martedì 30 novembre 2021

Vetrificazione dei forti

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La vetrificazione dei forti è un processo chimico-fisico indotto dall'alta temperatura a cui, in epoca preistorica, venivano esposti i muri in pietra delle fortificazioni sommitali europee, secondo un'usanza che si colloca nell'età del ferro nord-europea.
Il fenomeno fu descritto per la prima volta nel 1777 da John Williams, uno dei primi geologi britannici, in base all'evidenza osservabile di grandi residui di roccia vetrificata, colata come dopo un raffreddamento, ma le questioni sollevate da questa osservazione sono oggetto di dibattito e di controversie e rimangono ancora in buona parte inspiegate e aperte alla discussione scientifica. Gli studiosi, ad esempio, concordano sul fatto che la vetrificazione dovette avvenire mediante esposizione a un'intensa fonte di calore già in età preistorica e non in un'epoca successiva, ma rimangono insolute e dibattute le domande sul perché le mura fortificate venissero sottoposte a una "vetrificazione" e sul come questo avvenisse.
In particolare, non è chiaro come venisse prodotta l'esposizione all'alta temperatura necessaria a determinare la parziale o totale fusione dell'opera muraria, paragonabile a quella rinvenibile in un vulcano, i cui effetti si conservano nell'aspetto esteriore di vetro colato e solidificato per raffreddamento: più nello specifico, si è appurato che dovrebbe parlarsi di "alte temperature", al plurale, vista la natura mutevole delle rocce usate, di volta in volta, nella costruzione dei forte (in genere di provenienza locale), da cui conseguivano variazioni anche notevoli nelle temperature da raggiungere, nell'ordine di uno o due centinaia di gradi centigradi.
Il fenomeno delle rocce vetrificate occorre in molti luoghi d'Europa ma la regione in cui doveva essere più diffuso, e nella quale sopravvivono gli esempi più noti è la Scozia, la prima regione d'Europa in cui tali resti archeologici furono rivenuti.
Riguardo alla natura delle rocce, si trattava, a seconda della disponibilità locale, di rocce metamorfiche, rocce ignee, o rocce sedimentarie.

lunedì 29 novembre 2021

C'è qualche prova che le anime esistono?


Abbiamo un'anima? E se sì, è misurabile?

Nel 1907, un medico del Massachusetts di nome Duncan MacDougall dimostrò l'esistenza dell'anima umana. Si chiama teoria dei 21 grammi.

Ha misurato il peso di una persona al momento della morte. Aveva 6 pazienti che hanno sperimentato una perdita di peso con una perdita di peso media di 21 grammi...

Ha registrato non solo l'ora esatta della morte di ogni paziente, ma anche il tempo totale trascorso a letto, nonché eventuali variazioni di peso che si sono verificate intorno al momento dell'espirazione.

Ha anche preso in considerazione le perdite di fluidi corporei come sudore e urina e gas come ossigeno e azoto nei suoi calcoli. La sua conclusione fu che l'anima umana pesava tre quarti di oncia, o 21 grammi.

I risultati dello studio di MacDougall apparvero sul New York Times nel marzo 1907.

L'idea che l'anima pesi 21 grammi è apparsa in romanzi, canzoni e film: è stato anche il titolo del film che Dan Brown ha descritto gli esperimenti di MacDougall in dettaglio nel suo film d'avventura The Lost Symbol.


domenica 28 novembre 2021

Una possessione che ha risolto un errore giudiziario

Un giorno di gennaio del 1939, la diciassettenne Maria Talarico camminava per una via di Catanzaro, in compagna della nonna. Nell’attraversare un ponte, Maria di colpo si fermò, fissò l’argine del fiume e si accasciò a terra.

Riprese i sensi solo quando fu ricondotta a casa e a quel punto lasciò di sasso i familiari rivolgendosi alla madre con voce maschile. “Tu non sei mia madre. Mia madre vive nella casetta di legno, si chiamava Caterina Veraldi. Io sono Pepe”.



Pepe Veraldi si era suicidato gettandosi nel fiume circa tre anni prima, il 13 febbraio 1936 ed il suo corpo era stato ritrovato sotto il ponte dove Maria era svenuta. Le cose presero una piega ancor più strana quando arrivò la madre di Veraldi e Maria dichiarò: “Sono stati i miei amici a uccidermi, spingendomi giù dal ponte. Poi mi hanno colpito con una sbarra di ferro e hanno tentato di far passare il delitto per un suicidio”.

Poi Maria si precipitò fuori di casa, giunse al ponte e saltò dal parapetto, gridando: “Lasciatemi in pace! Perché mi picchiate?” Sull’argine, la ragazza giaceva svenuta nella stessa posizione in cui era stato rinvenuto il cadavere di Veraldi. La madre del morto si avvicinò a Maria e ordinò al figlio di lasciare il corpo della giovane. Ella riaprì gli occhi, si guardò attorno e si rialzò. Pepe se n’era andato.

Il rapporto di polizia sulla morte di Veraldi formulava il sospetto che costui fosse morto proprio nel modo descritto dalla ragazza, ma gli amici del defunto non erano più in Calabria.

Ma nel 1951, Luigi Marchete, uno degli amici di Pepe, scrisse alla madre del giovane confessando l’assassinio: l’aveva aggredito con una sbarra di ferro perché insidiava la compagna, e dopo aver tentato di inscenare un suicidio insieme a tre amici, era fuggito in Argentina.

Per sgravarsi la coscienza, lasciava tutta la fortuna che aveva accumulato alla madre della vittima.


sabato 27 novembre 2021

5 curiosità horror che nessuno conosce

  • San Nicola, da molti conosciuto come Babbo Natale, è il santo patrono degli assassini pentiti


  • L'horror è l'unico genere cinematografico in cui compaiono più donne che uomini:


  • Se il proprietario di un animale muore da solo in casa, il cane aspetterà diversi giorni prima di mangiare il cadavere, mentre il gatto non aspetterà più di due giorni.


  • A Kyoto, in Giappone, ci sono templi con i soffitti macchiati di sangue. Sono stati realizzati con assi di legno prese dal pavimento di un castello ove tempo prima si suicidarono molti guerrieri.


  • La femmina del ragno tessitore di pizzo nero (Amaurobius ferox) martella ripetutamente la propria tela in modo che i suoi piccoli possano raggiungerla e mangiarla viva.


Più che horror sono curiosità "creepy", ma spero vi siano piaciute comunque!


venerdì 26 novembre 2021

Qual è stato uno degli esperimenti scientifici più incredibili della storia?

Ai primi dell’Ottocento, in un antico castello di una remota vallata nella regione occidentale dell’Inghilterra, uno scienziato sta compiendo una serie di complicati esperimenti con l’elettricità. Al di fuori del laboratorio, una ragnatela di fili di rame, sospesa ai pali, si estende per quasi due chilometri nella campagna. All’interno, apparecchiature misteriose colmi di liquidi torbidi, che brillano e lampeggiano.

Un giorno giunge una notizia che conferma i peggiori sospetti: quel sinistro personaggio ha creato la vita in provetta.



Andrew Crosse era un dotto gentiluomo che dedicò la vita allo studio della nuova scienza dell’elettricità. I suoi esperimenti erano iniziati nel 1807, producendo una vasta gamma di cristalli ed ottenendone circa 200 varietà pressoché identiche a quelli riscontrati in natura.

Nel 1837 Crosse iniziò un ennesimo esperimento per ottenere i cristalli usando una pietra elettrificata e una soluzione chimica. Dopo due settimane notò “alcune escrescenze biancastre, che spuntavano dal centro della pietra”.

Nei giorni successivi le escrescenze crebbero finché assunsero “la forma di un insetto perfetto, hanno cominciato a muovere le zampe, per poi staccarsi dalla pietra e cominciare a muoversi liberamente”. Nel giro di qualche settimana, un centinaio di insetti apparvero sulla pietra.

Le creature erano acari. Aveva forse creato egli stesso quegli insetti? Decise perciò di ritentare l’esperimento. Crosse prese sette contenitori di vetro e in ciascuno versò una soluzione chimica diversa. Poi fece passare una corrente elettrica nel liquido e si mise ad aspettare; dopo alcuni mesi la sua pazienza fu ricompensata: i parassiti si erano sviluppati in tutti i contenitori, tranne in due.

Crosse, confuso e spaventato, ne parlò con il fisico Michael Faraday che affermò di aver prodotto insetti seguendone lo stesso metodo. Malgrado il sostegno dei colleghi, la pubblicazione dei risultati non suscitò altro che scherno e ilarità.

Accusato di interferire con l’operato divino, Crosse divenne bersaglio di un’aspra polemica e si ritirò nella solitudine del suo laboratorio. Decise di non riprodurre mai più questo esperimento.



giovedì 25 novembre 2021

Cos'è uno xenobot?

Gli Xenobot sono una forma di vita a metà tra naturale ed artificiale di recente creazione: assomigliano come concetto ai robot, ma non lo sono in senso stretto. Il loro codice genetico è stato selezionato a partire da una classe di cellule staminali, con l'aiuto di algoritmi progettati al pc, per svolgere funzioni specifiche combinando le caratteristiche migliori di due o più tessuti biologici eterogenei. Tra i primi che sono stati realizzati, ci sono quelli costituiti da cellule della pelle e cellule del muscolo cardiaco derivate da embrioni di rana; il loro nome "da fantascienza" deriva infatti dal nome scientifico della rana artigliata africana Xenopus laevis. Gli Xenobot sono stati in grado di muovere, spingere o trasportare piccolissimi oggetti, adatti alle loro dimensioni. Possono muoversi autonomamente per circa una settimana senza alimentarsi, sono capaci di ripararsi autonomamente e sono biodegradabili una volta morti. Il futuro li vede impiegati come tecnologia militare, per degradare le microplastiche degli oceani, persino come nanotecnologie per trasportare farmaci all'interno del nostro organismo o per rimuovere placche aterosclerotiche. Ma la novità è un'altra: secondo la fonte indicata a fine post, sono stati osservati riprodursi in un modo diverso da quello osservato finora in qualsiasi cellula studiata.


Il professor Michael Levin, uno degli autori dell'articolo citato, dice "gli assemblaggi multicellulari sintetici possono anche replicarsi cinematicamente spostando e comprimendo le cellule dissociate nel loro ambiente in autocopie funzionali"; in altre parole, possono muoversi e e riplasmare la forma delle cellule che li circondano, in modo da creare delle copie di se stesse.

Secondo Levin questo è un passo avanti verso il trattamento di "lesioni traumatiche, difetti alla nascita, cancro e invecchiamento" se si riesce a mettere a punto la capacità di dire precisamente ai robot cosa fare e quando fermarsi. Secondo uno degli altri autori, Douglas Blackiston, "questa forma di perpetuazione, mai vista prima in nessun organismo, sorge spontaneamente nel corso dei giorni piuttosto che evolversi nei millenni. Questo è qualcosa che non è mai stato osservato prima.


mercoledì 24 novembre 2021

 

Quale erronea convinzione ci accompagna da millenni?


La mela di Eva:



Benché la mela sia diventata il simbolo della perdita dello stato di grazia da parte dell'uomo, in nessuna parte della Genesi viene menzionata.

Viene semplicemente descritta come "il frutto di un albero che era nel mezzo di un giardino" ed è stato insinuato che, poiché Adamo ed Eva si vestirono con foglie di fico dopo aver mangiato il frutto, l'albero avrebbe più plausibilmente potuto essere un fico!

La mela probabilmente entrò nella storia attraverso la mitologia greca e celtica: in entrambe quel frutto appartiene alle idee dell'amore e simboleggia il desiderio fisico.


 
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