L'autoflagellazione è una
pratica auto-punitiva cruenta consistente nel colpire ripetutamente
il proprio corpo con uno strumento chiamato flagello, allo scopo di
provare dolore, presente in alcuni rituali ascetici o in pratiche
sessuali masochistiche.
Il termine deriva dal greco autos
(di se stesso) e dal latino flagellare (colpire con violenza).
Era di fatto comune, nel corso del
Medioevo, tra le persone facenti parte del clero o tra i fedeli,
infliggersi dolore per rafforzare lo spirito e la vita interiore.
Nel corso del XIII secolo,
l'autoflagellazione collettiva compiuta dalle confraternite dei
Disciplinati era chiamata Devozione.
In Italia a livello di tradizione
risulta ancora praticata in ambiti limitati, legati prevalentemente a
confraternite i cui membri, in occasione di particolari festività
religiose, sfilano in processione flagellandosi. Nell'islam shiita vi
sono manifestazioni in cui i fedeli si praticano tagli di machete
(alla testa o al corpo) per ricordare il martirio di Ali ibn Abi
Talib.
A livello personale e privato venne
praticata ai suoi tempi da Ignazio di Loyola, poi da Josemaria
Escrivà e tuttora dagli affiliati all'Opus Dei.
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