L'immortalità (o vita
eterna) è il concetto di sopravvivere in eterno o per un periodo
di tempo indeterminato, senza affrontare la morte o superando la
morte stessa.
L'immortalità può essere intesa in
due accezioni principali, fisica e spirituale. L'immortalità fisica
è concepita generalmente come l'esistenza senza fine della mente a
partire da una sorgente fisica, come un cervello o un computer.
L'immortalità spirituale è concepita in genere come l'esistenza
senza termine di un individuo dopo la morte fisica in qualità di
anima.
Religione
Con la parola "immortalità"
si indica una trasformazione o un passaggio che avviene dopo la morte
a un'altra forma di esistenza, nella quale la vita non è
completamente spenta e mantiene dei riferimenti alla persona reale,
che però continua a vivere. L'immortalità si può riconoscere come
una concezione regolarmente presente nelle religioni, e in generale
nelle culture antiche. Spesso è intesa come prosecuzione della vita
terrena nelle religioni primitive, in forme più o meno mutate, e si
accompagna a una distinzione nella sorte dei defunti. Alla base di
tale distinzione può esserci la posizione goduta durante la vita
terrena e le funzioni sociali esercitate, il compimento di pozioni
magiche, culturali, rituali, il modo e la causa di morte o il
comportamento etico.
Il concetto di immortalità fisica più
che puramente spirituale viene affermato soprattutto nelle antiche
culture orientali. Esempi ne sono le credenze induista e buddista
della trasmigrazione ciclica delle anime, il culto degli antenati o
geni del Giappone, e le religioni presenti in Mesopotamia e
soprattutto in Egitto, dove veniva celebrata mediante il rito funebre
osiriano, eseguito sui cadaveri.
Secondo la Bibbia
La Bibbia, nell'Antico Testamento,
parla dello Sceòl, parola Ebraica , in termini molto chiari dandoci
indicazioni riguardo alla condizione dell'uomo alla morte In
Ecclesiaste o Qoelet capitolo 9 versi da 5 a 10, 5 Poiché i viventi
sono consci che moriranno; ma in quanto ai morti, non sono consci di
nulla, né hanno più alcun salario, perché il ricordo d'essi è
stato dimenticato. 6 Inoltre, il loro amore e il loro odio e la loro
gelosia son già periti, ed essi non hanno più alcuna porzione a
tempo indefinito in nessuna cosa che si deve fare sotto il sole. 7
Va, mangia il tuo cibo con allegrezza e bevi il tuo vino con buon
cuore, perché già il [vero] Dio si è compiaciuto delle tue opere.
8 In ogni occasione le tue vesti siano bianche, e non manchi l'olio
sulla tua testa. 9 Vedi la vita con la moglie che ami tutti i giorni
della tua vita vana che Egli ti ha dato sotto il sole, tutti i giorni
della tua vanità, poiché questa è la tua porzione nella vita e nel
tuo duro lavoro con cui lavori duramente sotto il sole. 10 Tutto ciò
che la tua mano trova da fare, fallo con la tua medesima potenza,
poiché non c'è lavoro né disegno né conoscenza né sapienza nello
Sceol, il luogo al quale vai.
Lo Sceòl nell'antico testamento è la
fine della vita. A questo proposito l'Encyclopædia Britannica (1971,
vol. 11, p. 276) osserva: “Lo Sceol era situato in qualche
posto ‘sotto' terra... La condizione dei morti non era né di
dolore né di piacere. Né allo Sceol veniva associata l'idea di un
premio per i giusti o di una punizione per i malvagi. Buoni e
cattivi, tiranni e santi, re e orfani, israeliti e gentili, tutti
dormivano insieme senza rendersene conto”.
Nelle Scritture Bibliche ispirate lo
Sceol è sempre posto in relazione con la morte, mai con la vita.
Vedi 1Samuele cap. 2 ver.6; 2Samuele cap. 22vers.6; Salmo 18,4-5;
Salmo 49 vers.7-10, 14, 15;Salmo 88 vers. 2-6;Salmo 89 vers.48; Isaia
cap.28vers.15-18.
Lo stesso concetto viene tradotto in
Greco con la parola Ades. La Settanta, traduzione greca delle
Scritture Ebraiche (da Genesi a Malachia), usa 73 volte il termine
“Ades”, 60 volte per tradurre il termine ebraico she'òhl, reso
comunemente “Sceol”. Lo stesso termine viene usato negli Atti
degli apostoli per parlare della condizione di Cristo, dalla quale fu
risuscitato.
Secondo un'ulteriore interpretazione
della concezione biblica, "l'essere umano, per propria natura,
ha una relazione con Dio. Tale relazione con Dio è addirittura in
grado di superare la morte. L'Antico Testamento non conosce la
dottrina greca dell'immortalità dell'anima. Negli scritti
sapienziali troviamo la fede che l'anima del giusto è nelle mani di
Dio anche al di là della morte. L'antico Testamento, quindi, approda
a una concezione simile a quella dei greci sull'immortalità
dell'essere umano che però non sta nella sua natura, bensì nella
fedeltà di Dio".
Ferma restando la terminologia
adoperata nelle Scritture, che fa riferimento a un'inconfutabile
distinzione concettuale tra il corpo e lo spirito, anche secondo la
Jewish Encyclopedia, «la credenza che l'anima continui a
esistere dopo la dissoluzione del corpo è argomento di speculazione
filosofica e teologica e di conseguenza non è espressamente
insegnata in alcun punto della Sacra Scrittura».
Lo stesso papa Benedetto XVI ha tenuto
a precisare che il cristianesimo delle origini si concentrò, almeno
nei primi tempi, sul concetto di resurrezione della carne più che su
quello di «immortalità» dell'anima; quest'ultima sarebbe divenuta
materia di riflessione soltanto dei teologi successivi: «Per la
Chiesa antica è significativo che non esisteva alcuna affermazione
dottrinale circa l'immortalità dell'anima».
Il problema dello Stato Intermedio
Il problema dello "stato
intermedio" tra la morte e la resurrezione finale che ne
risulta, ha condotto il cristianesimo ad approfondire nelle Scritture
la propria escatologia. L'uomo dopo la morte continua a esistere,
anche se è in una condizione di incompletezza, si trova già in una
situazione di gioia o di dolore, questa vita tende comunque alla
reintegrazione al corpo nella risurrezione finale, con la conseguente
beatitudine o dannazione eterna.
Invece secondo la dottrina
dell'immortalità condizionale dell'anima, professata da avventisti e
altri gruppi, le Scritture insegnerebbero l'annichilimento definitivo
della coscienza al termine della morte del corpo; essa smetterebbe di
esistere, proprio come avviene agli animali irrazionali.
I teologi contemporanei danno diverse
spiegazioni al problema dello stato intermedio: per O. Cullmann si
tratta di un periodo di sonno, in cui gli addormentati aspettano la
resurrezione finale (Psicopannichismo); per Karl Rahner l'anima
separata si trova in un periodo di crescita e si prepara per la
comunione con l'intero cosmo che avverrà quando si riunirà al
corpo; per L. Boros la resurrezione della carne avviene nell'istante
stesso della morte, ma si completa solo con l'avvento del nuovo
mondo, capace di ospitare un corpo risorto.
Nell'Islam la sopravvivenza è una
verità di fede per quanto riguarda la resurrezione finale, mentre
sono varie le opinioni sullo stato intermedio prima del giudizio: in
ogni caso si afferma che i defunti vengono sottoposti a un
interrogatorio nel sepolcro.
Filosofia
In filosofia con il termine immortalità
si intende la condizione di un essere non sottoposto a corruzione e
quindi a sopravvivere per sempre. Il concetto di immortalità inteso
come proprietà del vivere per sempre implica la nascita da un essere
e pertanto si distingue dal concetto di eternità che esclude da ogni
termine di tempo. I concetti di immortalità e eternità vengono
spesso confusi, sia perché si intende questa come semplice durata
indefinita, sia perché si considera come una vera e propria
extratemporalità. La confusione viene giustificata se si pensa che
l'immortalità deve escludere ogni idea di fine e deve perciò
entrare nell'eternità. Si dovrà quindi chiamare eternità
l'assoluta extratemporalità di un essere esistente ab aeterno;
immortale, un essere che, pur avendo avuto origine nel tempo, è
destinato a superare i limiti della temporalità. Durante tutta la
storia umana molti hanno sperimentato ed espresso il desiderio di
vivere per sempre. Che forma avesse una vita umana senza fine o
indefinitamente lunga, o se fosse veramente possibile, è stato
l'argomento, per secoli, di una grande quantità di speculazioni,
dibattiti e opere d'immaginazione.
Scienza medica
I ricercatori più ottimisti ritengono
che l'"immortalità fisica" sarà raggiunta entro i
prossimi 50 anni, e che già entro i prossimi 20 saranno disponibili
farmaci capaci di rallentare sensibilmente il processo di
invecchiamento. Arrestare e invertire l'invecchiamento potrebbe
rivelarsi possibile grazie alla nanotecnologia, ma in maniera troppo
limitata ma poi bisognerebbe sottoporsi a una terapia di
ringiovanimento e poi a una di mantenimento richiederà un'enorme
disponibilità finanziaria.
Tuttavia è bene precisare la
differenza tra il risultato raggiunto da queste conquiste e i
concetti di immortalità espressi dalla religione e dalla filosofia:
in questi ultimi casi l'immortalità è intesa come invulnerabilità,
e la semplice soppressione dell'invecchiamento non la potrà
garantire: non si morirà più di vecchiaia ma si potrà sempre e
comunque restare vittime di incidenti, omicidi, malattie non ancora
curabili, e di qualunque altro fattore che interferisca mortalmente
con l'integrità dell'organismo.
Progetto SENS
Attualmente Aubrey de Grey è impegnato
nel progetto SENS (Strategies for Engineered Negligible Senescence),
che si propone di arrivare a mettere a punto terapie in grado di
curare l'invecchiamento. La convinzione di base è che
l'invecchiamento sia dovuto all'accumularsi, a livello molecolare e
cellulare, di effetti collaterali prodotti dal metabolismo e che il
metabolismo stesso non è in grado di eliminare. L'accumulo di tale
"spazzatura" fa progressivamente diminuire l'efficienza
dell'organismo, finché esso diventa incapace di difendersi dalle
malattie o di mantenere in funzione gli organi vitali. La morte è
semplicemente l'inevitabile effetto ultimo di tale accumulo. Tutto
questo probabilmente perché la natura, preoccupandosi della
sopravvivenza della specie, ha visto nell'evoluzione una strategia da
preferire alla conservazione del singolo individuo, per cui, se da
una parte ha progettato un sistema molto efficiente per la
riproduzione, dall'altra non ha progettato un metabolismo
perfettamente autopoietico, capace cioè di ripararsi integralmente e
così conservarsi indefinitamente una volta raggiunto il completo
sviluppo. L'autopoiesi perfetta è riscontrabile invece a livello di
specie.
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