Le ipotesi alternative sull'AIDS
identificano alcune congetture, in buona parte collegate a varie
teorie del complotto, secondo le quali l'AIDS non sarebbe causato dal
retrovirus HIV, o addirittura il virus stesso non esisterebbe.
Tali ipotesi sono comunemente
catalogate come pseudoscientifiche in quanto infondate, essendo il
nesso causale tra HIV e AIDS ampiamente dimostrato dalla letteratura
scientifica.
Da parte dei movimenti negazionisti
sono state formulate varie ipotesi riguardo la natura dell'HIV e
dell'AIDS, come ad esempio:
l'HIV non esiste
l'HIV è innocuo, e la vera causa
dell'AIDS sarebbe una combinazione di altri fattori
l'HIV esiste e potrebbe causare
l'AIDS, ma non è stato mai provato scientificamente
il termine AIDS è improprio, in
quanto rappresenterebbe un insieme di malattie già note
l'AIDS non si comporta come una
malattia infettiva
l'AIDS non soddisfa i postulati
di Koch sulle malattie infettive
il test HIV è inaffidabile
I fautori delle teorie alternative
attribuiscono l'origine dell'AIDS primariamente all'abbassamento
delle difese del sistema immunitario, rigettando tutte le ricerche e
dimostrazioni effettuate nel corso dei decenni che fanno risalire al
virus la causa della sindrome. Buona parte delle tesi alternative
attribuiscono l'indebolimento talora irreversibile del sistema
immunitario ad una presunta interazione di una serie di concause: una
delle motivazioni addotte è per esempio l'uso o l'abuso di farmaci,
in primis gli antibiotici, di cui viene sostenuto l'utilizzo
spropositato anche quando non realmente necessari, e le capacità di
debilitare il sistema immunitario dei soggetti affetti da AIDS.
Simili accuse vengono avanzate contro i cortisonici (uno dei cui
effetti collaterali, talora sfruttato a scopi terapeutici, è quello
di deprimere il sistema immunitario), gli psicofarmaci e varie altre
categorie di medicinali.
Prima del 1984, anno della definizione
ufficiale del virus HIV come causa dell'AIDS, molte furono le ipotesi
avanzate per spiegare questa nuova malattia. Fattori come l'abuso
occasionale di droga e di farmaci, determinati ambienti sociali,
infezioni da malattie veneree, modelli comportamentali ed altro
furono presi in esame dai ricercatori. A seguito dell'aumento a
livello mondiale dei casi di AIDS tra i soggetti sottoposti a
trasfusioni di sangue, emofiliaci, partner sessuali infetti, ed altri
gruppi di individui, si appurò che la malattia si trasmetteva
attraverso il contatto con il sangue ed i rapporti sessuali, e si
affermò quindi l'ipotesi dell'HIV come causa predominante (Cohen,
1994a; Horton, 1995).
Uno dei primi a mettere in dubbio la
correlazione tra HIV e AIDS fu nel 1984 Casper Schmidt (morto 10 anni
più tardi per patologie AIDS-correlate), il quale scrisse un
articolo sul Journal of Psychohistory intitolato "The
Group-Fantasy Origins of AIDS" (Schmidt 1984, pp. 37–78) in
cui sosteneva che l'AIDS sarebbe un esempio di "isteria
epidemica", in cui gruppi di persone inconsciamente darebbero
forma concreta ai conflitti sociali, e paragonò la malattia a casi
documentati di isteria epidemica del passato, che furono ritenuti
erroneamente di origine infettiva. Tale articolo presentava tuttavia
un elevato livello di speculazione teorica, dovuto anche alle
scarsissime conoscenze allora disponibili sulla biologia dell'HIV.
Dubbi sull'associazione HIV-AIDS vennero avanzati anche da
ricercatori appartenenti al National Institutes of Health.
Diverse associazioni di fautori delle
ipotesi alternative, spesso caratterizzate dal rifiuto di qualunque
dibattito scientifico razionale, fanno spesso riferimento alla figura
di Peter Duesberg, professore di Biologia Cellulare e Molecolare
presso l'University of California, Berkeley, il quale è divenuto nel
tempo una delle figure di spicco del movimento negazionista sulla
correlazione HIV-AIDS.
Tra i più famosi attivisti del
movimento dissidente, limitandosi ai deceduti dopo l'anno 2000,
figurano: Karri Stokely, Christine Maggiore, Ken Anderlini, Michael
Bellefountaine, Kim Bannon, Sophie Brassard, Ronnie Burk, Jerry
Colinard, Sylvie Cousseau Gos Blank, Boyd Ed Graves, Mark Griffiths,
Robert Johnston, John Kirkham, Kelly Jon Landis, Sandi Lenfestey,
Jack Levine, Peter Mokaba, Marietta Ndziba, Isabel Otaduy Sömme,
Maria Papagiannidou, David Pasquarelli, Emery Taylor, Huw Christie
Williams Scott Zanetti. Tutti gli attivisti citati sono deceduti a
causa di patologie AIDS-correlate.
Tra il 1992 e il 2001, a dare voce al
movimento negazionista, vi fu anche una rivista, Continuum. Le sue
pubblicazioni cessarono in quanto nel corso degli anni erano morti di
patologie AIDS-correlate tutti i suoi editori.
Alcuni vincitori del premio Nobel, tra
cui il chimico e ufologo contattista Kary Mullis, hanno espresso in
varie situazioni il loro supporto alle teorie alternative sull'HIV.
Una delle più diffuse affermazioni
dell'ambiente negazionista è che non esistano prove certe
dell'esistenza del virus HIV. La mancata dimostrazione della sua
esistenza avrebbe varie motivazioni, tra cui il fatto che il virus
sarebbe isolabile solo tramite la centrifugazione a gradiente di
densità (che permette la separazione delle particelle in base alla
densità per mezzo di un gradiente di densità variabile).
Sebbene questa tecnica spesso sia
ancora utilizzata per isolare l'HIV-1 e altri Lentivirus, a partire
dai primi anni settanta sono stati ideati sistemi più elaborati,
compresa la riproduzione di molecole infette clonate.
Ciò ha portato la comunità
scientifica internazionale a stabilire al di là di ogni ragionevole
dubbio che HIV-1 e HIV-2 esistano e siano responsabili dell'AIDS
nell'uomo: entrambi i virus peraltro sono stati isolati, fotografati
e i loro genotipi individuati. L'HIV-1 è stato isolato anche a
differenti stadi dell'infezione.
Opinione diffusa nell'ambito delle
teorie alternative è che l'HIV sarebbe inoffensivo: a riprova di ciò
viene sostenuto che un esiguo numero di individui positivi all'HIV
non contrae alcuna malattia neppure 15 o 20 anni dopo essere
risultato positivo al retrovirus, mentre in alcuni soggetti
sieronegativi insorgono varie patologie correlate all'AIDS tipiche
dei soggetti sieropositivi.
Va tuttavia ricordato che in diverse
malattie infettive vi è un numero minoritario di individui che non
manifesta alcun sintomo anche a distanza di molti anni, a causa delle
differenze che caratterizzano gli individui stessi. Nel caso dell'HIV
vi sono diverse condizioni genetiche che interferiscono sulla
progressione della immunodepressione, la più nota dei quali è una
mutazione CCR5-Δ32.
Vi sono diverse altre condizioni
genetiche che svolgono un ruolo protettivo più o meno marcato,
alcune note da tempo, altre ancora dibattute.
Anche negli individui senza condizioni
genetiche particolari, secondo il punto di vista corrente, è
prevedibile un lungo periodo di latenza prima che l'AIDS si
manifesti, poiché il virus impiega anni per dare origine
all'immunodepressione, condizione indispensabile per permettere
l'insorgere di varie malattie opportunistiche. Si ritiene infatti che
tra l'infezione da HIV e l'insorgere dell'AIDS trascorrano da otto a
dieci anni.
L'HIV utilizza un sistema di
trascrizione del suo materiale genetico diverso dagli organismi a DNA
(essendo infatti un retrovirus a doppia catena di RNA+); questo
sistema di trascrizione è molto "infedele" e provoca molti
errori, inoltre nelle varie popolazioni virali risulta presente in
moltissime varianti. Anche nello stesso paziente si possono trovare
due cloni diversi dello stesso virus e ciò spiega anche la comparsa
della resistenza ai farmaci antiretrovirali oggi in commercio.
Infatti il virus, nei primi anni dell'infezione, si trova in un
equilibrio dinamico con il sistema immunitario. Il virus è comunque
in attiva replicazione all'interno dei linfociti CD4+, ma il numero
di cellule infettate e che muoiono viene rimpiazzato da nuove
cellule, che vengono a loro volta infettate. A ciò va aggiunto che
condizioni di stress o infezioni virali promuovono la replicazione
del virus e l'infezione di nuove cellule CD4+. Si arriva così ad uno
squilibrio, con la progressiva riduzione dei linfociti e l'insorgere
della malattia conclamata in un arco di tempo che può variare da 8 a
12 anni.
L'asserita innocuità del virus HIV è
stata aspramente contestata da vari scienziati di calibro mondiale,
tra cui la ricercatrice e senatrice a vita Elena Cattaneo:
«Un po' come dire che, siccome alcuni fumatori non si ammalano
di cancro al polmone, allora il fumo è innocuo» |
(Elena Cattaneo) |
Vari negazionisti sostengono che più
in generale tutti i retrovirus siano innocui: ma essendo ampiamente
dimostrato il legame tra alcuni tipi di leucemia da linfocita T e di
linfomi con il retrovirus RNA, chiamato virus linfotropo T umano di
tipo I (HTLV-1), causa di una grave forma di leucemia diffusa ai
Caraibi, in Africa e Giappone, tale ipotesi risulta confutata. In
effetti l'HIV stesso in origine venne ritenuto una variante di HTLV,
ovvero HTLV-3.
L'HIV esiste, ma non è stato mai provato che possa
causare l'AIDS
Simile alla precedente è la teoria
secondo cui non vi sono ancora prove sufficienti che l'HIV causi
l'AIDS, e che servono ulteriori studi per raccogliere dati al
riguardo.
Tale tesi è stata ampiamente smentita
confrontando sottopopolazioni omogenee di pazienti: all'interno di
quelle in cui si riscontra la presenza dell'HIV si osserva
invariabilmente anche un notevole numero di diagnosi di AIDS. Ciò
avviene anche nel caso degli emofiliaci, popolazione di pazienti che
secondo il famoso ricercatore negazionista Peter Duesberg verrebbe
colpita da AIDS non a causa dell'HIV ma di proteine contaminanti
presenti nelle sacche di fattore VIII che in conseguenza della loro
malattia sono obbligati a trasfondersi regolarmente.
I primi studi su ampie popolazioni
furono pubblicati fin dalla metà degli anni '90. Ad esempio, il
Multicenter Hemophilia Cohort Study, pubblicato nel 1995, osservava
che in una popolazione di 1028 emofiliaci seguiti mediamente per 10,3
anni, gli individui HIV-sieropositivi (321) avevano una probabilità
di morte 11 volte superiore rispetto a quelli HIV-sieronegativi (707)
.
I dati epidemiologici raccolti in vari
paesi mostrano come, col diffondersi dell'HIV, vi sia stato un
drammatico aumento delle immunodepressioni e delle malattie
AIDS-correlate. Particolarmente significativi sono i dati raccolti in
Thailandia dal Center of Disease Control and Prevention
successivamente alla rapida diffusione dell'HIV in tale paese, quando
i test di controllo erano già di routine.
Epidemiologia dell'HIV e diagnosi di AIDS in Thailandia |
Anno |
Casi stimati di HIV-sieropositivi |
Nuovi casi riportati di AIDS |
Casi cumulativi riportati di AIDS |
1988 |
12850 |
18 |
18 |
1989 |
86000 |
34 |
52 |
1990 |
297000 |
91 |
143 |
1991 |
499000 |
460 |
603 |
1992 |
634000 |
1485 |
2088 |
1993 |
708000 |
6026 |
8114 |
Fonte: Science, vol.266, 9 dicembre 1994, pag.1647 |
In Thailandia il primo test anticorpale
per l'HIV ebbe una ampia diffusione fin dalla fine del 1985, a tal
punto che nel 1987 era stato effettuato in 200.000 campioni di sangue
su ogni possibile gruppo a rischio, individuando poco meno di 100
casi positivi al contagio. Dal 1987 in poi si osservò un repentino
aumento. Alla fine del 1993 si stima che gli HIV-sieropositivi
fossero saliti a 700.000 individui. All'aumento delle diagnosi di HIV
seguì, in un paio di anni, un proporzionale aumento dei casi di
AIDS. Tra il 1988 e il giugno 1991 vi furono solo 603 casi di AIDS ma
entro la fine del 1993 i casi totali salirono a più di 8000.
A questi si aggiungono ulteriori studi,
come quelli effettuati nello Zaire (ora Repubblica Democratica del
Congo), dove ad inizio anni novanta la probabilità di morte per
diarrea i neonati HIV-sieropositivi era 11 volte superiore rispetto
ai neonati HIV-sieronegativi.
Nello stesso periodo, in Ruanda, la
mortalità entro i 5 anni di vita era 21 volte superiore tra i
bambini HIV-sieropositivi rispetto ai bambini HIV-sieronegativi. Tra
le madri di questi bambini, la mortalità era 9 volte superiore nei 4
anni di follow-up nelle madri sieropositive rispetto a quelle
sieronegative.
Uno studio di tre anni in Malawi, alla
fine degli anni novanta, ha osservato che la mortalità entro il
primo anno di vita tra neonati HIV-sieropositivi era 9,5 superiore a
rispetto a neonati HIV-sieronegativi.
Il termine AIDS è improprio, è un altro nome per un
insieme di malattie già note
Un'altra affermazione avanzata dai
movimenti negazionisti sostiene che l'HIV non sia responsabile
dell'AIDS, la cui causa verrebbe ricondotta ad una combinazione di
altri fattori, sia infettivi che non infettivi. In base a queste
teorie, sotto il termine "AIDS" si tenderebbe a
classificare una ampia serie di patologie già note, e non
esisterebbe quindi una definizione omogenea di AIDS dal punto di
vista territoriale. In particolare, nelle nazioni svantaggiate dal
punto di vista economico, come diverse nazioni in Africa, non è
richiesto un esame di laboratorio per diagnosticare la sindrome a
causa dei costi inaccessibili. Questo farebbe sì che l'epidemiologia
dell'AIDS non avrebbe, secondo questa teoria, modelli o
regolamentazioni uniforme.
Gli assertori dell'inesistenza
dell'AIDS sono del parere che, per accertare la malattia, risulta di
fondamentale interesse il test per la ricerca degli anticorpi HIV.
Una trentina di patologie riconducibili all'AIDS, tra cui il sarcoma
di Kaposi e la polmonite interstiziale plasmacellulare, possono
essere diagnosticate come AIDS solo se è indubbia la prova
sierologica del virus HIV, senza il quale queste malattie hanno
origine da altre ridotte capacità immunitarie.
In altre parole, l'individuazione della
sindrome sarebbe a loro dire un esempio di ragionamento vizioso: dal
momento che per formulare una diagnosi di AIDS è necessaria la
presenza di anticorpi HIV, per definizione non può esistere AIDS se
non vengono rinvenute tracce di HIV nel sangue dei pazienti. Inoltre,
aggiungono i critici, molte malattie riconducibili alla sindrome,
come il cancro della cervice uterina, non sono direttamente collegate
all'immunodeficienza e non devono essere ritenute una forma di AIDS.
Va tuttavia rammentata la stretta
evidenza (più volte dimostrata) sulla correlazione tra HIV ed AIDS,
per la quale sono gli anticorpi dell'HIV a definire le
caratteristiche della sindrome, anche in concomitanza di diverse
patologie. Ad esempio, per quanto riguarda l'Africa, in uno studio
nel 1994-1995 in Costa d'Avorio, tra individui HIV-sieropositivi con
tubercolosi polmonare, la probabilità di morire entro i sei mesi era
17 volte superiore agli individui HIV-sieronegativi con tubercolosi
polmonare.
Un secondo riscontro si è avuto nella
seconda metà degli anni '90, in Sudafrica, dove il tasso di
mortalità tra i bambini ospedalizzati per gravi infezioni al tratto
respiratorio inferiore era di 6.5 superiore tra bambini
HIV-sieropositivi rispetto ai bambini HIV-sieronegativi (Madhi et al.
Clin Infect Dis 2000;31:170).
Il termine "AIDS" ha inoltre
subito una ridefinizione rispetto al periodo precedente alla scoperta
dell'HIV: in origine esso non era riferito a tale virus, non ancora
scoperto. Quando fu comprovata la teoria che è l'HIV a provocare
l'AIDS, il virus fu associato inequivocabilmente alla sindrome. Nel
campo della medicina è molto frequente descrivere una patologia
sulla base della sintomatologia e, successivamente, modificare la
terminologia medica quando si precisano le cause.
La prima definizione di AIDS da parte
del CDC (Centers for Disease Control and Prevention) nel settembre
del 1982 includeva un elenco di tredici malattie, "da ritenersi
con cautela sintomatiche di un difetto nell'immunità delle cellule
in un soggetto del quale non è nota la causa della minor resistenza
a quella malattia". La scoperta dell'HIV risale al 1984; l'anno
successivo, a seguito di una controversia con gli esperti di
epidemiologia, il CDC modificò la definizione corrente di AIDS
introducendo una serie di patologie che si sarebbero dovute associare
all'AIDS soltanto se si presentavano in concomitanza con un test HIV
positivo e che continuarono a diagnosticare casi di AIDS con o senza
un test HIV positivo.
A seguito dell'esperienza dei diversi
tipi di malattia, venne accertato che il morbo era correlato ad un
numero maggiore di affezioni rispetto a quelle classificate in
origine, al punto che nel 1987 il CDC ne aggiunse alcune, tra cui
l'encefalopatia e la tubercolosi, precedentemente escluse dall'elenco
perché non menzionate durante l'indagine epidemiologica.
Apparve comunque chiaro che il termine
vigente non era suffragato da un'opportuna sperimentazione clinica.
Alcuni pazienti avevano contratto l'HIV e soffrivano di malattie
riconducibili alla sindrome AIDS; altri erano affetti da malattie
derivate dalla sindrome (come una lesione cutanea da sarcoma di
Kaposi), eppure erano in salute. Nel gennaio 1993 la definizione di
AIDS negli USA venne modificata e la diagnosi fu formulata prendendo
come valore di riferimento un numero di cellule CD4 inferiore a 200,
oppure una percentuale inferiore a 14 e vennero aggiunte altre
patologie sintomatiche sulla base di uno studio epidemiologico: il
carcinoma invasivo della cervice uterina, la tubercolosi e la
polmonite cronica.
L'AIDS non si comporta come una malattia infettiva
Vari negazionisti sostengono che:
La "malattia dell'AIDS"
avrebbe avuto un decorso diverso dalle più comuni patologie
infettive, le quali si diffondono con estrema rapidità, a livelli
quasi esponenziali; infatti, in confronto a queste, la propagazione
dell'AIDS è avvenuta con una certa lentezza, e ciò a loro dire
dimostrerebbe che non è dovuta ad un agente infettivo.
I negazionisti sostengono altresì
che nell'America settentrionale e nell'Europa occidentale la
diffusione non sia casuale, poiché si riscontra maggiormente in
determinati gruppi sociali, e inoltre si suddivide in distinte
infezioni collaterali, con patologie specifiche riconosciute come
AIDS.
Sempre secondo l'opinione dei
negazionisti, l'AIDS in Africa presenterebbe caratteristiche del
tutto diverse da quelle dell'analoga sindrome diffusa nei paesi
dell'Occidente. Uno fra gli esempi citati è che in quel continente
colpisce lo stesso numero di uomini e donne, mentre in Nord America
e nell'Europa occidentale ne sono affetti più gli uomini che le
donne. Viene citata inoltre anche un'altra statistica, secondo la
quale l'AIDS nei paesi occidentali è associata soprattutto all'uso
di droghe, mentre in Africa con la malnutrizione e la povertà.
Questi vengono presentati come presunti segnali indicatori di
un'origine non infettiva dell'AIDS.
Il punto di vista unanime della
comunità scientifica internazionale sostiene invece tesi
diametralmente opposte, suffragate da vari dati ottenuti nel corso
dei decenni:
La lentezza con cui l'AIDS si
diffonde è da attribuirsi ad un lungo periodo di incubazione
dell'HIV, oltre che alle nuove cure e campagne di prevenzione che ne
hanno rallentato la propagazione. Esistono del resto numerose
patologie infettive molto note a progressione e diffusione lenta: ad
esempio, il morbo di Creutzfeldt-Jakob e l'epatite C. In realtà,
questo fatto non implica affatto che la malattia non sia contagiosa.
La trasmissione attraverso il contatto con i fluidi corporei è
stata ampiamente dimostrata, ed è tipica di un'infezione; l'HIV, in
merito al contagio attraverso il sangue ed il latte materno, si
comporta esattamente come tutti gli altri virus. La gran quantità
ed incidenza dei dati a disposizione consente di fare previsioni
certe, basate sull'assunto che l'AIDS è una malattia contagiosa e
l'epidemiologia non è incompatibile con la causa infettiva.
La diffusione maggiore all'interno
di gruppi specifici di persone, come eroinomani o omosessuali, con
elevata frequenza di rapporti non protetti, avviene proprio perché
il contagio si ha, solitamente, per via sessuale o con lo scambio
degli aghi.
L'HIV induce lo stato di
immunodepressione il quale, a sua volta, è causa di malattie
specifiche tra gruppi diversi di individui. Ad esempio, nel caso di
due persone entrambe immunodepresse, se una beve acqua pura e
l'altra no, è ovvio aspettarsi che chi abbia bevuto acqua inquinata
abbia maggiori probabilità di soffrire di diarrea, malgrado
l'affinità delle difese dell'organismo.
Molteplici elementi spiegherebbero
perché l'AIDS sia presente in diversi gruppi di persone in
continenti diversi: uno di essi è la pura coincidenza
dell'insorgere dei primi casi di malattia in gruppi sociali diversi
ed in continenti diversi. Le campagne d'informazione possono avere
avuto un effetto positivo in Occidente, cosa che non è avvenuta in
Africa. Considerato inoltre che povertà, malnutrizione e uso di
droghe sono tutti fattori di rischio per l'infezione da HIV, risulta
evidente che l'associazione dell'AIDS con l'uso di droghe in nord
America e in Europa occidentale deriva dal maggior uso di droghe che
viene fatto in queste zone, mentre la diffusione di povertà e
malnutrizione in Africa verosimilmente determinano una minor
presenza di elevati standard di igiene e controllo della salute
pubblica in quel continente.
Dal punto di vista storico,
l'insorgenza dell'AIDS nella popolazione mondiale ha accompagnato la
comparsa dell'HIV. Negli Stati Uniti, il primo caso di AIDS fu
individuato nel 1981 tra omosessuali maschi di New York e
californiani e, in precedenza, un esame su alcuni campioni congelati
di sangue appartenenti ad un vasto numero di uomini omosessuali ha
rivelato la presenza di anticorpi HIV fin dal 1978, non prima. Negli
anni successivi, in ogni regione, paese, città dove è apparso
l'AIDS, l'evidenza dell'infezione HIV ha preceduto l'AIDS di pochi
anni.
L'AIDS non soddisfa i postulati di Koch sulle
malattie infettive
Affinché l'HIV come causa dell'AIDS
avvalori i postulati di Koch, devono sussistere le seguenti
condizioni:
essere presente in tutti gli
individui affetti da AIDS
poter essere isolato in persone
malate di AIDS
far insorgere la malattia se
iniettato in un soggetto sano
poter isolare l'HIV di un
individuo nuovamente infetto
Idealmente, ed entro i limiti della
sperimentazione etica, la dimostrazione della validità di quei
postulati aiuta ad individuare in modo abbastanza efficace la causa
di una malattia. Molti negazionisti sostengono che la presunta
impossibilità di comprovare questi postulati potrebbe mettere in
dubbio che l'HIV è causa di AIDS.
La comunità scientifica internazionale
controbatte a tali ipotesi sottolineando come l'HIV confermi invece i
postulati di Koch, e che le eventuali eccezioni sono semplicemente
dovute alla scarsa reattività dell'esame HIV nel primo periodo dopo
il contagio, o all'imperfezione delle prime tecniche di isolamento
messe a punto, piuttosto che all'inesistenza del virus stesso, che è
ampiamente identificato.
Nel caso specifico, per quanto riguarda
i postulati 1 e 2 in rapporto all'HIV-1, le moderne tecniche di
coltura hanno permesso di isolare l'HIV in quasi tutti i malati di
AIDS, come pure in quasi tutti i soggetti risultati sieropositivi sia
nel primo sia nell'ultimo stadio della malattia.I pochi casi in cui
la presenza del virus non è stata riscontrata nei pazienti
sieronegativi che successivamente hanno sviluppato AIDS risultano
essere al di sotto del limite dell'errore sperimentale, quindi non
significativi. La reazione polimerasica a catena (PCR, un
sistema di riproduzione di una molecola di DNA) ed altre tecniche
molecolari permettono ai ricercatori di accertare la presenza di geni
HIV nella quasi totalità dei malati di AIDS, ed anche in soggetti al
primo stadio della sindrome.
I rari casi di pazienti che non hanno
sviluppato immunodeficienza in seguito ad infezione da HIV sono tutti
risultati portatori di mutazioni a carico delle molecole (CD4; CCR5;
CXCR4) che mediano l'ingresso del virus nella cellula, quindi
fisiologicamente immuni alla malattia. La presenza di soggetti
immuni, riscontrata nella maggior parte delle malattie infettive,
tuttavia non è condizione che dimostri una mancata conferma dei
postulati di Koch.
I postulati 3 e 4 sono stati inoltre
confermati da circostanze che hanno interessato i tecnici di tre
laboratori di analisi, che non presentavano fattori di rischio e che
hanno sviluppato l'AIDS o una grave immunodepressione dopo essere
stati esposti accidentalmente ad un'alta concentrazione di HIV
clonato in laboratorio. In tutti e tre i casi, l'HIV è stato isolato
dal soggetto infettato, monitorato, e ha dimostrato di essere il
ceppo infettivo del virus. In un altro caso, la trasmissione dell'HIV
da un dentista della Florida a sei suoi pazienti è stata documentata
dagli studi genetici sul virus, isolato sia nel medico sia nei
pazienti; il dentista e tre di loro si ammalarono di AIDS e morirono,
ed almeno uno dei rimanenti ha sviluppato l'AIDS; cinque dei pazienti
non erano soggetti a nessun fattore di rischio HIV, a parte le
frequenti visite dentistiche a causa di infezioni.
Inoltre, nel dicembre del 1999 il CDC (Centers for Disease Control
and Prevention) ha ricevuto i rapporti inerenti a 56 persone che
esercitano la professione nel settore sanitario insieme alla prova
documentata di un'infezione da HIV contratta sul lavoro, e di questi
25 avevano sviluppato l'AIDS in mancanza di altri fattori di rischio.
L'insorgenza dell'AIDS a seguito della produzione di anticorpi da HIV
è stata più volte riscontrata nei casi di trasfusione di sangue nei
bambini e negli adulti, nella trasmissione madre-figlio e negli studi
sull'emofilia, sull'uso di droga per iniezione e sulla trasmissione
sessuale, in cui l'aumento degli anticorpi è dimostrabile con dei
prelievi ripetuti di sangue[80][81]. Per esempio, in un'indagine
condotta per dieci anni nei Paesi Bassi, i ricercatori hanno seguito
undici bambini contagiati dall'HIV alla nascita da piccole quantità
di plasma appartenenti ad un unico donatore di sangue infettato da
HIV. In questi dieci anni, otto bambini sono morti di AIDS; gli altri
tre hanno evidenziato una diminuzione progressiva dell'immunità
delle cellule, e di questi tre, due hanno manifestato sintomi
riconducibili all'infezione da HIV.
I postulati di Koch sono stati
confermati anche su esemplari di animali contagiati da AIDS umano:
scimpanzé infettati in laboratorio con HIV hanno sviluppato una
grave immunodepressione e AIDS; in topi affetti da immunodeficienza
grave mista (SCID), una sindrome che colpisce i neonati e provoca
infezioni per lo scarso numero di linfociti T e B, l'HIV provoca casi
analoghi di distruzione delle cellule e di patogenesi come quelli
accertati nell'uomo. L'HIV-2, una variante meno infettiva dell'HIV,
causa di AIDS in soggetti umani, è anche all'origine di una sindrome
simile all'AIDS nei babbuini; oltre una decina di virus da
immunodeficienza delle scimmie (SIV), imparentato con l'HIV, è causa
di AIDS nei macachi dell'Asia; inoltre virus con più genomi, gli
SHIV, contenenti un ceppo SIV con diversi geni HIV in luogo dei
corrispondenti geni SIV, provoca l'AIDS nei macachi. Ad ulteriore
riprova del legame di questi virus con l'AIDS, i ricercatori hanno
avuto la conferma che virus SIV/SHIV isolati in animali malati di
AIDS sono all'origine della malattia se trasmessi ad animali sani.
Va detto comunque come Koch stesso
complessivamente cassò la seconda parte del primo postulato quando
scoprì i portatori asintomatici di colera e, successivamente, di
febbre tifoide.
Il test HIV sarebbe inaffidabile
Molti di quanti mettono in dubbio l'HIV
come causa dell'AIDS dichiarano che la tecnica dell'esame della
ricerca del virus HIV nell'uomo potrebbe essere difettosa. Uno degli
esempi comunemente citati è la possibilità di avere a che fare con
un falso positivo, ossia un soggetto riscontrato positivo all'HIV,
mentre in realtà è negativo (il problema dei "falsi positivi"
è problema comune a tutte le metodologie di ricerca clinica). Viene
anche affermato che la presenza di anticorpi all'HIV dovrebbe
comprovare che il virus all'interno dell'organismo stia per essere
annientato dal sistema immunitario, piuttosto che essere un sintomo
che il virus è attivo.
Biologi e
ricercatori sono perfettamente consapevoli che da tutti i test medici
emergono sempre piccoli numeri di falsi positivi e di falsi negativi,
e si adoperano affinché la percentuale di entrambi sia sempre più
bassa. In ogni modo, i ricercatori si basano sui dati relativi ad un
gruppo e non ad un singolo individuo, in modo che ogni riscontro
ingannevole non possa far travisare i risultati.In effetti, le
infezioni diagnosticate per mezzo del test sugli anticorpi sono uno
dei più apprezzati principi della medicina[senza fonte]. Dal punto
di vista tecnico i risultati dei test degli anticorpi HIV sono
ritenuti superiori alla maggior parte dei test sulle malattie
infettive sia in termini di sensibilità (la capacità di dare un
esito positivo in presenza della malattia) sia in termini di
specificità (la capacità di dare un esito negativo in assenza della
malattia). Tutti i test sierologici attualmente approvati ed
effettuati presentano una sensibilità ed una specificità superiori
al 98% dopo 3 mesi e pari al 100% dopo i 6 mesi dal presunto contagio
("periodo-finestra"), e perciò sono più che
affidabili[89].Tutti i test approvati contengono una clausola che
afferma che non esista un valore in base al quale stabilire l'assenza
o la presenza di HIV nel sangue umano.
Grazie a tecnologie come la reazione a
catena della polimerasi (PCR), o i campioni di DNA oggi applicate con
regolarità in tutti i pazienti nelle nazioni economicamente
avanzate, l'HIV è rintracciabile in quasi tutti i malati sintomatici
di AIDS. I test attuali basati sulla struttura genetica del virus,
sugli antigeni e sulla ricerca del virus stesso nei fluidi e nelle
cellule, presentano sensibilità e specificità ancora maggiore di
quelli basati sulla ricerca degli anticorpi, risultando ancora più
affidabili. Sebbene non siano diffusi come esami di routine a causa
dei costi elevati e della necessità di specifiche attrezzature da
laboratorio, queste analisi tecniche dirette hanno confermato la
validità dei test sugli anticorpi.
Esiste
altresì l'asserzione che la presenza di anticorpi sarebbe prova di
un'azione di soppressione del virus, ma essa non è assolutamente
corretta. La presenza di anticorpi specifici significa semplicemente
che il sistema immunitario ha riconosciuto qualcosa di estraneo, non
che lo stia eliminando. Molte altre malattie stimolano la produzione
di anticorpi, ma non sono certo la risoluzione della malattia[96].
Solo per citarne alcuni, i virus dell'epatite B, C e gli
herpesviridae sono virus che rimangono latenti all'interno
dell'organismo
.
Rientrerebbero tra gli argomenti delle
teorie sul complotto le opinioni secondo le quali il retrovirus
dell'HIV sarebbe stato creato dal governo USA per svariate finalità,
come per il suo uso a scopi militari, oppure con il deliberato scopo
di eliminare il più alto numero possibile di, alternativamente,
omosessuali, ispanici, islamici o persone di colore, in USA, come in
Africa, al fine di riprendere la sua colonizzazione.
In alcune varianti di queste tesi
cospirazioniste, ad aver creato l'HIV non è stato il governo USA,
bensì quello russo oppure le grandi case farmaceutiche
internazionali, con lo scopo di ridurre enormi masse in "schiavitù
farmaceutica", quali clienti forzati, in particolare le
popolazioni africane.
Tali teorie sono non solo in
contraddizione coi dati emersi dalle ricerche sull'origine del virus
HIV, sono del tutto prive di consistenza storica e di riscontri
scientifici