Le fotografie post mortem sono
una pratica fotografica sviluppatasi nell'epoca vittoriana e caduta
in disuso attorno agli anni '40 del novecento.
Storia
Prima dell'invenzione della
dagherrotipia nel 1839, l'unico modo per tramandare la propria
immagine era farsi fare un ritratto e moltissima gente non poteva
permetterselo dati i costi elevati. I primi dipinti che raffigurano,
per esempio, bambini morti in tenera età, compaiono tra il XVI e
XVII secolo nell'Europa del Nord (Inghilterra) e in Spagna. Il
ritratto post mortem era perciò una prerogativa delle classi più
abbienti o addirittura degli artisti stessi: personalità come Luca
Signorelli, Monet, Ensor, Picasso, Gauguin hanno elaborato il lutto
facendo l'ultimo ritratto della moglie di un amico o di un bambino a
loro caro. Dopo l'avvento della fotografia la gente iniziò a farsi
fotografare assieme ai defunti per avere un ricordo indelebile di
essi. Gli studi fotografici dell'epoca si organizzarono di
conseguenza, organizzando le pose delle foto post mortem sia a casa
del defunto, sia presso il loro studio.
Le foto post mortem furono
particolarmente in voga nell'Epoca vittoriana, ove il tasso di
mortalità infantile era molto elevato e non di rado le fotografie
post mortem erano l'unica foto che i genitori avevano dei loro figli.
Questo aspetto spiegherebbe perché i soggetti siano per lo più
ritratti come se ancora fossero in vita; con gli occhi aperti, o così
dipinti, o addirittura impegnati in piccole attività quotidiane.
Tuttavia, l'abbondanza di fotografie
post mortem che ritraggono soggetti di cui si conservano numerosi
altri scatti (ottenuti quando questi erano in vita), non permette di
affrettare conclusioni. Alcuni recenti studi tendono a dimostrare che
l'usanza vada ricondotta a più antiche e radicate pratiche di
tanatometamorfosi (trattamento delle spoglie). In questo caso, esse
rappresenterebbero una sorta di mummificazione visiva, dove la
sembianza di vita sia resa necessaria per esprimere lo stato di
salute dello spirito del defunto.
La successiva invenzione delle carte da
visite, cioè delle foto ritratto che consentivano di stampare più
copie da un unico negativo, permise che le immagini fossero inviate
ai parenti in ricordo dei defunti.
L'evoluzione dello stile
Le prime foto post mortem raffiguravano
solamente il viso o il busto ma raramente includevano la bara. Nel
periodo dal 1840 al 1860 era di uso posizionare il cadavere in un
divano, con gli occhi chiusi e la testa appoggiata a un cuscino, in
modo da sembrare addormentato in un sonno profondo.
Negli anni a seguire si iniziò a
rappresentare i cadaveri come se fossero in vita, seduti sulle sedie
e con gli occhi aperti; i bambini, invece, sono spesso mostrati
mentre riposano su un divano o in una culla, a volte con un
giocattolo preferito o con degli animali domestici. I bambini molto
piccoli venivano sovente fotografati nelle braccia della madre.
L'effetto della vita a volte è stato rafforzato aprendo gli occhi o
dipingendoli sulle palpebre e le guance del cadavere venivano
talvolta dipinte di rosa in seguito.
Successivamente le foto post mortem si
limitarono solamente a mostrare il soggetto in una bara, tralasciando
la componente realistica della foto.
Questo tipo di fotografia è ancora
praticata in alcune regioni del mondo, come l'Europa orientale e più
in generale tra i fedeli delle chiese europee orientali sono diffuse
foto di santi situati nelle loro bare. Ancora oggi nei cimiteri è
possibile vedere questo genere di foto: esse ritraggono generalmente
bambini morti pochi giorni dopo il parto.
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