Il termine animismo è usato in
antropologia per classificare le religioni o le pratiche di culto
nelle quali vengono attribuite qualità divine o soprannaturali ad
oggetti, luoghi o esseri materiali.
Queste religioni non considerano le
divinità come esseri puramente trascendenti, bensì attribuiscono
proprietà spirituali a determinate realtà fisiche.
Questo tipo di credenze è così
chiamato perché si basa su un certo grado di identificazione tra
principio spirituale divino (anima) e aspetto materiale di esseri ed
entità (quali anche demoni o altre presenze).
La posizione filosofica corrispondente
all'animismo viene di solito chiamata panpsichismo.
Cenni storici
Il termine animismo, per quanto
riferibile a concezioni e credenze molto antiche, è stato coniato
solo in tempi più recenti.
L'ipotesi scientifica del chimico Georg Ernst Stahl
Esso fu usato per la prima volta nel
1720 in ambito medico, dal chimico e biologo Georg Ernst Stahl per
definire una teoria secondo la quale l'anima svolgeva una funzione
diretta nel controllo di ogni funzione corporea, in particolare come
meccanismo di difesa nei confronti degli agenti patogeni. Si trattava
di una teoria rivelatasi scientificamente di scarso successo, ma
simmetrica a livello concettuale alla teoria del flogisto, formulata
sempre da Stahl in ambito chimico, che teorizzava la presenza in ogni
tipo di materiale di un ineffabile componente (il flogisto) che
sarebbe stato liberato durante la combustione giustificando gli
effetti di quest'ultima.
Animismo religioso: la definizione antropologica di E. Tylor
Successivamente, nel 1871,
l'espressione animismo è stata utilizzata dall'antropologo
inglese Edward Tylor per definire una forma primordiale di
religiosità basata sull'attribuzione di un principio incorporeo e
vitale (anima) a fenomeni naturali, esseri viventi e oggetti
inanimati, in special modo per tutto ciò che incide direttamente con
la vita di queste popolazioni ed è essenziale per la loro
sopravvivenza: i prodotti alimentari e la loro caccia e raccolta, i
materiali per costruire utensili, monili e ripari, i fenomeni
atmosferici, la morfologia stessa del territorio. Tutto ciò viene
riconosciuto come animato e progressivamente associato a forme
di venerazione, spesso direttamente funzionali alla buona riuscita
delle azioni quotidiane per vivere.
Questo culto dell'anima,
semplice, spontaneo, irrazionale, basato sulle esperienze comuni e
quotidiane, sarebbe stato alla base, secondo Tylor, di
un'"evoluzione" del pensiero religioso che avrebbe
condotto, di pari passo con la civilizzazione, a religioni sempre più
strutturate, con pratiche sociali ben definite, fino a svilupparsi
attorno alla figura di un essere creatore.
Altri approcci
Il senso del termine animismo
così come definito da Tylor è quello oggi di uso più comune per
descrivere le caratteristiche di questo tipo di religiosità, per
quanto la spiegazione da lui fornita dell'animismo come religione
primitiva e "immatura", con le sue analogie con lo sviluppo
cognitivo del bambino, sia stata, invece, ampiamente criticata e
superata in antropologia.
In particolare, della teoria di Tylor
viene contestato l'etnocentrismo insito nell'assunto che i temi
mitologici alla base delle religioni animistiche, in quanto frutto di
una concezione superstiziosa e primitiva della natura, potessero
svilupparsi indipendentemente in varie parti del mondo per
progredire, altrettanto indipendentemente, verso un'elaborazione più
complessa, più "elevata" dei valori religiosi.
Si trattava di un approccio psicologico simile a quello utilizzato dall'antropologo James Frazer, con la pubblicazione nel 1890 de Il ramo d'oro, per indagare il ruolo sociale ricoperto dalla magia nelle società umane più antiche.
Si trattava di un approccio psicologico simile a quello utilizzato dall'antropologo James Frazer, con la pubblicazione nel 1890 de Il ramo d'oro, per indagare il ruolo sociale ricoperto dalla magia nelle società umane più antiche.
Un primo approccio alternativo a quello
di Tylor allo studio delle culture primitive viene proposto nel 1903
da Leo Frobenius con il concetto di kulturkreislehre («teoria
dell'area culturale») basata sull'ipotesi che i temi mitologici
delle civiltà più antiche non si siano sviluppati in modo
indipendente, ma si siano diffusi, invece, progressivamente in
Mesopotamia e India a partire da un nucleo primitivo africano,
successivamente nelle isole del Pacifico, e da lì nell'America
Centrale e equatoriale.
Animismo e psicoanalisi
Studi sull'animismo sono presenti anche
nella letteratura psicoanalitica. All'interno di Totem e tabù
di Sigmund Freud, l'animismo viene considerato una fase primitiva
dello sviluppo sociale. Una recente e originale chiave di lettura
ispirata alla tradizione junghiana afferma invece che l'animismo,
lungi dall'essere l'ingenuo prodotto di un pensiero pre-logico come
sosteneva l'antropologo Lévy-Bruhl, nasce piuttosto da una
psicologia tutta incentrata sugli aspetti soggettivi della psiche
(sensazione e intuizione). Da tale concezione si sarebbe creato un
sistema culturale basato sulla proiezione dell'inconscio sulla
Natura, ad esempio su luoghi sacri, o identificandosi con lo spirito
degli animali totemici, recuperando così competenze ancestrali; ci
si confronta con l'anima di defunti o di nemici per affrontare e
superare i propri conflitti interni.
Muovendo da un'elaborazione originale
del pensiero junghiano, lo psicoanalista Antoine Fratini nota invece
come tutti i grandi simboli universali dell'inconscio presentino dei
chiari riferimenti al mondo naturale: la montagna, il fiume, la
grotta, il serpente, la foresta, il mare, la pietra, l'albero,
l'animale. Tali riferimenti testimonierebbero l'esistenza di un
inconscio animistico, riflesso dell'animismo originario nella psiche
individuale, per cui l'inconscio sarebbe legato alla Natura non solo
per via proiettiva, ma anche per via simbolica. Per questo motivo
risulterebbe errato e dannoso alla salute psichica operare una
scissione con il mondo naturale, il quale funge da sempre da
contenitore adeguato di quelle parti dell'inconscio meno integrabili.
La Natura sarebbe quindi da concepire come una sorta di appendice
esterna della psiche, distruggendo o desacralizzando la quale si
finirebbe per incidere negativamente sulla vita dell'anima.
Il dibattito tra animismo e meccanicismo
Particolare rilevanza ha assunto anche
il dibattito tra animisti e meccanicisti, riguardante la seguente
questione: gli organismi viventi sono delle macchine perfezionate, o
il risultato miracoloso di un principio spirituale? È la materia o
l'anima a produrre la vita? Nell'Ottocento, con l'avanzare del
positivismo, la domanda sembrava risolta dalla scienza in favore
della tesi meccanica, sulla base del fatto che l'animismo, per
spiegare la vita, faceva ricorso ad un principio autonomo, appunto
l'anima, che non poteva essere oggettivamente studiato, e risultava
quindi oscuro, non definibile, e scientificamente retrogrado. Poiché
inoltre escludeva la possibilità di una dialettica materialista,
appariva persino reazionario (specie negli ambienti marxisti).
Dietro la contrapposizione tra
meccanicismo e animismo si celava sostanzialmente l'antitesi tra
determinismo e finalismo: il primo ipotizzava che il mondo fosse
soggetto a leggi causali senza un fine né un progetto; il secondo
affermava invece che gli organi viventi sono talmente perfetti che
non possono essere frutto del caso. Più recentemente, tuttavia,
l'anima ha assunto altre connotazioni che le consentono di sfuggire
alle obiezioni del meccanicismo: oggi, infatti, la fisica ammette una
quota di casualità nei fenomeni naturali (principio di
indeterminazione di Heisenberg), e la biologia, d'altro canto,
riconosce che il finalismo vitalistico è tutt'altro che perfetto,
essendo la vita soggetta a morte, malattie, e mostruosità. Così
l'animismo non rifiuta più la ricerca sperimentale, ma ne riconosce
i limiti nel comprendere la natura della vita, che non è riducibile
a semplici fenomeni fisico-chimici.
Mentre infatti nell'organismo c'è un
processo di auto-costruzione e auto-mantenimento, la macchina viene
costruita dall'esterno. La macchina, inoltre, è costruita dall'uomo
in vista di un fine, quindi non manca di finalismo, anzi, ha una
finalità ben definita e rigida. Nell'organismo animato, invece, le
funzioni sono in parte sostituibili l'una con l'altra poiché gli
organi sono polivalenti: essi cioè hanno meno finalità e più
potenzialità.
Ancora, la macchina è il prodotto di
un calcolo a cui soggiace in maniera univoca, mentre l'organismo
opera secondo criteri empirici, nel senso che la vita è esperienza,
improvvisazione, tentativo in tutte le direzioni. Da ciò derivano le
mostruosità che la vita comporta, trovandosi in un equilibrio
precario e continuamente da ristabilire.
In definitiva, la concezione meccanica
dell'organismo non sarebbe che un residuo antropomorfico, che cerca
di spiegare la formazione della vita assimilandola al procedimento
usato dall'uomo per fabbricare una macchina. Una concezione,
affiorata la prima volta in Cartesio, che considera Dio alla stregua
di un fabbro intento a costruire macchine perfette e rispondenti a
degli scopi prefissati. E così l'accusa di finalismo, abitualmente
rivolta all'animismo, viene da quest'ultimo ribaltata: la metafisica
antropomorfa è alla base del meccanicismo, non del vitalismo.
I risvolti filosofici
«Tutte le cose sono piene
di dei.»
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(Talete) |
Concezioni dell'animismo radicalmente
anti-deterministe risulta peraltro che fossero presenti sin
dall'antichità, in particolare nell'antica Grecia, contrapponendosi
già da allora alle prime forme embrionali del meccanicismo. Così in
Platone, e poi successivamente nel neoplatonismo, l'anima era
considerata il principio vitale, non componibile, che sta alla base
del composto, in opposizione alle teorie atomiste di Democrito,
secondo il quale invece gli esseri viventi erano un semplice
aggregato di atomi.
Per i platonici l'anima è sempre stata
vista come il principio più semplice che si possa concepire, l'unità
che si articola nella molteplicità. Mentre il composto può nascere
(quando si abbia aggregazione) e morire (quando viene scomposto),
l'anima è indistruttibile essendo in-composta, cioè qualcosa
di straordinariamente semplice. Il finalismo del mondo, inteso come
progettualità calata dall'alto, viene rigettato perché l'Uno, da
cui ogni essere proviene, genera in maniera non intenzionale né
voluta, bensì inconsapevolmente. Ne deriva che la natura è tutta
pervasa da una comune Anima del mondo (concetto di derivazione anche
orientale).
La critica della progettualità
meccanicista in natura sarà un tratto comune anche al Kant della
Critica del Giudizio, che parlerà piuttosto di «finalità
interna» in maniera simile al concetto aristotelico di entelechia,
contestando invece l'idea di un obiettivo predisposto in qualche modo
dall'esterno.
Esponente dell'animismo neoplatonico
nel Novecento sarà infine Bergson, secondo il quale la vita non
segue binari rigidi e prefissati, ma nasce da infinite potenzialità:
alcune si bloccano, altre invece proseguono. L'evoluzione della
natura è creatrice, perché deriva da uno slancio vitale
inesauribile, privo di scopi deterministici.
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