L'androide è un essere
artificiale, un robot, con sembianze umane, presente soprattutto
nell'immaginario fantascientifico. In taluni casi l'androide può
risultare indistinguibile dall'essere umano. Differisce dal cyborg,
il quale è costituito da parti biologiche oltre che artificiali.
Il termine deriva da ἀνδρός
andrós, il genitivo del greco antico ανήρ anēr,
che significa «uomo», e il suffisso -οειδής -oidēs,
da -ειδής -eidēs, usato per significare «della specie;
simile», da εἶδος eidos «aspetto». Il termine è
menzionato per la prima volta da Alberto Magno nel 1270 e fu reso
popolare dallo scrittore francese Villiers nel suo romanzo del 1886
Eva futura; il termine «android» appariva comunque nei
brevetti statunitensi già nel 1863 in riferimento ad automi
giocattolo in miniatura con fattezze umane.
Il corrispettivo femminile del termine
androide è l'assai poco frequente «ginoide», dal greco γυνή
ghinē «donna».
Precursori nei miti e nelle leggende
L'idea di persone artificiali è
rintracciabile fin dalle storie della mitologia greca. Cadmo seppellì
dei denti di drago che si trasformarono in soldati; secondo il mito,
re Pigmalione si innamorò di una statua che rappresentava una donna
ideale, Galatea; chiese allora ad Afrodite di donare la vita alla
statua, e sposò la donna.
Nella mitologia classica, il deforme
dio del metallo Efesto (o Vulcano) creò dei servi meccanici, che
andavano dalle intelligenti damigelle dorate a più utilitaristici
tavoli a tre gambe che potevano spostarsi di loro volontà.
La leggenda ebraica ci parla del Golem,
una statua di argilla, animata dalla magia cabalistica. Nell'estremo
Nord canadese e nella Groenlandia occidentale, le leggende inuit
raccontano del Tupilaq, che può essere creato da uno stregone per
dare la caccia e uccidere un nemico. Usare un Tupilaq per questo
scopo può essere un'arma a doppio taglio, in quanto una vittima
abbastanza ferrata in stregoneria può fermare un Tupilaq e
«riprogrammarlo» per cercare e distruggere il suo creatore.
Il termine androide è
menzionato per la prima volta nel 1270 dal filosofo, teologo e
scienziato Alberto Magno, che lo usò per definire esseri viventi
creati dall'uomo per via alchemica. Una leggenda vuole Alberto Magno
costruttore di un vero e proprio androide di metallo, legno, cera,
vetro, cuoio, con il dono della parola, che avrebbe dovuto svolgere
la funzione di servitore presso il monastero domenicano di Colonia.
Nel XVI secolo i trattati di alchimia
fornivano indicazioni per costruire un essere artificiale:
l'homunculus.
Storia
La prima vera tecnologia degli automi
meccanici si può far risalire al medioevo, quando si cominciano a
costruire le prime figure mobili che arricchivano i campanili e gli
orologi delle chiese.
Il primo progetto documentato di un
androide è firmato da Leonardo da Vinci e risale al 1495 circa:
appunti riscoperti negli anni cinquanta nel codice Atlantico e
in piccoli taccuini tascabili databili intorno al 1495-1497 mostrano
disegni dettagliati per un cavaliere meccanico in armatura, che era
apparentemente in grado di alzarsi in piedi, agitare le braccia e
muovere testa e mascella. L'automa cavaliere di Leonardo era
probabilmente previsto per animare una delle feste alla corte
sforzesca di Milano, tuttavia non è dato sapere se fu realizzato o
no.
La fine del XVIII secolo e il XIX
secolo vede fiorire la moda degli automi meccanici, concepiti
soprattutto come sofisticati giocattoli, ma talvolta assai
perfezionati.
Il primo androide funzionante
conosciuto venne creato nel 1738 da Jacques de Vaucanson, che
fabbricò un automa che suonava il flauto, così come un'anatra
meccanica che, secondo le testimonianze, mangiava e defecava.
Alla fine del Settecento a un inventore
ungherese, il barone Wolfgang Von Kempelen, fu attribuita l'ideazione
di un automa in grado di giocare a scacchi, Il Turco, poi
rivelatosi (nel 1857) un elaborato imbroglio. Tra il 1770 e il 1773
due inventori, Pierre e Henri-Louis Jaquet-Droz, costruirono tre
sorprendenti automi: uno scrivano, un disegnatore e un musicista
(ancora funzionanti, si trovano nel Musée d'Art et d'Histoire di
Neuchâtel in Svizzera).
La moderna tecnologia della robotica
vede attualmente la costruzione soprattutto di macchine estremamente
specializzate per uso industriale, totalmente prive di aspetto umano,
che risulterebbe d'intralcio e, secondo alcuni, potrebbe comportare
dei problemi a livello psicologico e sindacale. La costruzione degli
androidi rimane dunque, soprattutto, una curiosità per tutto il XX
secolo, anche se il successo commerciale dei cani robot, specie in
Giappone, ha permesso ad alcuni di supporne un ipotetico sviluppo
futuro.
Gli androidi nella letteratura
Una volta che la tecnologia avanzò al
punto che la gente intravedeva delle creature meccaniche come
qualcosa più che dei giocattoli, la risposta letteraria al concetto
di essere artificiale rifletté le paure che gli esseri umani
avrebbero potuto essere rimpiazzati dalle loro stesse creazioni
intelligenti.
Nella letteratura il primo classico
riferito alla creazione di un essere umano artificiale è in genere
considerato il romanzo Frankenstein (1818) di Mary
Wollstonecraft Shelley, che spesso è anche citato come la prima
opera di fantascienza. La creatura del dottor Frankenstein era
assemblata con parti di cadaveri, utilizzando per infonderle la vita
una strumentazione scientifica (non si tratta dunque di un automa
meccanico, ma piuttosto di quello che molti anni dopo sarebbe stato
definito un cyborg).
Il racconto di E.T.A. Hoffmann L'uomo
della sabbia (1815) narra l'amore tra un uomo e una bambola
meccanica; nel romanzo breve La storia filosofica dei secoli
futuri (1860) Ippolito Nievo indicò l'invenzione dei robot (da
lui chiamati «omuncoli», «uomini di seconda mano» o «esseri
ausiliari») come l'invenzione più notevole della storia
dell'umanità, e in Steam Man of the Prairies (1865) Edward S.
Ellis espresse la fascinazione americana per l'industrializzazione.
Giunse un'ondata di storie su automi umanoidi, che culminò nell'Uomo
elettrico di Luis Senarens, nel 1885.
Il primo a utilizzare il termine
androide in un romanzo fu però il francese Mathias Villiers
de l'Isle-Adam (1838-1889) nella sua opera più celebre, Eva
futura (L'Ève future, 1886), nel quale il protagonista è
addirittura Thomas Edison, il quale inventa una donna artificiale
quasi perfetta.
Impossibile non citare il racconto
dell'italiano Carlo Collodi del 1883, Le avventure di Pinocchio,
in cui un bambino di legno prende vita. La storia, pur utilizzando
elementi fiabeschi piuttosto che fantascientifici, contiene i temi
fondamentali dei successivi racconti sugli androidi.
Un precursore del moderno androide è
da molti considerato il Golem, la temibile creatura protagonista di
una vecchia leggenda del ghetto ebraico di Praga. In questo caso si
tratta di una statua d'argilla che prende vita grazie alla magia
cabalistica e non alla tecnologia scientifica. Una versione più
moderna del Golem lo vede però costruito come una specie di
androide, nella novella di U.D. Horn (Der Rabby von Prag,
1842) e nel libretto di F. Hebbel per il dramma musicale di Arthur
Rubinstein Ein Steinwurf (1858): il Golem viene qui
rappresentato come un uomo-macchina di legno con un meccanismo a
orologeria dentro la testa. La leggenda del Golem viene infine
ripresa e resa famosa dal romanzo Il Golem (Der Golem)
del 1915 dello scrittore e occultista praghese Gustav Meyrink.
Nel dramma R.U.R. (Rossum's
Universal Robots) (1920) del ceco Karel Čapek appaiono uomini
artificiali completamente organici, utilizzati come forza lavoro a
basso costo. L'opera è famosa per avere introdotto il termine robot,
nonostante non si tratti di esseri meccanici ma di veri e propri
«uomini artificiali». La procedura di costruzione degli androidi di
Rossum comprende macchine per impastare e tini per il
trattamento di protoplasma chimico. Quando il dramma di Čapek
introdusse il concetto di una catena di montaggio operata da robot
che costruivano altri robot, il tema prese delle sfumature politiche
e filosofiche, ulteriormente disseminate da film classici come
Metropolis (1927), il popolare Guerre stellari (1977),
Blade Runner (1982) e Terminator (1984).
Tra il 1940 e il 1941 Isaac Asimov, con
la collaborazione dell'editore John W. Campbell, elabora le tre leggi
della robotica, divenute un punto fermo della narrativa sui robot.
Nel 1976 Asimov scrive L'uomo bicentenario, la storia di un
robot che vuole diventare umano a tal punto da fare ciò che
differenzia gli esseri umani dai robot: morire. Pur avendo inserito
numerosissimi robot antropomorfi nella sua sterminata produzione di
racconti e romanzi (il più famoso dei quali è R. Daneel Olivaw),
Asimov tuttavia non usa in genere il termine «androide», reso
popolare solo negli anni cinquanta quando apparve in alcuni racconti
di Jack Williamson.
Uno degli autori di fantascienza che
fanno maggior uso degli androidi è stato Philip K. Dick il
quale, scarsamente interessato agli aspetti strettamente
tecnico-scientifici, li utilizzava soprattutto come sostituti
robotici degli uomini e dunque inquietanti simboli,
rispecchiamento/rovescio dell'essere umano, definendoli spesso
simulacri. Dal romanzo di Dick Cacciatore di androidi è
tratto il film Blade Runner, che presenta un vivido ritratto
di replicanti che aspirano a quella vita umana loro
ineluttabilmente negata.
Marvin l'androide paranoico è uno dei
personaggi principali della Guida galattica per gli autostoppisti,
serie di fantascienza umoristica di Douglas Adams.
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