyj Cholm). In passato tale città fu erroneamente identificata in Gorodec, fondata in realtà ben trent'anni prima della nascita del principe Jurij II nel 1189. Successivamente costui attraversò i fiumi Uzola, Sanda e Kerženec e trovò un bellissimo luogo ubicato sulle rive del lago Svetlojar, dove decise di costruire la città di Bol'šoj Kitež (Grande Kitež). In base agli studi di paretimologia il nome della città deriverebbe dalla residenza reale di Kidekša (vicino Suzdal'), saccheggiata dai mongoli nel 1237. Mentre invece il linguista Max Vasmer attribuì al nome un'etimologia "oscura".
Dopo aver assoggettato alcuni territori russi il capo mongolo Batu Khan sentì parlare di Kitež e decise di dirigersi verso di essa. I mongoli innanzitutto presero il controllo della Piccola Kitež, costringendo Jurij e i suoi uomini a ritirarsi nei boschi siti nei pressi della Grande Kitež. A quel punto, un prigioniero avrebbe rivelato ai mongoli un sentiero segreto capace di condurre al lago Svetlojar. Fu così che le armate asiatiche giunsero al cospetto delle mura della città e scoprirono con sorpresa che essa non era dotata di fortificazioni. In aggiunta a ciò, notarono che gli abitanti della città non intendevano difendersi con le armi, ma che erano al contrario impegnati a pregare con fervore, chiedendo a Dio la propria redenzione. Quando i mongoli avanzarono per attaccare la città si accorsero che essa stava per essere sommersa dalle acque del lago. L'ultima cosa che videro inabissarsi fu la lucente cupola della cattedrale sormontata dalla croce.
Questa leggenda ha dato vita a numerose credenze sopravvissute nonostante il passare dei secoli. È diffusa l'idea che solo i puri di cuore possano trovare la strada per Kitež e, ironicamente, il percorso che conduce al lago è tuttora chiamato "sentiero di Batu" (Батыева тропа). Un'altra credenza vuole che nei momenti di tempo sereno sia possibile sentire canti e suoni di campane provenienti dal fondo del lago. Inoltre, alle persone più pie sarebbe possibile vedere le luci delle processioni religiose (chiamate "крестный ход") e addirittura gli edifici della città. Per tutti questi motivi il lago Svetlojar viene talvolta chiamato "Atlantide russa".



 
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