giovedì 14 dicembre 2023

La Leggenda del Mongolian Death Worm: Alla Ricerca di una Creatura Mito o Realtà?



Il Mongolian Death Worm, noto anche come "Allgoi-khorkhoi", "Olgoi-khorkhoi" o "Verme dall'intestino largo", è uno dei misteri più affascinanti e spaventosi della Mongolia. La sua storia è stata tramandata per generazioni, incantando e spaventando chiunque si imbatta nelle leggende che circondano questa misteriosa creatura. In questo articolo, esploreremo le origini del Mongolian Death Worm, le testimonianze e le teorie che circondano la sua esistenza, cercando di fare luce su questo enigma della natura.

La leggenda del Mongolian Death Worm ha radici antiche, ma la sua fama è stata amplificata nel 1926 quando il paleontologo e esploratore americano Roy Chapman Andrews ha raccontato di aver sentito parlare di questa creatura durante i suoi viaggi in Mongolia. Tuttavia, nonostante i numerosi resoconti e le testimonianze degli abitanti locali, nessun esploratore è riuscito a confermare l'esistenza del verme in modo definitivo. Andrews stesso, sebbene abbia ascoltato con attenzione le storie degli abitanti, ha ammesso di non aver mai visto personalmente la creatura.

Negli anni successivi, altri esploratori e ricercatori hanno tentato di trovare prove concrete dell'esistenza del Mongolian Death Worm, ma senza successo. Nonostante ciò, le storie e le leggende intorno a questa creatura hanno continuato a suscitare interesse e fascino, alimentando il desiderio di scoprire la verità dietro questo mistero.

Nel 2005, un gruppo di scienziati inglesi e criptozoologi ha intrapreso una spedizione in Mongolia per cercare prove dell'esistenza del Mongolian Death Worm. Nonostante abbiano raccolto numerose testimonianze e storie sulla creatura da parte degli abitanti locali, non sono riusciti a trovare prove concrete della sua esistenza. Tuttavia, le descrizioni fornite dagli abitanti locali sono state sorprendentemente coerenti nel dipingere un'immagine della creatura simile a un verme di grandi dimensioni, di colore rosso-marrone, senza testa né gambe.

Le caratteristiche attribuite al Mongolian Death Worm sono alquanto sorprendenti e spesso spaventose. Si dice che la creatura sia in grado di sputare un acido solforico velenoso in grado di uccidere istantaneamente qualsiasi essere vivente, e che persino il semplice contatto con il suo corpo possa essere fatale. Queste descrizioni hanno alimentato ulteriormente il mistero e la paura intorno al Mongolian Death Worm, facendolo diventare una delle creature più temute della Mongolia.

Tuttavia, nonostante le numerose testimonianze e le storie circolanti, molti scienziati rimangono scettici sull'esistenza del Mongolian Death Worm. Alcuni ipotizzano che le storie possano essere il risultato di fraintendimenti o miti locali, mentre altri suggeriscono che la creatura potrebbe essere una specie sconosciuta o addirittura estinta.

Nelle storie raccolte da vari esploratori e ricercatori, emerge un quadro affascinante e inquietante del Mongolian Death Worm. Secondo le testimonianze degli abitanti locali, la creatura vive nelle zone più remote e inospitali del deserto del Gobi, un luogo dove la vita è già estremamente difficile per gli esseri umani e dove l'immaginazione può facilmente prendere il sopravvento.

Le descrizioni del Mongolian Death Worm variano leggermente da un resoconto all'altro, ma ci sono elementi comuni che emergono costantemente. Si dice che il verme abbia una lunghezza di circa due metri e un diametro di venti centimetri, con un aspetto che ricorda vagamente un intestino animale. È di colore rosso-marrone e privo di arti visibili, come gambe o tentacoli, il che lo rende ancora più enigmatico e inquietante.

Una delle caratteristiche più spaventose attribuite al Mongolian Death Worm è la sua capacità di sparare un acido solforico altamente corrosivo, che può uccidere istantaneamente chiunque entri in contatto con esso. Questo veleno letale, secondo le leggende, è in grado di bruciare la carne umana e causare danni irreparabili. Inoltre, si dice che la creatura sia in grado di emettere scariche elettriche mortali a distanza, aggiungendo un'altra dimensione di pericolo alla sua già terrificante reputazione.

Le storie sulla dieta del Mongolian Death Worm sono altrettanto inquietanti. Si dice che la creatura si nutra principalmente di piante parassite locali, come il Goyo, che molti credono essere velenoso per gli esseri umani. Questo comportamento alimentare contribuisce alla sua aura di mistero e terrore, poiché suggerisce che il verme possa rappresentare una minaccia non solo per gli esseri umani, ma anche per la flora locale.

Una delle caratteristiche più curiose del Mongolian Death Worm è il suo ciclo di vita e il suo comportamento stagionale. Si dice che la creatura rimanga in letargo per gran parte dell'anno, emergendo solo nei mesi estivi, soprattutto durante le piogge quando il terreno è bagnato. Questo comportamento stagionale potrebbe essere legato alle abitudini di riproduzione del verme o alle sue esigenze ambientali specifiche, ma resta un altro aspetto misterioso della sua biologia.

Tuttavia, finché non ci saranno prove concrete dell'esistenza del Mongolian Death Worm, rimarrà uno dei più grandi misteri della natura e una fonte infinita di fascino e terrore per chiunque si avventuri nel deserto del Gobi.



mercoledì 13 dicembre 2023

Il Kraken: Il Gigante dei Mari



Il Kraken è una creatura leggendaria dei mari, un'enorme piovra con tentacoli capaci di avvolgere intere navi. Le sue radici affondano nelle mitologie antiche, ma la sua fama si è consolidata tra il XVIII e il XIX secolo, forse ispirata da avvistamenti di calamari giganti.

Le prime tracce del Kraken si trovano nella mitologia norrena, dove è associato all'Hafgufa, un mostro marino tanto grande da sembrare un'isola quando emergere in superficie. Questo tema è ricorrente nel mito del Kraken, che si è evoluto nel corso dei secoli.

Nel XVIII secolo, il naturalista Carl von Linné e il vescovo danese Erik Pontoppidan contribuirono a diffondere il mito del Kraken. Pontoppidan lo descrisse come un enorme pesce-granchio, attribuendogli potenti onde e gorghi in grado di affondare le navi. Tuttavia, solo nel tardo Settecento emerse l'immagine del Kraken come creatura aggressiva, capace di affondare le navi.

Il malacologo Pierre Denys de Montfort, nel 1802, incluse il Kraken nel suo trattato sui molluschi, attribuendogli dimensioni impressionanti e collegandolo a naufragi e scomparse di navi. Tuttavia, la sua tesi fu in seguito smentita, ma contribuì a consolidare il mito del Kraken come un pericolo per i marinai.

Si ipotizza che il mito del Kraken possa essere derivato dagli avvistamenti di calamari giganti, ma il suo fascino e il suo mistero persistono, alimentando la fantasia di generazioni di marinai e appassionati di creature marine. Chi sa cosa si cela ancora nelle profondità inesplorate dell'oceano!





martedì 12 dicembre 2023

IL GRIFONE: Emblema di Maestosità e Potere


Erodoto, lo storico greco del IV secolo a.C., e altri autori antichi ci parlano di questa creatura leggendaria, il grifone. Eliano di Preneste lo descrive come un leone con artigli robusti e ali, mentre altri autori lo immaginano con una testa d'uccello, un corpo da lupo e zampe da leone.

L'origine precisa di questo essere mitologico è dibattuta, trovandolo sia in Egitto, dove assume caratteristiche diverse, sia in Mesopotamia. La sua grandezza e maestosità lo hanno reso emblema di regalità, comparendo su arazzi e stendardi di diverse dinastie.

Nel XIV secolo, nel Tractatus de armis di John de Bado Aureo, si dice che portare il simbolo del grifone in battaglia avrebbe garantito forza e saggezza. Persino nella letteratura persiana del IV secolo a.C., si parla di una divinità, Homa, simile al grifone.

Il mito del grifone si diffuse durante il periodo ellenistico e romano, attribuendogli il ruolo di guardiano delle tombe e animale sacro ad Apollo, dio della luce e della bellezza. Anche Dante, nel Purgatorio, immagina un carro trionfale trainato da un maestoso grifone, simbolo sia della divinità che dell'umanità di Cristo.

Una creatura avvolta di mistero e potere, il grifone continua a incantare e ispirare, rimanendo un'icona di maestosità e regalità attraverso i secoli.


lunedì 11 dicembre 2023

IL GOLEM: Guardiano degli Ebrei ?




Nelle antiche leggende cabalistiche del popolo ebraico, si narra di una strana creatura antropomorfa di argilla rossa, animata dal rabbino Leon Ben Bezabel intorno al 1580, per proteggere una comunità ebraica vessata dai pogrom.

Ma come avrebbe fatto un rabbino a dare vita a questa sorta di Frankenstein?

Il termine "Golem" deriva dall'ebraico e significa letteralmente "embrione" o "materia grezza", citato per la prima volta nella Bibbia in riferimento ad Adamo. La leggenda del Golem appare nei testi della mistica ebraica come il "Libro di Zohar" e il "Sefer Jezira", che descrivono l'esegesi sui segreti dell'alfabeto ebraico e delle Sefirot di Dio.

Secondo il Talmud, si dice che "i giusti potrebbero creare un mondo", e ci sono resoconti di rabbini che hanno creato esseri umani con formule magiche.

L'antica leggenda del Golem risale addirittura all'XI secolo, con un'interessante variante femminile. In occidente, la leggenda del Golem è stata resa famosa dallo scrittore austriaco Gustav Meyrink nel suo romanzo del 1915 "Der Golem".

La parola "verità" (emet) veniva incisa sulla fronte o inserita nella bocca del Golem per animarlo. Tuttavia, una volta creato, il Golem cresceva fino a diventare ingestibile, e il rabbino doveva disfarsene trasformando la parola in "morte" (met).

Si dice che Eleazar di Worms abbia conservato la formula per costruire un Golem, ma conoscere gli "alfabeti delle 221 porte" era essenziale per portare il rituale a termine.

Una leggenda affascinante che racconta di un potere misterioso e di un guardiano imponente, il Golem rimane un simbolo di protezione e mistero nella cultura ebraica.





domenica 10 dicembre 2023

IL DRAGO: Una Leggenda Vivente ?



Immagina di essere catapultato indietro nel tempo, in un'epoca di paladini e cavalieri, dove la figura mitologica del drago dominava l'immaginario collettivo.

In Occidente, il drago era sempre stato associato al male, un alleato del maligno. Ucciderlo significava essere visti come i favoriti di Dio, come San Michele e San Giorgio. Ma nell'Oriente, il drago era un simbolo di benevolenza, rappresentando la manifestazione terrena di forze naturali benefiche.

Le rappresentazioni occidentali di questo mostro lo dipingevano con occhi rossi come il sangue, pelle squamosa simile a quella dei pesci e ali da pipistrello gigante, accompagnate da una folta barba sotto il mento, per renderlo ancora più minaccioso e simile al Demonio.

Una delle caratteristiche più iconiche dei draghi occidentali è sempre stata la loro capacità di emettere fuoco e fiamme, facendoli sembrare creature demoniache. Gesner, naturalista svizzero del XVI secolo, fornisce una descrizione dettagliata di queste creature nella sua opera "Historia animalium".

Contrariamente alla tradizione orientale, che vedeva il drago come un essere senza zampe o al massimo con due, Gesner lo descriveva come quadrupede. Altri esperti come Bochart aggiungono ulteriori peculiarità, come denti di diversi colori e la capacità di risucchiare gli uccelli con il fiato.

Nel corso dei secoli, molte persone rispettabili hanno raccontato di aver assistito a voli di drago. Ad esempio, Cristoforo Schorer, prefetto di Lucerna, nel 1649 scrisse a un amico di aver visto un drago splendente volare sopra il monte Pilato, con movimenti sinuosi e scintille sprizzanti.

Oggi, il progresso ha portato alla dimenticanza dei draghi, ma essi vivono ancora nella fantasia di scrittori e registi. Opere come "Gli occhi del drago" di Stephen King e la saga di "Eragon" di Christopher Paolini, insieme a serie come "Dragonlance" e "Dungeons & Dragons", testimoniano l'eterna fascinazione per queste creature.

Lunga vita al drago, una leggenda che continua a incantare e ispirare!


sabato 9 dicembre 2023

IL DIVORATORE DI OMBRE


Nelle antiche scritture orientali si narra dell'esistenza di una creatura ibrida, descritta come parte coccodrillo, parte leone, e parte ippopotamo, conosciuta come il Divoratore. Questa figura compare sia nel celebre Libro egiziano dei morti che in altri testi riguardanti il destino dei defunti, come le scritture gnostiche o il Libro del Bardo Thödol tibetano, durante ciò che è conosciuto come il "Giudizio dei morti". In queste narrazioni, si parla di un tribunale divino composto da divinità, sedute in cerchio, molte delle quali hanno fattezze animali, alcune con teste di scimmia, il cui compito era valutare le azioni e le colpe del defunto attraverso domande per giudicarne l'onestà e la moralità.

Nel Libro dei morti egiziano, in particolare, la purezza del defunto veniva valutata tramite la psicostasia, nota come la "pesatura del cuore". Il cuore, considerato il registratore di tutte le azioni compiute durante la vita, veniva posto su una bilancia con una piuma sull'altro piatto. La dea Maat, simbolo dell'ordine cosmico, della giustizia e della verità, sorreggeva la bilancia e posizionava il cuore del defunto. Se il cuore bilanciava con la piuma, il defunto veniva dichiarato "giusto" e ammesso nel Regno dei morti. Altrimenti, per ordine di Osiride, il cuore veniva dato in pasto al Divoratore, chiamato Ammit, mentre l'anima era condannata a risiedere nel duat, il regno degli inferi.

Nel Bardo Thödol tibetano, si trova una versione simile del Divoratore, ma sulla bilancia, al posto della piuma, venivano poste pietruzze bianche e nere.

Jorge Luis Borges, nel suo Manuale di zoologia fantastica, descrive il tribunale dell'aldilà dei tibetani, dove il defunto giurava di non aver causato sofferenza o morte, di non aver rubato, di non aver commesso ingiustizie. Se le sue parole fossero risultate false, i giudici lo avrebbero consegnato al Divoratore, assistito da un'altra mostruosa creatura chiamata Babài, di cui Plutarco parla soltanto accennando alla sua spaventosa somiglianza con uno dei Titani, forse il padre della Chimera.



venerdì 8 dicembre 2023

IL DIBBUK

 


Secondo un'antica tradizione ebraica, che trova riscontro anche nell'Antico Testamento, quando il corpo di una persona viene attaccato da un'anima dannata, siamo di fronte a uno spirito maligno chiamato Dibbuk.

Il termine è entrato nella letteratura a partire dal XVII secolo, ma sia nella Cabala che in molte altre tradizioni culturali, troviamo riferimenti a questo strano essere il cui nome deriverebbe dall'abbreviazione di due espressioni: "dibbuk me-ru’aḥ ra’ah", ovvero "assalto di uno spirito maligno", o "dibbuk min ha-hiẓonim", che significa "che attacca dall'esterno" il corpo di un individuo. Di conseguenza, il nome di questo spirito sarebbe il risultato dell'azione compiuta dallo stesso di prendere possesso dell'anima di un ospite.

Inizialmente il Dibbuk veniva considerato un semplice demone che entrava nel corpo di una persona malata peggiorandone le condizioni e talvolta causandone la morte; successivamente, però, il Dibbuk è stato visto come lo spirito di una persona morta "non sepolta", diventando per questa ragione un demone. È simile alla credenza del Revenant nella cultura europea, che si riferisce a una creatura che ritorna dal regno dei morti per vendicarsi di un'ingiustizia subita in vita.

La tradizione dei Dibbukim, sebbene originariamente ebraica, è diventata comune anche tra i cristiani, tanto che i Dibbukim sono stati considerati in molte comunità cattoliche come anime che, a causa del gran numero di peccati commessi in vita, non possono passare oltre e cercano rifugio nei corpi delle persone viventi.

Naturalmente, secondo le diverse culture, non tutti gli individui possono ospitare un Dibbuk. Questo spirito sceglie come potenziale vittima qualcuno che ha commesso un grave peccato, mantenuto segreto. In questo modo, la vittima del Dibbuk aprirebbe le porte della sua anima al demone.

Numerose credenze, diffuse soprattutto tra il popolo ebraico ma non solo, narrano episodi di possessione da parte di un Dibbuk e dei relativi esorcismi. Libretti speciali per gli esorcismi degli spiriti sono stati pubblicati in yiddish a Nikolsburg tra il 1696 e il 1743, a Detmold nel 1743 e a Stolowitz nel 1848. L'ultimo documento di questo tipo, pubblicato a Gerusalemme nel 1904, riguarda un Dibbuk che ha posseduto il corpo di una donna esorcizzata da Ben-Zion Hazzan. Quest'ultimo faceva parte di una cerchia ristretta di individui creduti in grado di liberare il corpo della vittima dal demone, salvando contemporaneamente l'anima posseduta.

Infine, sull'affascinante leggenda dell'anima errante che entra nel corpo di un vivente, l'autore Sholem An-Ski nel 1918 ha scritto un dramma d'amore che narra la storia di un giovane che, dopo la morte, entra nel corpo della sua amata con conseguenze drammatiche.


 
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